Cattolici tirati per la giacca

Molti partiti rivendicano la propria ispirazione cristiana o dichiarano la loro attenzione per i valori cattolici, cercando di attirare l’elettorato praticante.
26 Marzo 2008 | di

Voto cattolico? Sì, grazie. Tra le tante novità, vere o presunte, di questa campagna elettorale ce n’è una evidentissima: un buon numero di partiti rivendicano la loro ispirazione cristiana oppure dichiarano che i valori cattolici sono ben rappresentati nella propria compagine. L’elettore cattolico è finito suo malgrado sotto i riflettori, investigato, inseguito, a tratti coccolato come fosse in qualche modo una specie a parte. E così incalzano i sondaggi per vedere dove il parrocchiano tipo volgerà il suo sguardo. Nella pioggia di rilevazioni statistiche, infatti, non mancano mai quelle sul voto cattolico. C’è addirittura chi evidenzia la differenza di orientamento tra i praticanti che vanno a messa da una a tre volte al mese e quelli che ci vanno tutte le settimane. Così la fede entra nell’urna elettorale e non per l’intervento di qualche prelato.
Che cosa ha portato molti partiti a ritenere che i cattolici siano l’ago della bilancia?
Tutto comincia con la caduta del governo Prodi, che di fatto decreta, forse al di là delle aspettative del momento, la fine di un’intera fase politica. Entra in crisi non solo un governo ma un sistema, quello del bipolarismo forzato, esasperato da una legge elettorale che costringe partiti diversissimi e senza una comune storia politica ad allearsi, avendo come unico collante l’opposizione all’altro fronte.
La crisi è preceduta e alimentata da due fattori: uno esterno, l’altro interno alla politica.

Quello esterno riguarda l’opinione pubblica, ormai stanca della paralisi di governabilità, esasperata da una politica litigiosa, distante, miope, corrotta, clientelare, impermeabile al cambiamento.
L’altro fattore riguarda invece il riassetto che la politica si sta dando al suo interno, proprio per tentare di combattere il sentimento antipolitico dilagante. In ottobre, dopo mesi di gestazione, nasce il Partito democratico (Pd) di Walter Veltroni, eletto alle primarie con un consenso plebiscitario. Poche settimane dopo, il 18 novembre, Berlusconi annuncia a sorpresa in piazza San Babila, a Milano, la nascita del Popolo della libertà (Pdl), azione ritenuta azzardata in un primo tempo anche dai suoi alleati. Si fa strada un nuovo modo di fare politica, che ricerca nel partito unico una maggior omogeneità delle forze in campo. Una modalità che inevitabilmente cozza contro il vecchio, affrettandone la fine.
Alla caduta di Prodi la bomba esplode, ed è sconquasso politico.
Dal Pd si stacca la sinistra estrema, la cui opposizione interna aveva affaticato il governo Prodi. Veltroni annuncia di volersi presentare da solo alle elezioni. Di fatto si allea con l’Italia dei valori e più tardi apre ai radicali, il cui inserimento nelle liste provocherà un terremoto tra i cattolici del partito. A ruota anche Berlusconi annuncia di volersi presentare da solo. Dal Pdl si stacca l’estrema destra. Nel partito invece confluisce Alleanza nazionale. Due gli alleati del Pdl che mantengono la propria identità partitica: la Lega al Nord e il Movimento per l’autonomia al Sud. Anche il Pdl ha però il suo terremoto: l’Udc di Casini si stacca e in seguito decide di allearsi con un’altra novità che nel frattempo è sbocciata nel quadro politico: la Rosa Bianca di Baccini, Tabacci e Pezzotta, che in un primo momento si era presentata da sola come alternativa ai due maggiori partiti.

Nuove formule vecchia politica?

