Cattolici: riscoprire le ragioni dell’impegno

«Il bene comune oggi: un impegno che viene da lontano» è il tema della 45° Settimana sociale dei cattolici italiani. Un richiamo ai cattolici affinché servano il bene comune del Paese.
24 Settembre 2007 | di

Dal 18 al 21 ottobre 2007 si terrà a Pisa e a Pistoia, a cento anni dalla sua prima edizione, la quarantacinquesima Settimana sociale dei cattolici italiani che verterà sul tema «Il bene comune oggi: un impegno che viene da lontano». È un invito a fare memoria «costruttiva» del contributo offerto dai cattolici italiani per il bene comune del nostro Paese nel corso di tutto il XX secolo, e un incoraggiamento ai laici nei confronti dell’impegno sociale e politico.

La scelta della sede è caduta su due città, Pisa e Pistoia, per ricordare il luogo dove si svolse la prima edizione (Pistoia 23-28 settembre 1907), e il luogo (Pisa) nel quale insegnò Giuseppe Toniolo, che fu il promotore di quella prima edizione. Da allora le settimane sociali hanno accompagnato e nutrito l’impegno dei cattolici italiani per il nostro Paese attraverso le stagioni e le vicende storiche, più volte drammatiche, che l’Italia ha conosciuto.


La genesi delle settimane

Le settimane sociali nacquero, tra le altre iniziative, per rispondere all’esigenza di dare un contributo progettuale alla società italiana.

Si svolsero ogni anno fino alla Prima guerra mondiale. I temi affrontati furono soprattutto il lavoro, la scuola, la condizione della donna, la famiglia. Dal 1927, un ruolo importante nell’organizzazione delle «settimane» fu assunto dall’Università Cattolica del Sacro Cuore. Poi, nel 1935, arrivò la prima sospensione a causa degli attriti con il regime fascista. Gli appuntamenti ripresero dopo la fine della Seconda guerra mondiale, nel 1945, in quella che fu la storica edizione nella quale intervenne Giuseppe Dossetti per porre le basi al dibattito sulla Costituzione e sulle istituzioni democratiche. In quel contesto si sottolineò come la democrazia politica non solo doveva essere integrata da una democrazia economica ma, attraverso il «patto costituente», giungere alla piena tutela di una serie di valori e al conseguimento di obiettivi di giustizia.

Le settimane sociali continuarono fino al 1970, quando arrivò una seconda e lunga sospensione. A seguito delle sollecitazioni provenienti dal Convegno di Loreto del 1985 la ripresa avvenne tre anni dopo, nel 1988, con una nota pastorale della Conferenza episcopale italiana dal titolo «Ripristino e rinnovamento delle settimane sociali dei cattolici italiani». Da allora si sono tenute tre edizioni: quella del 1991 a Roma su «I cattolici italiani e la nuova giovinezza dell’Europa»; quella del 1993 a Torino su «Identità nazionale, democrazia e bene comune» e quella del 1999 su «Quale società civile per l’Italia di domani?». Dal 7 al 10 ottobre 2004, a Bologna, si è svolta infine la quarantaquattresima Settimana sociale sul tema «Democrazia: nuovi scenari, nuovi poteri».

Le «settimane» hanno rappresentato per i cattolici – soprattutto per i fedeli laci – anche un insostituibile luogo di formazione all’impegno sociale e politico in senso lato, poiché hanno favorito la loro preparazione su obiettivi precisi e, nel contesto di grandi orientamenti valoriali, la loro partecipazione politica.


Appuntamento a Pisa e Pistoia

Ora si attendono almeno 1.200 delegati dalle circa 200 diocesi italiane, più qualche altro centinaio di ospiti italiani e stranieri, oltre naturalmente al presidente della Conferenza episcopale italiana, monsignor Angelo Bagnasco, cardinali e vescovi, autorità istituzionali. Consegnando il denso documento preparatorio, il vescovo Arrigo Miglio ha evidenziato come i quattro giorni di dibattito della Chiesa italiana «non intendano essere una celebrazione del passato, ma vogliano rappresentare un punto di partenza su un tema capace di coinvolgere tutti, com’è quello del bene comune».

