Città amiche della salute

Contro inquinamento, stress e cattivi stili di vita una settantina di comuni italiani, sulla scia di uno studio dell’Organizzazione mondiale della sanità, porta avanti una campagna per rendere i nuclei urbani più ospitali.
25 Settembre 2012 | di

Assediate dal traffico e dalle polveri sottili, luoghi di disagio, delinquenza e malessere sociale, di isolamento per gli anziani e di costrizione in spazi chiusi e ristretti per i bambini: ma le città devono essere proprio così? Gli amministratori di una settantina di comuni italiani, insieme a migliaia di altri in tutti i continenti, dicono di no. E aderendo al Progetto città sane, promosso dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), si sono impegnati a lavorare perché l’ambiente in cui vivono i loro cittadini non solo sia più salubre e meno inquinato, ma favorisca anche una migliore qualità della vita.
«Nei secoli scorsi le città sono state spesso viste come nemiche della salute – spiega Simona Arletti, presidente della Rete italiana città sane – mentre possono diventare strumenti preziosi per condizionare in senso positivo gli stili di vita, anche tenendo conto del dato secondo cui, entro il 2030, il 70 per cento degli abitanti del pianeta vivrà appunto in un contesto urbano» (cfr. World Urbanization Prospects: The 2005 Revision; United Nations Department of Economic and Social Affairs).

Come il miglioramento delle condizioni igieniche e abitative ha fatto più degli antibiotici nella lotta alle grandi epidemie dei secoli scorsi, così, anche oggi, potrebbero essere le scelte politiche e urbanistiche ad assestare il colpo vincente contro le malattie più diffuse: quelle respiratorie e del cuore, i tumori, il diabete, i problemi di salute mentale, i disturbi muscolo-scheletrici e altre patologie croniche che hanno in comune gli stessi fattori di rischio modificabili.
Tutti sanno ormai che cosa bisognerebbe fare per stare quanto più possibile bene: non fumare, bere alcol con moderazione, mangiare meno e in maniera più sana, muoversi di più. Sono questi i quattro assi nella manica che chiunque ha a propria disposizione per cercare di assicurarsi una vita più lunga e in salute.
 
Il benessere si guadagna
Mettere in pratica i buoni propositi, tuttavia, non è semplice: spesso le migliori intenzioni non bastano. È nato da questa consapevolezza il programma nazionale «Guadagnare salute», che, in linea con la strategia promossa dall’Oms e condivisa a livello europeo, punta a rendere facili le scelte salutari. Una persona consuma più frutta e verdura se può acquistarle al mercato sotto casa, senza dover raggiungere in auto un grande centro commerciale.

Allo stesso modo, rinuncia più volentieri all’uso dell’automobile se mezzi pubblici efficienti sono in grado di portarla a destinazione, liberandola dallo stress di trovare un parcheggio, o se una rete di percorsi pedonali e piste ciclabili rende sicuro l’attraversamento della città. Molti studi hanno dimostrato che i tassi di obesità scendono dove ci sono più aree verdi, perché la gente va più spesso a correre o a passeggiare, e i bambini escono a giocare e a socializzare invece di passare i pomeriggi davanti alla televisione o al computer.
Su questi temi si è dibattuto lo scorso giugno a Venezia, durante il convegno dedicato proprio al programma «Guadagnare salute». Con l’occasione, operatori da tutta Italia hanno messo in comune le proprie iniziative, partendo dal presupposto che, oggi più che mai, la chiave del benessere sta nella prevenzione e che questa dipende solo in piccola parte da interventi di natura sanitaria (vaccinazioni o programmi di screening), ma molto di più dall’ambiente e dalle scelte di vita.

«Secondo dati forniti dall’Organizzazione mondiale della sanità, l’86 per cento dei decessi in Europa dipende oggi da patologie legate agli stili di vita» ha spiegato Stefania Salmaso, direttore del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute dell’Istituto superiore di sanità, che insieme al ministero della Salute ha promosso il convegno veneziano.
«Si calcola che queste malattie assorbano il 75 per cento della spesa sanitaria. Quindi tutti gli interventi per prevenirle, soprattutto in tempi di ristrettezze economiche, devono essere visti anche come un investimento per il futuro. Ciò soprattutto alla luce dell’invecchiamento medio della popolazione, che rende le patologie legate agli stili di vita più frequenti».
 
