Crisi caucasica e nuovi equilibri

Quali saranno le reali conseguenze della guerra tra Russia e Georgia? Presto per dirlo. Ma una cosa è certa: dall’analisi delle ragioni del conflitto l’Unione europea può trarre utili indicazioni per il suo futuro.
25 Settembre 2008 | di

La guerra d’agosto che ha coinvolto Russia e Georgia sembra aver riportato indietro gli orologi della storia: ai tempi della Guerra fredda, secondo alcuni osservatori, addirittura all’Europa delle sfere d’influenza ottocentesche, secondo altri. Come sovente accade, le analogie storiche si dimostrano assai più infide che utili. Non è infatti alle viste nessun «condominio» bipolare altamente ideologizzato come era quello che ha retto le sorti del mondo tra il 1947 e il 1989. E una riedizione della pura politica di potenza sarebbe oggi – ai tempi della politica, del mercato e dei mezzi di comunicazione di massa – semplicemente impossibile. Ciò che si sta verificando è semmai il ritorno assertivo della Russia sulla scena internazionale. È ancora presto per stabilire se quella di Mosca nel Caucaso non si rivelerà una «vittoria di Pirro». L’annessione di due montagnosi territori abitati da qualche decina di migliaia di persone ha gettato Mosca nell’isolamento internazionale e fatto crescere le apprensioni dei suoi vicini, oltre ad aver provocato il crollo della Borsa russa.

In generale, il Cremlino ha voluto avvertire i vicini che non esiterà a cogliere ogni pretesto per ridisegnare a proprio favore i confini ereditati dalla caduta dell’Urss. Nello specifico, Mosca ha reso più rischiosa la costruzione dell’unico gasdotto che, sfuggendo al suo controllo diretto, la priverebbe di quella posizione di monopolista delle pipelines centroasiatiche grazie alle quali Putin spera di poter esercitare una pressione decisiva per «finlandizzare» l’Unione europea. L’interesse russo a riottenere lo status di grande potenza è comprensibile. Ma non è nell’interesse della Ue il veder risorgere un nuovo «impero russo» ai suoi confini. Dell’impiego strategico degli idrocarburi si è già accennato e l’ammodernamento delle forze strategiche e convenzionali russe è cosa nota. L’elemento per noi più inquietante è però lo strumento ideologico scelto da Putin: che è doppiamente pericoloso perché il suo utilizzo a fini interni, per procacciare sostegno al regime, lo rende difficilmente sostituibile. Il Cremlino sta infatti percorrendo una strada revanscista che ricorda da vicino quella seguita dalla Germania tra le due guerre mondiali. Da un lato alimenta il mito dell’umiliazione ingiustamente subita da un Paese non sconfitto nella Guerra fredda, ma tradito dalla sua classe dirigente. Dall’altro contesta i confini internazionalmente stabiliti. Infine, si erge a protettore dei «russi etnici» ovunque essi siano, con una retorica che riecheggia quella impiegata per i Volksdeutsche di Danzica e dei Sudeti.

Soprattutto quest’ultimo argomento, tanto più dopo la guerra nel Caucaso, preoccupa le tante repubbliche sorte dalle ceneri dell’Urss (a partire da quelle baltiche, che sono anche Stati membri dell’Unione europea), le quali registrano al loro interno la presenza di cospicue minoranze russofone rimaste sul luogo dopo la ritirata dell’impero sovietico. Le autorità moscovite, che così volentieri indulgono nella retorica e nella nostalgia imperiale pre-sovietica, tendono a sottovalutare come queste popolazioni, pur essendo il residuo della lunga colonizzazione imperiale russa, abbiano goduto di un destino infinitamente migliore di quello patito, ad esempio, dai pied noirs (i francesi di Algeria) o dai milioni di tedeschi espulsi da tutta l’Europa centrorientale dopo il 1945. Per quanto riguarda l’Ue, quanto accaduto deve ammonirci a rinsaldare il legame transatlantico (unica vera garanzia della nostra sicurezza rispetto alla politica revanscista russa), sviluppare una politica energetica comune (per meglio fronteggiare l’utilizzo strategico delle forniture energetiche da parte di Mosca), e giungere a una maggiore unificazione istituzionalizzata della nostra politica estera e di sicurezza, senza la quale resteremo un velleitario profeta disarmato.
 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017