C’è voglia di poesia

In Italia, da qualche anno, sono sempre più numerosi e frequentati Festival di poesia e letture pubbliche di versi. Pullulano case editrici e premi letterari; fioriscono siti internet e riviste specializzate nel settore.
22 Giugno 2006 | di

La poesia è sempre stata espressione del bisogno di leggere in profondità dentro se stessi, alla ricerca della propria identità e delle ragioni della vita. È sempre stato così, ovunque, ma oggi in alcuni Paesi la poesia ha un rilievo maggiore, riconosciuto dalla stessa società. In particolare in Sud America ai reading (letture pubbliche di versi) partecipano migliaia di persone e le letture di poesie sono altrettanto frequentate in alcuni Paesi del Medio Oriente e dell’Oriente (per esempio in Libano, Israele, Iran, Mongolia, Giappone).
Sia pure con minore partecipazione il tradizionale interesse per la poesia continua a reggere anche nel mondo occidentale: negli Stati Uniti (soprattutto in California), in Canada. Nell’Europa settentrionale i poeti sono amati in Gran Bretagna, Olanda, Svezia, Norvegia e Danimarca.
Tutti Paesi nei quali questa particolare espressione letteraria è sostenuta da numerosi appuntamenti, come festival, convegni, happening, incontri, premi e da un collaudatissimo sistema bibliotecario.
In Italia la partecipazione del pubblico alle letture di poesie non raggiunge ancora il livello dei Paesi citati, ma sta progressivamente crescendo, con grande sorpresa degli stessi esperti. Ma chi è il pubblico della poesia? Chi sono coloro che, sempre più numerosi, frequentano i reading e i festival per sentir declamare versi? Sono giovani, ma anche persone di mezza età e anziane: si può dire che tutte le stagioni della vita siano equamente rappresentate. Riguardo al sesso, vi si incontrano sia maschi che femmine, anche se la platea è più spesso tinta di rosa.
Come spiegare la crescita di tale fenomeno? La ragione più frequentemente addotta, per spiegare la domanda di poesia, è anzitutto l’inquietudine esistenziale. Un disagio che spesso va oltre l’età dell’adolescenza, e che si ritrova in persone che già vivono la cosiddetta maturità. Altre ragioni risiedono nel bisogno di cercare se stessi, in mezzo alle contraddizioni e al disordine del mondo, per ritrovare la propria identità nascosta e, infine, nella necessità di misurarsi con i problemi dell’autenticità e della difficile ricerca della verità.


La rete, paradiso dei poeti e dei lettori

Anche nel nostro Paese, dicevamo, i lettori di versi e gli amanti della poesia sono in sensibile aumento, ma non altrettanto si può dire delle vendite di libri del settore. Statisticamente, in Italia il mercato della poesia è molto limitato: siamo all’ultimo posto nella graduatoria europea, in compagnia della Grecia. Fa eccezione la fortunata antologia Poeti italiani del Secondo Novecento, pubblicata da Mondadori, inizialmente nella collana «Meridiani» e poi negli «Oscar», che ha venduto decine di migliaia di copie. Tuttavia − lo abbiamo già sottolineato − pur non comprando libri e restando quindi slegati dal mercato tradizionale, da noi i lettori di poesia sono ugualmente molti. Questo dato si può desumere facilmente visitando in internet i «siti» dedicati ai poeti; osservando il mondo di interessi che li riguarda da vicino (concorsi, forum, eventi di vario genere), ma anche ascoltando i numerosi programmi radiofonici che hanno un vasto seguito.
Così la poesia è disponibile per tutti, grazie a internet, veicolo straordinario per far conoscere le opere dei poeti, di fatto «consumate» nei siti in una quantità decisamente più elevata rispetto ai libri stampati: se un libro di poesie ha settecento lettori (evento già raro), la stessa opera in rete ne può vantare più di settemila.