A questo punto le carte si mescolano. E nell’elettorato le domande si moltiplicano: il Pd senza più la sinistra estrema (Arcobaleno) è più vicino al centro? Il Pdl con Fini ma senza Casini è troppo spostato a destra? La neounione di centro tra Udc e Rosa Bianca è davvero qualcosa di nuovo o un nostalgico ritorno al passato? E i radicali, che posto hanno nel Pd che invece vanta una rappresentanza di politici cattolici piuttosto ampia? In questo quadro, accaparrarsi la benevolenza della Chiesa (calcolata dai soliti sondaggisti dai 3 ai 6 punti) diventa strategico. Ogni schieramento sembra tirare l’elettore cattolico dalla sua parte. Ma l’elettore cattolico che cosa vuole? Cerca di chiarirlo un sondaggio di Famiglia Cristiana-Coesis che rileva, tra gli altri, due punti essenziali. Il primo: i cattolici sono in tutti gli schieramenti, cosa tra l’altro già da tempo recepita dalla Chiesa. Il secondo: le prime preoccupazioni dei cattolici sono quelle di tutti gli elettori, cioè aumento dei salari, riduzione del numero dei parlamentari, diminuzione delle tasse, controllo dei prezzi, formulazione di una nuova legge elettorale. In sintesi: migliorare la situazione economica e semplificare e ripulire la politica. Le questioni etiche ci sono, ma arrivano dopo.
Eppure è proprio sui temi eticamente sensibili e sulla maggiore o minore vicinanza alla dottrina sociale della Chiesa che si scatena la bagarre all’interno dei maggiori partiti per attirare il voto dei cattolici.
Veltroni, al meeting dei cattolici del Pd organizzato il 27 febbraio scorso, dopo il polverone provocato dall’apertura ai radicali nel partito, con quello stile ecumenico che è la cifra della sua campagna elettorale, dichiara: «C’è un grande patrimonio che vive, attraverso le persone animate da fede vera e profonda, dentro il partito democratico, insieme agli altri, e che contribuisce a dare al Pd identità e forza…». Significative anche le parole pronunciate da Berlusconi a casa di Gianfranco Rotondi all’indomani delle accuse di «anarchia dei valori» lanciate da «Famiglia Cristiana» al suo partito: «Il vero partito dei cattolici siamo noi. Il Pdl è un partito ispirato ai valori cristiani del Ppe (Partito popolare europeo), pur mantenendo la laicità tipica della vecchia Dc». A sua volta Casini, nel presentare il programma dell’Unione di centro, afferma che è basato «sulla forza dei nostri valori, sull’identità cristiana e fa perno su verità e responsabilità».
Questa convergenza al centro ha però anche un carattere funzionale: è un’edizione tutta italiana di un fenomeno già visto in altre democrazie occidentali. Anthony Giddens scrive su «la Repubblica» del 6 marzo 2008: «I problemi si risolvono soltanto quando c’è un generale consenso nell’identificarli e sulle soluzioni da adottare… Più una società è polarizzata più è difficile risolvere i problemi». Ciò però ha come conseguenza che destra e sinistra tendono a somigliarsi.
I programmi di Pd e Pdl ma anche dell’Udc, pur con le dovute distinzioni, hanno di fatto molti punti in comune. Quindi a fare la differenza sarà la capacità di presentarsi come novità rispetto al passato e, anche per questo, di fare breccia nell’elettorato cattolico e, più in generale, moderato in cerca di casa.

E la Chiesa non si schiera

E la Chiesa come si pone di fronte a tanta attenzione? «Confermiamo la linea di non coinvolgimento in alcuna scelta di schieramento politico e di partito» dichiara il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, nella sua prolusione d’apertura ai lavori del Consiglio permanente dei vescovi, il 10 marzo scorso. Poi individua senza mezzi termini l’emergenza: «Il problema della spesa». Insistendo perché all’indomani del voto maggioranza e opposizione lavorino insieme al «miglioramento effettivo delle condizioni di vita».
E i valori irrinunciabili come la tutela della vita dal concepimento alla morte naturale e la famiglia fondata sul matrimonio? Sono appunto irrinunciabili, prima e dopo il voto, da tutelare attraverso uno schieramento trasversale che coinvolga tutti i politici cattolici, come dichiara Tarcisio Bertone, Segretario di Stato: «Vedrò se i cattolici stanno emergendo a sinistra, al centro, a destra… se i valori cristiani sono supportati da un vero impegno: sia dall’impegno dei cattolici presenti nei vari schieramenti sia dal rispetto promesso dai leader di quegli schieramenti».
Come a dire che la partita decisiva si gioca il giorno dopo le elezioni.  

zoom

Un popolo di credenti?