Dalla teoria alla pratica
I campi su cui è possibile intervenire sono innumerevoli. Per esempio, è innegabile che, soprattutto nelle grandi metropoli, la qualità dell’aria abbia un impatto importante non solo sulla frequenza di malattie dell’apparato respiratorio, ma anche di quelle cardiache: all’aumento della concentrazione di micro polveri PM10 nell’aria cresce il numero dei ricoveri per infarto. Un problema per cui ora le città italiane cominciano a cercare soluzioni.
«Torino ha risposto investen­do sul teleriscaldamento –precisa Simona Arletti –. A Padova e Firenze si è cercato di favorire il trasporto pubblico urbano su rotaia. Altre realtà più piccole, come Modena o Ferrara, hanno invece puntato sulla bicicletta che permette, oltre che di ridurre le emissioni, di aumentare l’attività fisica dei cittadini». La sedentarietà è, infatti, riconosciuta dalla medicina come una delle peggiori minacce alla salute. «Per questo la Rete italiana città sane vede la necessità di sancire la fondamentale importanza dell’attività fisica inserendola, nel rapporto tra Ministero e Regione, all’interno dei servizi essenziali di assistenza, talvolta anche in sostituzione di farmaci» continua Simona Arletti. Nel frattempo, non resta che sguinzagliare la fantasia dei cittadini per spingerli a muoversi di più.

Qualche esempio? Con «Pedibus» o «Vado a scuola con gli amici» si organizzano gruppi di volontari che accompagnano gli alunni a scuola.
«A piedi per Bolzano» mira a incentivare il movimento tra i cittadini, tracciando percorsi scanditi da cartelli che segnalano il numero di passi necessari, le calorie consumate e i tempi di percorrenza stimati per raggiungere siti turistici o uffici pubblici. A completare il progetto, poi, mappe applicate sulle pensiline di attesa degli autobus indicano il tempo previsto per raggiungere a piedi la fermata successiva. Mentre, nei locali chiusi, un adesivo applicato alle porte dell’ascensore suggerisce di optare per le scale.
 
Traffico, nemico del cittadino
A dispetto delle apparenze, nelle città spesso il maggior ostacolo alla mobilità a piedi è proprio il traffico. Il timore e i disagi dovuti al gran numero di mezzi in circolazione spingono a ricorrere alla macchina, cosicché anche chi vorrebbe muoversi a piedi finisce incolonnato al semaforo. Il circolo vizioso può essere interrotto dalle amministrazioni con l’aiuto delle cosiddette «zone 30», aree in cui i limiti di velocità scendono appunto a 30 chilometri orari. La minore velocità permette una migliore convivenza tra auto, biciclette e pedoni, riduce il numero degli incidenti e incentiva la gente a muoversi a piedi. L’esperienza vissuta dai veronesi insegna: «L’80 per cento degli intervistati in un’area di Verona in cui è stata inserita la “zona 30” dichiara che ora è più facile spostarsi a piedi o in bicicletta. Molti affermano addirittura di non prendere più l’auto per fare la spesa o per portare i bambini a scuola» spiega Loretta Castagna, responsabile dell’Ecosportello del comune scaligero.

