Così iniziò il dialogo con le religioni non cristiane

La «Nostra aetate», pensata per modificare i rapporti con il popolo ebreo, è diventata la«Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa cattolica con le religioni non cristiane».
22 Settembre 2005 | di

Non è raro nella vita che un progetto o un`€™iniziativa assumano, con il passare del tempo, un andamento diverso dal previsto.
Circostanze e ripensamenti sono in grado di modificare il disegno originario. Questi casi si possono verificare anche in relazione a progetti di legge o altri documenti: l`€™iter può condurre là  dove non si era immaginato di giungere.
Qualcosa di simile vale anche per uno dei più innovativi testi del Vaticano II, la dichiarazione Nostra aetate . Giovanni XXIII si convinse `€“ anche in virtù di un memorabile colloquio avuto con lo storico ebreo francese Jules Isaac `€“ dell`€™opportunità  che il Concilio emanasse un documento sugli ebrei volto, innanzitutto, a condannare l`€™antisemitismo e a scagionare gli ebrei dalla falsa accusa di deicidio.

L`€™inedita impresa fu affidata a una commissione presieduta del cardinale tedesco Agostino Bea: bisognava predisporre i vari schemi da sottoporre al dibattito conciliare. Il cammino fu lungo e pieno di sorprese.
Si pensò dapprima a un paragrafo da inserire all`€™interno di un altro testo, poi a un piccolo documento a se stante e così via.
Alla fine nacque la Nostra aetate . Per comprendere i contenuti del testo basta guardare al suo sottotitolo: Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa cattolica con le religioni non cristiane.

L`€™orizzonte si era improvvisamente ampliato. Ci si occupava non solo di ebrei, ma di tutte le altre religioni.
La dichiarazione divenne perciò composta di cinque paragrafi; il primo e l`€™ultimo si presentano come introduzione e conclusione generali, il secondo è dedicato alle religioni primitive, all`€™induismo e al buddismo, il terzo ai musulmani, il quarto, il più ampio, alla religione ebraica.
Questo allargamento conteneva delle ambiguità .
Il trascorrere degli anni le ha rese più evidenti: l`€™ebraismo è qualificabile davvero solo come una religione non cristiana? L`€™eventuale esistenza di rapporti particolari, anzi unici, tra cristiani ed ebrei che incidenza ha sulle relazioni della Chiesa con le altre religioni?
In quattro decenni `€“ la dichiarazione fu approvata il 28 ottobre 1965 `€“ ci si è resi sempre più conto che la Nostra aetate costituisce l`€™inizio di un cammino nuovo incentrato su due diverse direttrici: le relazioni cristiano-ebraiche e il dialogo interreligioso.

Il lungo pontificato di Giovanni Paolo II è stato, su entrambi i fronti, particolarmente rilevante.
Basti ricordare alcuni eventi. In relazione al primo aspetto si possono citare la visita alla sinagoga di Roma e il pellegrinaggio in Israele culminato nelle visite a Jad wa-Shem, il Memoriale della Shoah, e al Muro occidentale del Tempio. In quest`€™ultima circostanza il Papa, conformandosi all`€™uso ebraico, inserì tra le fessure delle pietre un biglietto: vi era scritta una preghiera che conteneva una toccante richiesta di perdono per i comportamenti assunti dai cristiani nei confronti degli ebrei.
Numerosi sono stati poi gli incontri di Giovanni Paolo II con esponenti di istituzioni o comunità  ebraiche.

Benedetto XVI si è già  posto sulla stessa scia: si pensi alla sua visita alla sinagoga di Colonia.
Per quanto concerne i rapporti con le altre religioni, vanno richiamati prima di tutto i tre incontri interreligiosi di preghiera per la pace di Assisi.
In relazione all`€™islam, non si possono dimenticare il discorso ai giovani musulmani tenuto a Casablanca e la visita alla grande moschea di Damasco. Moltissimi sono stati, poi, gli incontri con esponenti anche di altri fedi. Questo insieme di avvenimenti costituisce un punto di non ritorno.
Tuttavia, più si avanza su questo cammino, più ci si rende conto che la riflessione teologica procede con un passo più lento dei gesti, degli incontri, dell`€™urgenza obiettiva di condurre avanti dialoghi richiesti dalle vicende stesse del mondo.
Va precisato, però, che l`€™intento primario della dichiarazione conciliare non era quello di prospettare regole per lo svolgimento di un dialogo interreligioso paritario.
Il suo scopo consisteva nell`€™indicare l`€™atteggiamento da tenere nei confronti delle altre fedi. In questo contesto era d`€™obbligo esprimere giudizi di valore e manifestare la convinzione che Gesù Cristo va annunciato a tutti come la via, la verità  e la vita (Gv 14,6) (cfr. NA n.2).

Gli ebrei e noi tutti figli di Abramo
A detta di molti, in relazione agli ebrei la Nostra Aetate esprime due convincimenti basilari.
Il primo, di ordine teologico, afferma la perennità  dell`€™alleanza tra Dio e il popolo ebraico.
Israele non deve essere in alcun modo considerato rigettato dal suo Signore, che anzi gli riserva un amore che non conosce pentimento (cfr. Rm 9-11).
Vanno poi evidenziati sia la comune eredità  di tutti i figli di Abramo sia il fatto che Gesù, sua madre e gli apostoli sono ebrei. In altri termini, il testo pone al centro quanto si è soliti definire la radice ebraica del cristianesimo.
La seconda affermazione si trova nella denuncia dell`€™odio, delle persecuzioni e della manifestazioni di antisemitismo rivolte da chiunque e in ogni tempo nei confronti degli ebrei.
Viene perciò rigettata l`€™errata convinzione che sugli ebrei pesi la colpa atavica per quanto avvenuto nel corso della passione e morte di Gesù.

Il principale nodo teologico emerso dalla ricezione della Nostra Aetate è stato espresso di recente con molta efficacia dal cardinale Kasper (attuale presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell`€™unità  dei cristiani).
È formulato in veste di domanda: «Come si può conciliare la tesi del perdurare dell`€™alleanza [tra Dio e il popolo d`€™Israele] con l`€™unicità  e l`€™universalità  di Gesù Cristo, costitutive entrambe, nel cristianesimo, della nuova alleanza?».
È convinzione interna alla fede cristiana tanto credere che Gesù Cristo è salvatore universale quanto affermare che i doni e la chiamata di Dio riservate al popolo ebraico sono senza pentimento anche a prescindere dell`€™adesione esplicita degli ebrei alla fede in Gesù Cristo.
L`€™interrogativo è netto, le risposte si muovono ancora a tentoni (cfr. At 17,27). Eppure, si tratta di un tema nevralgico per la coscienza che la Chiesa ha di se stessa. Né è difficile comprendere che dal modo in cui si risponderà  a questa domanda deriveranno conseguenze decisive in relazione ai rapporti tra la Chiesa e tutte le altre religioni.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017