L’appartenenza alla religione cattolica è nel Dna degli italiani, almeno stando a un recente sondaggio Demos per «la Repubblica», secondo il quale 8 italiani su 10 si dichiarano cattolici. Tuttavia pochi tra gli intervistati pensano che gli insegnamenti della Chiesa siano vincolanti per il proprio comportamento.
Il 51 per cento di chi risponde ritiene che la Chiesa abbia il diritto di esprimersi sui temi sociali, culturali e politici, ma non quello di influenzare le scelte della politica.

L’intervista         a cura di Carlo Napoli


Il partito dei cattolici? Non esite ormai da tempo

A colloquio con Giovanni Maria Vian, direttore de «L’Osservatore Romano».

Msa. Siamo stati abituati per decenni ad avere una «Democrazia Cristiana». Oggi i cattolici si trovano dispersi in più partiti. Come va considerato tutto questo: una sconfitta o forse una nuova opportunità?

Vian. Io credo che si debba guardare a questo fatto con molta tranquillità. È un processo storico sul quale già l’allora presidente della Cei, il cardinale Ruini, si era soffermato quando era finita l’esperienza unitaria della maggioranza dei cattolici in politica. Il cardinale Ruini aveva preso atto del nuovo corso con molta serenità. Credo che così si debba fare anche oggi, in un momento in cui questo fenomeno appare ancora più consolidato.

Se potessimo racchiudere in un breve spazio mezzo secolo di Democrazia Cristiana, cosa diremmo? Quali sono state le luci e le ombre?

I grandi meriti della Democrazia Cristiana sono stati quelli riconosciuti dagli stessi eredi del partito comunista: cioè di aver vinto le elezioni del 18 aprile del 1948, e di avere assicurato al Paese democrazia e sviluppo. Il demerito principale, come molti autorevoli osservatori sottolineano, è stato quello di non avere curato l’aspetto culturale: poca scuola e poca università.

Ai cattolici che sono in politica si raccomanda di restare fedeli a certi valori. Ma quali sono questi valori?

Sono quelli tradizionali, quelli ricordati in una nota del 2002 della Congregazione per la dottrina della fede e firmata dall’allora prefetto cardinale Ratzinger e dall’allora segretario monsignor Bertone, oggi rispettivamente Pontefice e Segretario di Stato. Questi valori sono soprattutto la difesa della vita e la difesa della giustizia e della solidarietà.

Si parla sempre del rispetto della vita, dal concepimento alla morte. Ma esistono altri peccati: la corruzione, il clientelismo, l’emarginazione di chi è fuori dai partiti, l’assenza di una meritocrazia. Sono anche questi peccati da condannare?

Si tratta di una serie di punti che sono presenti nella nota a cui ho fatto cenno. La difesa della vita è peraltro urgente perché viene messa culturalmente in discussione. Questo è il problema principale da cui dipendono tutte le manipolazioni genetiche e le derive verso l’eutanasia, che sono poi tutti meccanismi che si collegano alla commercializzazione della vita umana.

Immaginiamo un cattolico – di destra o di sinistra, non importa – che si rechi al voto: a cosa dovrebbe badare nella sua scelta?

Dovrebbe badare a far sì che questi valori siano salvaguardati il più possibile, cercando di scegliere – ove le leggi lo permettano – un candidato piuttosto che un altro. Certo non è facile, soprattutto con la legge elettorale che vige in Italia. Ma questo lo dico come cittadino, non come direttore de «L’Osservatore Romano».

Mi sembra di notare una certa stanchezza per i temi etici, come dimostrano anche alcuni sondaggi. La gente sembra più attenta agli aspetti pratici della vita, all’economia, agli stipendi bassi, alle tasse, agli aumenti dei prezzi nei negozi. Non le sembra che vi sia nell’opinione pubblica un rifiuto delle troppe ideologizzazioni?

