Cina 2008, la sfida della «nuova Pechino»

Tutto è ormai pronto per il grande evento che si aprirà l’8 agosto 2008 alle otto di sera. Dietro tante luci e investimenti da capogiro destinati a impianti sportivi e rete viaria, le ombre di un Paese che continua a violare i diritti umani.
24 Ottobre 2007 | di

È pieno inverno a Pechino. Quello rigido e pungente del Nord che si fa ancora più cupo sotto il cielo perennemente inquinato dallo smog. È in questo scenario che sta emergendo la «Nuova Pechino». La città, che già di suo conta 15 milioni di abitanti, il prossimo anno accoglierà le Olimpiadi.
Le centinaia di cantieri aperti ormai da tempo – per un investimento di oltre 200 miliardi di dollari – stanno smantellando, via via, la miriade di strutture, allestite per le costruzioni, in tubi innocenti, teli di plastica e juta, rivelando splendide nuove residenze, villaggi olimpici, stadi e nuovi alberghi. Per consentire il flusso regolare del milione e mezzo di turisti previsti, è stata costruita una nuova ala dell’aeroporto ed è stata trasformata la rete viaria per oltre 12 miliardi di dollari. Ma quello che lascerà i visitatori a bocca aperta è il nuovo stadio nazionale conosciuto come «il nido d’uccello» per la sua forma accogliente e avveniristica. L’opera, costata mezzo miliardo di dollari, ospiterà la cerimonia inaugurale, le gare di atletica e la maggior parte delle partite di calcio.
Con una buona dose di scaramanzia le Olimpiadi saranno inaugurate l’8 agosto del 2008 alle 8 di sera (il numero «8» in Cina significa «fortuna e prosperità»). La cerimonia di apertura sarà affidata al regista cinematografico Zhang Yimou, l’autore di Lanterne rosse e di Hero, fra le pellicole più sofisticate e amate ai festival del cinema di Venezia e di Cannes. Ma ben pochi, si sa, sono profeti in patria. Il pubblico cinese, infatti, non è molto entusiasta di un regista così apprezzato all’estero, ma che nel suo Paese ha la fama di essere più vicino al gusto degli occidentali che a quello nazionale.

Le Olimpiadi rappresentano per la Cina una grande vetrina pubblicitaria attraverso la quale abbagliare la comunità internazionale e dimostrare a tutto il mondo che l’«Impero di mezzo» è ormai un Paese moderno e brillante, una superpotenza economica e atletica. Ogni grande negozio ha, però, il suo retrobottega dove vengono riposti i classici «panni sporchi». Così anche questo appuntamento, atteso a livello internazionale, nasconde i propri lati oscuri che la Cina cerca di sopprimere prima della fatidica data.

C’è anzitutto la corruzione. Quasi un anno fa, il responsabile di tutte le costruzioni in preparazione alle Olimpiadi, e vice-sindaco di Pechino, Liu Zhihua è stato radiato dal Partito comunista. Era stato arrestato a giugno per corruzione e condotta «depravata». In carica dal 1999, Liu Zhihua prendeva forti tangenti in cambio di appalti nelle opere pubbliche. L’accusa per lui è di aver intascato 7 milioni di yuan (700 mila euro). In più possedeva diverse ville faraoniche nei dintorni della capitale dove ospitava le sue amanti ( da qui l’accusa di «depravazione»). Nel dare la notizia dell’espulsione di Liu dal Partito comunista, l’agenzia Xinhua è stata molto attenta a salvaguardare la bella immagine delle Olimpiadi, scaricando su Liu tutto il marcio che è emerso. Anche il Comitato olimpico di Pechino ha negato ogni legame con le azioni di Liu. Ma nessuno ha mai spiegato come questo personaggio abbia potuto lavorare indisturbato per tutti questi anni, mentre migliaia di pechinesi chiedevano ragione delle loro case demolite, degli espropri forzati e dei pestaggi da parte di teppisti delle ditte di costruzione. Va detto che per costruire alberghi e sedi olimpiche in centro, la capitale è, da anni, sottoposta a violenze di ogni tipo. Vecchie case attorno al Palazzo imperiale – perfino alcune ville di mandarini realizzate nel 1400, ormai fatiscenti – sono state demolite e rase al suolo. Gli abitanti, che vi si erano insediati al tempo di Mao, in particolare dopo il terremoto di Tangshan del 28 luglio 1976, sono stati espulsi con la forza. Alcuni sono stati perfino rapiti nel cuore della notte e portati fuori dalla città, in aperta campagna. L’indomani la polizia li ha trovati legati e imbavagliati. Le loro case, nel frattempo, erano già state distrutte. Almeno duecentomila pechinesi – alcune fonti parlano, invece, di almeno un milione e mezzo – hanno dovuto accontentarsi di un irrisorio risarcimento da parte del governo della città, insufficiente anche per affittare una baracca in periferia. Denunce di architetti e storici dell’arte, petizioni e sit-in di abitanti espropriati non hanno ricevuto, puntualmente, alcuna risposta.