Il programma prevede due momenti: la prima sessione si terrà a Pistoia il 18 ottobre del 2007. A ospitare i delegati sarà la cattedrale di San Zeno. Con il coordinamento del professor Giuseppe dalla Torre, sarà Andrea Riccardi – docente universitario e cofondatore della Comunità di Sant’Egidio – a svolgere la relazione di base. Due le comunicazioni successive: una su Giuseppe Toniolo, a cura del vescovo di Assisi, Domenico Sorrentino, postulatore nella causa di beatificazione aperta in Vaticano sul sociologo; l’altra a cura del professor Giorgio Petracchi, pistoiese e direttore del dipartimento di Scienze Storiche all’università di Udine.

Nei giorni seguenti, fino al 21 ottobre, il convegno si sposterà a Pisa, dove sono previste quattro sessioni ciascuna con una relazione centrale e quattro interventi programmati cui seguirà il dibattito. In tale contesto si declineranno le ragioni del bene comune attorno a: «Bene comune nell’era della globalizzazione», «Stato mercato e terzo settore», «Prospettive della Biopolitica», «Educare e formare». La sessione conclusiva verterà sul tema: «Un futuro per il bene comune?». In questa fase interverrà anche il cardinale Peter Erdo, arcivescovo di Bucarest e presidente delle Conferenze episcopali d’Europa.

Certamente la Settimana sociale sarà «un laboratorio» di livello culturale alto. C’è da augurarsi che il tutto si riversi nei cammini delle comunità locali per continuare a lavorare pastoralmente attorno ad alcuni nodi formativi (come per esempio l’approfondimento dei rapporti Chiesa-mondo, Chiesa-comunità politica, fede-politica oppure la promozione di un’azione educativa per la comune condivisione dei medesimi principi ispirati alla retta ragione e al Vangelo) che potrebbero certamente aiutare le comunità cristiane e i cristiani singoli o associati nell’esercizio del loro cristianesimo.     


zoom

Hanno detto

È utile segnalare le parole di due autorevoli vescovi italiani, che possono aiutarci a entrare con alcuni desideri nell’evento di Pistoia e Pisa.


«È anche necessario un rinnovato impegno delle nostre Chiese e realtà ecclesiali per sviluppare una più ampia e profonda opera formativa dei laici – singoli e aggregati – che assicuri loro quell’animazione spirituale, quella passione pastorale e quello slancio culturale che li rende pronti e decisi (e aggiungerei: competenti, dialoganti, coerenti, operativi e coraggiosi) nella loro tipica testimonianza evangelica e umana al servizio del bene comune, in specie nel campo familiare, sociale, economico-finanziario, culturale, mediatico e politico, e tutto ciò nell’ambito del Paese, dell’Europa e del mondo».

(Cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, Prolusione del IV Convegno Ecclesiale di Verona)


«Nel corso della precedente settimana sociale, Bologna 2004, avvenne la prima presentazione del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, pubblicato dal Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace: abbiamo dunque ora anche l’occasione per fare un bilancio su come e quanto l’insegnamento sociale della Chiesa sia accolto e recepito dalle comunità cristiane, specialmente da coloro che sono impegnati direttamente in campo sociale, economico e politico. Il Santo Padre Benedetto XVI ci ha consegnato alcune parole fondamentali per questo impegno, sia nell’Enciclica Deus Caritas Est, specialmente ai nn. 28 e 29, sia nel discorso al Convegno Ecclesiale di Verona, lo scorso ottobre, e da Verona è venuto per tutte le Chiese italiane un forte invito a educare alla cittadinanza, approfondendo il rapporto tra carità e giustizia e riscoprendo la rilevanza politica della Carità» (…).