Non si tratta di ideologizzare. Obiettivamente alcuni elementi sono fondamentali, come il costo della vita sempre più pesante. La famiglia – malgrado i tanti proclami a sua difesa – è poco aiutata, questo è un dato di fatto. È dunque naturale che la gente guardi a questi fatti obiettivi, ma di certo, non bisogna assolutamente dimenticare gli altri aspetti.

Esiste un vasto dibattito sulla laicità. Per alcuni la Chiesa interferisce troppo nella vita politica. Per altri ha pieno diritto di esprimere le proprie opinioni. Qual è il confine da rispettare?

Mi pare che sia quello che in Italia si pone l’episcopato con grande attenzione, con grande rigore. È lo stesso che si pongono tutti gli altri episcopati: in Spagna, in Francia, in Germania, nei Paesi europei ed extraeuropei. Cioè i vescovi predicano, esprimono il loro parere come pastori e ci mancherebbe che ciò non fosse possibile. Accettare questo è laicità, negarlo è un clericalismo di altro segno. È intolleranza.

Pd: Giuseppe Fioroni

Vita, giustizia e dignità: ecco i nostri temi

Msa. Sui temi della famiglia e della tutela della vita, cavallo di battaglia del centrodestra, come potete promuovere una posizione unitaria visto che nel vostro partito coesistono soggetti con visioni antropologiche assai diverse?

Fioroni. Non esiste una «politica cattolica» ma una politica fatta da parlamentari cattolici. Il Pd è sicuramente il partito che ne eleggerà il numero maggiore: persone che non hanno intenzione di rinunciare ai propri valori, specie sui temi che riguardano la vita e la morte ma anche la dignità dell’uomo. Mi riferisco alla difesa dei bisogni della famiglia, dei salari, dell’equità, della giustizia sociale e delle opportunità da garantire alle nuove generazioni. Il Pd vuole tutelare per tutto l’arco della vita la centralità e la dignità della persona umana. Con una convinzione profonda: i parlamentari cattolici non si occuperanno – come sta accadendo nella destra – solo di temi eticamente sensibili, ma incideranno anche nel campo dell’economia, dei servizi, della qualità della vita, e di tutto ciò che riguarda la quotidianità.

Quanto alla presenza dei radicali, non si può pensare che i cento parlamentari cattolici del Pd non saranno in grado di mantenere fede al programma sottoscritto, né che pochi radicali potranno mettere in discussione la capacità di azione e di fare politica dei cattolici. Il problema sarà casomai proprio dei radicali, che non potranno più presentare disegni di legge per l’abrogazione del concordato, dell’8 per mille, dell’ora di religione a scuola, del sistema sanitario nazionale, delle trattenute sindacali: tutte loro battaglie storiche che nella prossima legislatura non ci saranno, perché contrarie al programma del Pd.

Il consenso dei cattolici capitalizzato dalla destra si basa soprattutto sul fatto che questa si propone come schieramento in grado di tutelare i valori della famiglia, dell’accoglienza e della tutela della vita. Sono temi soltanto loro?

Noto a destra una straordinaria trasformazione: il Pdl è diventata una forza conservatrice. L’alleanza con la Lega lo rende distinto e distante dalla dottrina sociale della Chiesa: il rispetto della dignità, il principio dell’accoglienza e della solidarietà sono misconosciuti. L’esclusione dell’Udc sottolinea a maggior ragione i connotati di destra e con un’arroganza in più: pensare che si possa prendere qualche principio cristiano da usare come specchietto per le allodole, affidato a qualche ateo devoto. Ma così si dimentica che l’essere cristiano è una testimonianza quotidiana di vita, non un’ideologia.

Qual è il miglior antidoto contro l’antipolitica?