La poesia tra i banchi di scuola

Dobbiamo però ricordare che la poesia resta comunque una «pratica esoterica», perché orientata alla ricerca di se stessi. Come tale, non può essere occasione di divagazione, di intrattenimento e, ancor meno, di divertimento. Essa riguarda sempre l’individuo e, nell’approfondimento della propria individualità, poche altre persone. Non perché sia «elitaria», riservata cioè a pochi eletti, ma perché non sono tanti, rispetto alla massa, coloro che amano approfondire e vedere chiaramente dentro di sé.
Solo apparentemente la poesia è «difficile». Chi sceglie non ha paura di niente. Essendo, come si diceva, una pratica esoterica, ciascuno può decidere di intraprenderla. L’importante è che tutti si accorgano che la poesia è lì, a loro disposizione, se vogliono. Ma devono volerlo. Non si tratta certo di un bisogno che possa essere creato. Festival e letture pubbliche sono iniziative che non nascono per indurre bisogni, ma per rispondere a richieste già diffuse.
La poesia è, alla fine, una forma di conoscenza insieme di ragione e di sentimento, di ricerca intellettuale e di emozione: insomma, semplificando, forse si potrebbe dire di coscienza e di inconscio.
Il messaggio della poesia è affidato alla parola, percepita nella sua duplice veste di strumento logico e analogico, come se fosse una partitura musicale.
È proprio questa ambivalenza, o duplicità, a coinvolgere sempre di più le persone che si accostano alla poesia. Molti, paradossalmente, hanno riscoperto la poesia nel periodo della maturità, o, addirittura, della vecchiaia; anche se, per fortuna, resta alto il numero dei giovani che la incontrano presto sulla loro strada.
Su questo fronte bisogna dire che la scuola, nei confronti della poesia, ha sia meriti che demeriti. Infatti nelle scuole la poesia è presente, la si studia anche in modo consistente, ma è una carta che potrebbe essere giocata meglio, o in modo diverso. La poesia, secondo me, andrebbe più letta anche tra i banchi di scuola, più declamata che spiegata. Insomma, bisognerebbe sottoporla meno ad analisi e parafrasi, per «eseguirla» come fosse musica. E, ancora, invitare i bambini, soprattutto nei primi anni di studio, a comporre loro stessi poesie.
È ovvio che non siamo tutti poeti, ma, componendo versi, si allenerebbe la mente a comunicare meglio e a comprendere di più. È poi necessario insegnare ai ragazzi a leggere i versi dei poeti, facendoli «risuonare» dentro di sé per coglierne al volo le qualità. Dopo di ciò, si può criticamente scendere nei dettagli, valutando l’originalità della scrittura, la capacità di affrontare musicalmente i temi trattati, la portata espressiva e tutto il resto. Prima, comunque, deve essere proposta detta operazione «vivificante». Nella scuola, diceva il poeta Eugenio Montale, bisogna portare più «presenza viva» della poesia, per contrastare l’idea che essa sia una «presenza morta», inevitabile se si leggono e si studiano solo autori e opere del passato.
È una questione importante. Sono utili i molti festival di poesia, ai quali i poeti sono invitati a recitare i loro versi, ma non bastano: anche le scuole devono aprire le porte ai poeti contemporanei, per farli incontrare con i giovani, per dire loro che i poeti non sono tutti morti e «congelati» nelle antologie, ma sono persone in carne e ossa, che vivono intensamente i loro stessi problemi.
Se un giovane, per esempio, pensa di poter trasformare l’arte poetica in una professione, è meglio che capisca subito che sta sbagliando tutto. La poesia non è una professione, anche se necessita di professionalità. Neppure importanti scrittori come Proust, Musil, Joyce o Svevo, hanno fatto della narrativa una professione. I veri scrittori non scrivono per guadagnare, ma perché è una necessità interiore.
È altrettanto importante che i giovani, a scuola, capiscano che cosa significhi essere un poeta oggi in Italia. Esattamente quello che significava nel 1300 o nel 1700. La stessa cosa vale per il lettore. C’è una continuità che non conosce tempo, quando si tratta del nostro io più profondo. Infatti, Dante ci rappresenta bene, proprio come Virgilio o Montale o altri poeti della nostra contemporaneità.
È un’acquisizione fondamentale, questa, che consegna la poesia all’esperienza concreta del quotidiano, sottraendola alla generica categoria, quasi sempre retorica, del cosiddetto patrimonio culturale.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017