«Possa la settimana del centenario diventare il punto di partenza per una nuova stagione di feconda riflessione e di rinnovato impegno dei cattolici verso il loro Paese, continuando una tradizione ricca non solo per una cultura e un pensiero sociale profondamente radicati nel Vangelo, ma anche per quelle figure di cristiani che, come Toniolo, hanno saputo vivere il Vangelo e incarnarlo nella società del loro tempo».

(Monsignor Arrigo Miglio, vescovo di Ivrea e presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle settimane sociali dei cattolici italiani, presentando «il senso del centenario»)


La «Populorum Progressio» quarant’anni dopo

Uno sviluppo integrale e solidale

Quando, quarant’anni fa, uscì, l’enciclica Populorum Progressio fece scalpore soprattutto per la sua affermazione: «Lo sviluppo è il nuovo nome della pace» (n. 87). Tuttavia – ammoniva –, se non sarà «integrale» e «solidale», lo sviluppo non porterà la pace, ma scatenerà «la collera dei poveri». Infatti, «quando popolazioni intere, sprovviste del necessario, vivono in uno stato di dipendenza tale da impedir loro qualsiasi iniziativa e responsabilità, e anche ogni possibilità di promozione culturale e di partecipazione alla vita sociale e politica, grande è la tentazione di respingere con la violenza simili ingiurie alla dignità umana» (n. 30). Paolo VI fu profeta. Nonostante l’innegabile crescita del mondo negli ultimi quarant’anni, guerre e terrorismo proliferano oggi più di ieri. Perché? Lo sviluppo non è stato né «integrale» né «solidale».

L’enciclica lo aveva detto chiaramente: «Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, vale a dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo» (n. 14).

Nei decenni passati, la tecnica, la scienza, l’economia, i rapporti internazionali hanno fatto straordinari progressi, ma spesso a scapito della dimensione morale e religiosa dell’esistenza. L’effetto è stato lo squilibrio disumano della stessa crescita materiale: dei circa 6 miliardi di persone che popolano il mondo, solo 900 milioni vivono nell’abbondanza, 3 miliardi «sopravvivono» con meno di due dollari al giorno e 1 miliardo e mezzo con meno di un dollaro. L’aver identificato lo sviluppo con il solo benessere materiale ha favorito il diffondersi di tendenze distruttive della vita umana e dell’ambiente stesso in cui essa si svolge. Il richiamo della Populorum progressio a uno sviluppo «integrale», quindi, non è meno attuale di quarant’anni fa.

Ma non basta. Lo sviluppo deve essere anche «solidale». «La malattia del mondo – afferma ancora l’enciclica – risiede meno nella dilapidazione delle risorse o nel loro accaparramento da parte di alcuni, che nella mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli» (n. 66). In altre parole: se manca la solidarietà, lo sviluppo non può essere completo, neppure puntando all’individuo nella sua integralità.

Ciò spiega perché i massicci aiuti materiali ai popoli in via di sviluppo hanno finito, in molti casi, col creare distorsioni e ulteriori squilibri. La ragione è – nota l’enciclica – che se mancano la solidarietà e il «dialogo tra coloro che forniscono i mezzi e coloro cui sono destinati», così da «commisurare gli apporti, (…) in funzione dei bisogni reali e delle possibilità di impiego», i Paesi in via di sviluppo, anziché crescere, corrono «il rischio di vedersi sopraffatti da debiti, il cui soddisfacimento finisce con l’assorbire il meglio dei loro guadagni» (ivi, n. 54).

Paolo VI, dunque, è stato profeta e la Populorum progressio è rimasta attuale: solo uno sviluppo «integrale» e «solidale» consentirà a tutti e a ciascuno di crescere, di essere artefici del proprio destino e costruttori di pace.

(Bartolomeo Sorge S. I.)

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017