Gli italiani hanno amato per decenni la politica. Mio padre diceva: «Io sono democristiano», e quel verbo «essere» declinava l’appartenenza a un progetto per la propria famiglia, per la comunità, il Paese. Allora si condividevano progetti e valori, perché c’era un senso comune nella proposta politica che portava a rinunciare a una parte delle aspettative personali per investire sul futuro di tutti. L’antipolitica è legata all’odierna mancanza di un’educazione al bene comune. Il semplice fatto di desiderare una cosa per sé non può dar diritto a ottenerla o realizzarla. Questa politica, cavalcando i desideri individuali, ha pensato che l’essere laici significasse essere autonomi anche dall’etica e dai valori, perdendo così il senso della ricerca del bene comune.

I temi sensibili devono entrare in una campagna elettorale?

I temi della vita e della morte afferiscono alla coscienza di ogni cittadino come di ogni parlamentare. Questioni drammatiche, come l’eugenetica e l’eutanasia, vanno affidate a una riflessione profonda nella quale ciascuno possa interpellare la propria coscienza, e non alle strumentalizzazioni della campagna elettorale.

Alberto Friso

Pdl: Roberto Formigoni

Con la Chiesa sulle questioni essenziali

Msa. Siete nel Ppe, ma l’Udc, che garantiva la vostra identità di centro, è ora diversamente schierato e a voi alternativo. Inoltre, nel Pdl convivono forze politiche assai diverse e la nascita frettolosa del partito fa sorgere qualche sospetto. Perché i cattolici dovrebbero votare per voi?

Formigoni. Non è l’Udc che garantiva la nostra identità di centro, ma Forza Italia che ha aderito al Ppe dal 1997. È FI che, seguendo l’esortazione dei cittadini verso una semplificazione del quadro politico, ha dato vita a un’unica casa dei moderati in Italia. Sono rimasto stupito che Casini non abbia accettato l’invito. Siamo orgogliosi di essere di centro e di aver costruito la sezione italiana del Ppe, con FI e An, nella speranza che anche l’Udc un giorno si riunisca. I cattolici dovrebbero votare per noi perché solo il centrodestra, nelle questioni di fondo, si è sempre schierato dalla parte della Dottrina sociale cristiana. Pensiamo alla legge sulla fecondazione assistita o alla difesa della famiglia. Nel Pdl ci sono esponenti che hanno idee diverse, ma nel momento del voto noi cattolici di FI e del Pdl abbiamo sempre fatto valere la nostra impostazione. Basterà citare l’esempio della Regione Lombardia dove abbiamo applicato tutte le riforme nel senso della Dottrina sociale cristiana, della difesa della vita, della famiglia, della libertà di educazione. Di recente abbiamo votato a scrutinio segreto la volontà di difendere la vita fin dal momento del concepimento. Il centrodestra lombardo non è fatto tutto di cattolici, ma su questo punto hanno votato a favore anche i non credenti. Dentro il Pdl c’è questo spazio perché i valori cattolici siano riconosciuti da tutti e siano portati avanti.

Il consenso cattolico capitalizzato dalla sinistra si basa soprattutto sui temi della solidarietà, dell’aiuto ai ceti deboli, della giustizia sociale, del ripensamento del precariato. Sono soltanto temi loro?

Al contrario, io li rivendico come nostri. Prendo ancora spunto dal modello Lombardia, una regione ricchissima di associazioni di volontariato, con un terzo settore presente in maniera dinamica e capillare. La nostra politica è impostata sulla sussidiarietà e sulla solidarietà, sull’aiuto ai ceti più deboli. Non con una politica assistenzialistica, ma passando attraverso la valorizzazione dei centri di aiuto alla vita, del banco alimentare, delle associazioni di mutuo soccorso, dando certezza al lavoro. Non a caso la sanità lombarda è la migliore d’Italia, perché dà la possibilità di scegliere l’ospedale in cui farsi curare. Abbiamo reso disponibili in maniera gratuita tanti ospedali privati di eccellenza mondiale che, fino a ieri, erano riservati soltanto ai ricchi. Questa per me è una politica di attenzione alla parte debole della società. Il nostro è un voto popolare; i salotti radical chic e i ricchi non voteranno per noi.

Qual è il miglior antidoto contro l’antipolitica?