I numerosi attivisti che si battono per la difesa dei diritti umani – in un Paese in cui violenza e morte continuano a essere perpetrati sotto gli occhi di tutto il mondo – hanno definito queste operazioni «Pulizie in vista delle Olimpiadi del 2008». La «pulizia» più radicale è quella dell’eliminazione totale di ogni dissenso. Quando Pechino è stata scelta come sede per le prossime Olimpiadi, molti pensavano che l’appuntamento avrebbe favorito l’apertura e il rispetto dei diritti umani. Al contrario, soprattutto in quest’ultimo anno, la repressione è aumentata. Sono stati arrestati centinaia di attivisti per la democrazia, sindacalisti, giornalisti, studiosi, cristiani protestanti, cattolici, buddisti e musulmani. Fra gli arresti «eccellenti» quelli di Hu Jia, attivista che lavora per diffondere notizie sull’epidemia di Aids in Cina; o quello dell’avvocato cristiano Gao Zhisheng, una volta fiore all’occhiello del mondo legale di Pechino, ora guardato come un traditore, da quando difende i contadini, uiguri, cristiani, membri del Falun Gong; e ancora, Chen Guangcheng, attivista cieco che ha denunciato gli aborti forzati e le sterilizzazioni praticate nella provincia dello Shandong. Proprio per questo, gli attivisti cinesi definiscono le prossime Olimpiadi «un’illusione di pace e prosperità per prendere in giro i visitatori».

Gli organizzatori continuano a predicare che «la Cina cambierà dopo le Olimpiadi». Jacques Rogge, capo del Comitato olimpico internazionale (Cio) sottolinea che la richiesta di rispetto per i diritti umani è costante benché, dall’altra parte, non si sia visto finora nessun risultato.

Intanto gli abitanti di Pechino, ancora costretti a vivere in case senza servizi igienici, con strade in terra battuta, fogne a cielo aperto, definiscono l’evento «un disastro nazionale». Per loro le brillanti abitazioni degli atleti e il dispendio di enormi ricchezze nell’organizzazione sono soltanto una farsa che i cittadini cinesi sono obbligati a recitare. Da due anni il governo ha lanciato la campagna contro le parolacce, le discussioni in strada, lo sputare per terra, il mettersi le dita nel naso, l’andare in giro seminudi (unico scampo nell’afa estiva di Pechino). Anche i tassisti sono costretti a lavare la macchina più del solito, a imparare qualche frase in inglese, a lavarsi e a cambiarsi ogni giorno. Mentre ai giornalisti stranieri si promette piena libertà di circolare durante le Olimpiadi, a quelli locali è stato proibito di pubblicare notizie «spiacevoli», pena il licenziamento e la prigione. A questo ammasso di ingiustizie «in nome delle Olimpiadi» si dovrebbe aggiungere lo scandalo dei bambini e dei prigionieri politici costretti a lavorare per costruire mascotte e palloni.

Nel mondo occidentale c’è, da tempo, chi vuole boicottare le Olimpiadi di Pechino. Curiosamente, il motivo non è questa miscela di violenze e oppressioni contro i diritti umani, ma unicamente il fatto che Pechino non fa molto per interrompere la catena di violenze nel Darfur. Nessuno vuole sfidare la Cina sul suo terreno. Forse perché, delle molte ingiustizie praticate sono responsabili anche le ditte occidentali, sponsor delle Olimpiadi e accanite sfruttattrici della manodopera cinese a basso costo.

Molto più saggio e realista l’appello lanciato lo scorso agosto da 37 personalità cinesi al governo cinese, al Cio e al mondo intero. I «saggi» ricordano che «senza promuovere i diritti umani in Cina, gli slogan olimpici rischiano di tradire i loro ideali e lasciare un mondo in cui le persone continuano a soffrire, e a morire, a causa della discriminazione, della persecuzione politica e religiosa, della mancanza di libertà, come anche per la povertà, il genocidio e la guerra». Spinti dall’amore per il proprio Paese essi fanno alcune richieste affinché la Cina si prepari davvero alle Olimpiadi: un’amnistia generale per tutti i prigionieri di coscienza; libertà di stampa per giornalisti stranieri e cinesi; giusta ricompensa per le vittime di espropri e di trasferimenti forzati avvenuti per costruire i siti olimpici; un salario giusto e sindacati liberi per i lavoratori migranti impegnati nei cantieri olimpici; un Comitato indipendente che verifichi l’uso del denaro pubblico e persegua sprechi e corruzioni legati ai progetti dei siti olimpionici.


notes

Bibbia e Corano fuori dai raduni

Per le Olimpiadi 2008 la Cina ha proibito ad atleti e giornalisti di importare «materiale per attività religiose e politiche» perché considerato pericoloso, alla stregua di esplosivi e armi.

Gli atleti potranno indossare simboli legati alla propria fede, ma saranno proibiti il materiale di propaganda religiosa e i raduni non «in accordo con la legge». La regola di fatto vieta qualunque espressione di fede che può essere sempre interpretata come «propaganda»: bastano un segno di croce in pubblico prima della partita, una preghiera islamica ai bordi del campo, il possesso di una Bibbia, di un messalino o di un Corano.

Pechino teme due grandi minacce: quella dei buddisti tibetani che hanno promesso di denunciare le violenze contro il Dalai Lama e quella dei protestanti americani che si stanno preparando – studiando perfino la lingua cinese – a usare la finestra delle Olimpiadi per evangelizzare il Paese. Chi pensava che le Olimpiadi sarebbero state un momento per la Cina di «assaggiare la libertà», dovrà ricredersi: toccherà al resto del mondo «assaggiare la repressione».

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017