Interventi piccoli, insomma, che danno grandi benefici, non solo al corpo, ma anche alla mente e ai rapporti interpersonali. I cosiddetti «gruppi di cammino», che si danno periodicamente appuntamento per muoversi insieme, contrastano l’isolamento, soprattutto degli anziani, e, con questo, il rischio di depressione e di decadimento cognitivo. «A tale proposito – conferma Simona Arletti – in molte città si stanno sperimentando anche “percorsi del cuore e della memoria” nei parchi. Grazie a una cartellonistica apposita, l’attività motoria viene affiancata da esercizi mentali mirati ad allenare il ricordo di testi o di sequenze numeriche».
L’elenco degli strumenti messi in campo dalle amministrazioni per favorire la salute dei propri cittadini non conosce limiti. Uno dei più semplici ed efficaci è l’estensione del divieto di fumare: allargando le zone smoke-free si scoraggia ulteriormente questa abitudine che, tra i fattori di rischio modificabili, è quella responsabile, nei Paesi ricchi, del maggior numero di vittime. Altrettanto efficace risulta la tattica di offrire per merenda la frutta nelle scuole. Così come quella di affiancare o sostituire gli snack ipercalorici e le bevande dolci gassate – che spesso si trovano nei distributori automatici – con prodotti più sani. «Ci vuole coerenza» sostiene Laura Ferrari, dirigente del settore Igiene pubblica dell’Apss (Azienda provinciale per i servizi sanitari) di Trento, che, al convegno veneziano, ha presentato l’esperimento condotto nel capoluogo trentino. «Soprattutto nelle scuole e negli ospedali non si possono fornire gli stessi alimenti di cui cerchiamo di disincentivare il consumo», spiega il medico. L’educazione dei grandi, ma soprattutto quella dei piccoli, non può prescindere dal buon esempio.
 
 
 
Verso la parità socio-economica
Oasi verdi per tutti
 
Ridurre le diseguaglianze socio economiche con parchi e giardini. Secondo uno studio dell’Università di Glasgow condotto su più di 360 mila persone, la presenza vicino a casa di aree verdi allunga l’aspettativa di vita delle classi meno abbienti, avvicinandola a quella dei cittadini più benestanti. Le differenze sociali, infatti, incidono sull’opportunità di essere sani, sul rischio di ammalarsi e di morire prematuramente. «Anche in Europa queste diseguaglianze continuano a esistere, sia nei Paesi ricchi sia in quelli poveri. E in molti luoghi stanno anzi aumentando» ha dichiarato Erio Ziglio, direttore dell’Ufficio europeo per gli investimenti per la salute e lo sviluppo dell’Organizzazione mondiale della sanità, con sede a Venezia. «Le iniziative che promuovono la salute nelle città possono essere cruciali per ridurre il divario sanitario tra ricchi e poveri» ha aggiunto.

Ovunque nel mondo la frequenza di molte malattie e condizioni di rischio va di pari passo con il conto in banca: fumo, obesità e sedentarietà sono molto più diffusi ai livelli sociali bassi e tra chi abita nei quartieri disagiati. A determinare le condizioni di salute, anche in un Paese come il nostro, in cui il Servizio sanitario nazionale offre gratuitamente a tutti le cure necessarie, sono, ancora oggi, fattori come il livello di istruzione e di reddito o la presenza e la qualità di un posto di lavoro. D’altra parte la palestra costa. Mentre pesce, frutta e verdura in molti negozi del centro hanno prezzi proibitivi. Se il modo in cui la città è concepita e organizzata permettesse a chiunque di andare a giocare a pallone al parco o di spostarsi a piedi o in bicicletta, tutti potrebbero usufruire gratuitamente dei benefici dell’attività fisica. Se il mercato rionale offrisse alimenti sani a un buon prezzo, pure le persone meno abbienti sarebbero invogliate a portarli a tavola.

In questo senso anche l’informazione ha le sue responsabilità. Non tutti accedono allo stesso modo e con la stessa consapevolezza ai consigli degli esperti, e non tutti sono in grado di distinguere quelli affidabili dalle mode del momento. Ecco perché le modalità di comunicazione possono essere un importante strumento per ridurre le diseguaglianze. «In particolare, l’uso di mezzi diversi per i diversi target può fare la differenza» conclude Giuseppe Fattori, presidente dell’Associazione marketing sociale. «Con gli strumenti tradizionali, come la stampa su carta o la televisione, i poster o i volantini, si rischia di non raggiungere chi si informa ormai quasi esclusivamente tramite internet – continua Fattori –. Utilizzando i social network, al contrario, si esclude quella fetta di popolazione che non ha superato il cosiddetto “digital divide”». Una differenza in più che si aggiunge oggi alle diseguaglianze economiche e sociali, travalicandole.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017