È la serietà personale, l’impegno delle persone. Il miglior antidoto non è questo o quel partito, ma donne e uomini che facciano politica intesa come servizio agli altri, che siano presenti in mezzo alla gente, che lavorino in maniera instancabile per rispondere ai bisogni dei cittadini. Oggi purtroppo ce ne sono pochi, ma ce ne sono ancora. La gente non odia la politica, ma la falsità, chi cerca il proprio tornaconto personale.

I temi sensibili devono o no entrare in una campagna elettorale?

È inevitabile che entrino perché sono temi che interessano la persona. La gente ha bisogno che se ne discuta e a farlo deve essere la politica, in modo concreto, non astratto e sempre con grande attenzione e rispetto, perché si tratta di favorire la libertà di ciascuno. Tenere questi temi fuori dalla campagna elettorale significa eludere ciò che sta più a cuore alla gente.

Nicoletta Masetto

Udc: Savino Pezzotta

Un centro cattolico contro il bipartitismo

Msa. I cattolici sono ormai presenti in tutti gli schieramenti. Voi, di fatto, uscite dalla logica bipolare e proponete di difendere in modo programmatico i valori della tradizione cristiana. Pensate in questo modo di attirare il voto cattolico?

Pezzotta. Il nostro obiettivo principale non è quello di attirare il voto cattolico. Noi pensiamo che la deriva verso il bipartitismo non faccia bene alla democrazia. Crediamo che in Italia ci sia bisogno di una forza intermedia, temperata, riformatrice, che sia in grado di allargare gli spazi di partecipazione.

Da quando, quattordici anni fa, l’Italia ha adottato il bipolarismo la situazione è peggiorata: oggi viviamo in un Paese più povero, nel quale le famiglie faticano ad arrivare a fine mese; nel quale esistono delle discrepanze attorno ai valori fondativi del vivere insieme; nel quale la vita non è sempre tutelata. E questo, indipendentemente dallo schieramento di governo. Per tale motivo noi proponiamo di abbandonare il modello del bipartitismo per ritornare alle forme del parlamentarismo, molto più partecipate e serie.

Poi è vero che nel panorama politico italiano siamo l’unica forza che dichiaratamente si ispira ai valori cristiani. Ma l’Udc resta uno schieramento laico, aconfessionale, anche se guarda alle radici del nostro Paese come elemento fruttifero per fare politica. D’altra parte è possibile declinare i principi e le indicazioni della Dottrina sociale della Chiesa con uno strumento che non abbia questo tipo di ispirazione? Può essere sufficiente la singola persona che milita in un partito? Perché quanti credono nella Dottrina sociale della Chiesa dovrebbero essere costretti a ritirarsi solo nel sociale o, in parte, nel privato? Noi facciamo una proposta, che è rivolta al mondo cattolico ma anche a quello laico, liberale, di ispirazione umanistica.

Il Pdl si propone ai cattolici come difensore della famiglia e della vita; il Pd come paladino dei ceti deboli e della giustizia sociale. Qual è invece la vostra proposta?

La nostra proposta è la sussidiarietà, la partecipazione. Parlando in termini economici, noi non siamo né statalisti né liberisti. La nostra idea di economia è l’idea dell’economia sociale di mercato, che contempera la possibilità della libera intrapresa ma non nega i principi della solidarietà. Abbiamo una visione di tipo personalistico sulla quale lavoriamo coesi. Mentre le altre due forze sono un coacervo di proposte di insiemi, la nostra è una proposta estremamente unitaria e lineare, legata all’omogeneità delle nostre radici fondative.

Qual è il miglior antidoto contro l’antipolitica?

L’antipolitica non esiste, è un’invenzione retorica. Chi si pone nel dibattito pubblico, anche se protesta o grida, si pone comunque in una dimensione politica. La vera questione, allora, sta nelle forme e nei modi dello stare in politica: il civismo, l’onestà, la visione della libertà e la mitezza. Quest’ultima è una virtù poco praticata, ma in realtà potrebbe veramente restituire alla gente fiducia nella politica, cambiandone il rapporto con la dimensione «sociale», facendo scaturire una tensione verso il bene comune.

I temi sensibili devono o no entrare in una campagna elettorale?

I temi sensibili entreranno sicuramente nel dibattito politico e in quel momento bisognerà esprimere con chiarezza il proprio pensiero.

Personalmente sono convinto che questi temi andrebbero affidati al Parlamento e non ai governi o ai partiti, che non possono decidere sul nascere, sul vivere o sul morire. Questa condizione appartiene alla dimensione parlamentare, all’interno della quale i cattolici possono concretamente operare in modo trasversale, rimanendo fedeli a un insegnamento più che a una disciplina di partito o di governo.

Sabina Fadel


Nando Pagnoncelli, amministratore delegato Ipsos Italia

Molti i cattolici tra gli indecisi

Msa. In vista di questa tornata elettorale sono aumentate le inchieste specifiche sul voto dei cattolici. Perché questo interesse?

Nando Pagnoncelli. Indagini sul mondo cattolico sono sempre state fatte. Probabilmente in quest’ultimo periodo è aumentato l’interesse perché siamo in una situazione molto particolare, caratterizzata dal fatto che un partito come l’Udc, che si ispira dichiaratamente ai valori cattolici, ha deciso di intraprendere una scelta diversa rispetto al passato. Già nella primavera dello scorso anno noi realizzammo un’ampia ricerca per conto della Margherita, presentata in Senato a luglio, volta a individuare il profilo degli elettori cattolici e a compiere un’analisi dell’orientamento di voto, confrontando i dati delle precedenti tornate elettorali.

Perché la semplificazione del quadro politico ha portato a un aumento degli «indecisi»?

Non è che ci sia un vero e proprio aumento degli indecisi. Noi monitoriamo settimanalmente gli orientamenti di voto e rispetto ai dati di due anni fa il livello di indecisione è rimasto pressoché invariato. Ci sono elementi costanti, ma anche alcune particolarità. Le costanti sono legate al fatto che il rapporto con la politica è cambiato: oggi non è più così centrale nella vita dei cittadini e quindi in molti casi si tende a rinviare la scelta all’ultimo momento. Non sto parlando, ovviamente, dell’elettorato classico di appartenenza, che tende a decidere con largo anticipo per chi voterà, ma di quella parte di elettori che tende a spostare la decisione alle ultime settimane (secondo alcuni ci sarebbe addirittura un 20 per cento di elettori che sceglie per chi votare proprio il giorno delle elezioni). È questo atteggiamento a determinare nelle settimane antecedenti la cosiddetta «zona grigia» costituita da circa un terzo (32-33 per cento) di elettori che dichiarano di non voler andare a votare oppure di non sapere esattamente per quale schieramento votare. Le particolarità, invece, stanno nella scomposizione e ricomposizione del quadro politico: partiti che si aggregano, nuove alleanze politiche, cartelli elettorali, partiti che spariscono. Tutto ciò può determinare nell’elettorato da un lato un po’ di disorientamento e dall’altro una curiosità maggiore nei confronti dei partiti che si presentano come nuovi. E gli elettori è come se volessero restare alla finestra per cercare di capire quali sono veramente i nuovi partiti e che cosa propongono.

In base ai suoi dati, intorno a quanto si aggira la percentuale di indecisi tra i cattolici?

Secondo una nostra indagine pubblicata di recente sul «Sole 24 Ore», la percentuale di indecisi e astensionisti si aggira attorno al 32,8 per cento sul totale degli elettori; se prendiamo in esame gli elettori cattolici (cattolici praticanti, coloro che vanno a messa con frequenza più elevata) la percentuale sale leggermente, perché ci troviamo di fronte a un 33,6 per cento. Però, va fatta una distinzione: molto spesso l’indecisione non è legata al fatto di essere cattolici. Tra questi, infatti, figurano tendenzialmente persone di età più avanzata e di scolarità più bassa rispetto alla media della popolazione, che risiedono per lo più nei piccoli e medi centri. Presso questi segmenti di popolazione, cattolica o meno, noi da sempre riscontriamo livelli d’incertezza più elevata.

S.F.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017