Carlo Verdone. È sempre tempo di sperimentare

Dopo oltre trent'anni spesi nella commedia, il popolare attore e regista si cimenta in un ruolo drammatico. E a proposito del cinema italiano dice: ci vogliono più coraggio e più qualità.
15 Gennaio 2013 | di

«Non so se sono un bravo attore o un bravo regista, ma di sicuro sono una brava persona». Così ha esordito Carlo Verdone inaugurando la sezione «Prospettiva Italia» all’ultima edizione del Festival internazionale del film di Roma. E non a caso Carlo, il documentario realizzato da Fabio Ferzetti e Gianfranco Giagni presentato per l’occasione, racconta molto del Verdone persona, più che personaggio. Nel documentario, il popolare artista romano, amatissimo da un pubblico che va dai 9 ai 90 anni, parla della sua vita in modo semplice e spontaneo, attraverso un’intervista rilasciata al suo compagno di liceo Filippo La Porta, critico letterario.

Un ruolo centrale del racconto è la famiglia: «Le devo la mia creatività artistica. I miei mi spingevano a visitare il mio quartiere (Trastevere, ndr), a parlare con la gente, e questo mi ha aiutato nella costruzione di tanti personaggi, come Leo di Un sacco bello, o Ivano di Viaggi di nozze». L’attore racconta come i suoi primi spettacoli li realizzasse in casa, da ragazzo. Una tenda del salone come sipario, e mamma, papà e zii come spettatori. Fondamentale la figura del padre, lo storico cinematografico e docente universitario Mario Verdone, che l’attore ricorda come genitore presente e carismatico, ma anche molto severo. Come non essere condizionato, poi, dalle personalità che si avvicendavano a casa dei Verdone? Vittorio De Sica, Bernardo Bertolucci, Sergio Leone, solo per citarne alcuni. E proprio a quest’ultimo Verdone deve i primi incoraggiamenti e i fondamentali consigli di regia cinematografica.

Nel documentario, che mostra episodi poco noti della vita privata, come una festa di compleanno dove Massimo Troisi gli augurava «quarantamila anni di vita», ripresa in un video commovente, testimoni affettuosi si avvicendano davanti alla telecamera. Attori come Margherita Buy, Laura Morante, Eleonora Giorgi, Christian De Sica (che ha sposato la sorella Silvia, ndr), ma anche il fratello Luca e gli amatissimi figli Pao­lo e Giulia. Ma più che di sé Carlo Verdone vuole parlarci del cinema.

Msa. Grazie soprattutto a un certo filone di «impegno sociale», legato alla cronaca e all’attualità, il cinema italiano sta vivendo una nuova stagione di gloria. Si può dire lo stesso per la commedia all’italiana?
Verdone. Non saprei se definirla «stagione di gloria», mi sembra eccessivo. Sicuramente si stanno facendo strada nuovi autori e si stanno girando molte pellicole di impegno sociale. E questo è un bene, altrimenti il cinema rischierebbe di essere solo intrattenimento popolare. Ma c’è un problema di fondo: l’assenza di pubblico per i film italiani. In particolare per quelli che hanno tematiche importanti. Si ha la sensazione di una momentanea disaffezione alla sala cinematografica. Sarebbe tragico, perché significherebbe che non si sente più il bisogno di condividere un’emozione sullo schermo con altre persone. Io mi auguro che sia frutto anche della crisi economica che ci sta attanagliando. Ma se, invece, vedere un film al computer o in tv piuttosto che al cinema è frutto di una scelta non obbligata da ragioni contingenti, allora il problema è drammatico: si tratterebbe di un nuovo atteggiamento sociale che non sta a indicare nulla di buono, se non un progressivo isolamento dell’individuo.

Per quel che riguarda la commedia, credo che sia arrivato il momento di pensare più alla qualità che alla quantità. Se il film è valido qualitativamente, il passaparola ci sarà, e di conseguenza arriverà anche un buon incasso. La commedia deve alzare il tiro nella stesura di soggetti intelligenti, di temi che siano originali, anche ispirandosi ai problemi reali della gente «vera». Solo rinnovandosi nei contenuti la commedia potrà far ancora da traino all’industria cinematografica.

La voglia di innovazione in Italia si scontra spesso, in vari settori, con l’immobilismo. Quale potrebbe essere la soluzione per dare nuova linfa al settore cinematografico?
Ci vorrebbe un graduale ricambio generazionale (anche nei settori culturali e politici!) che cominci a raccontare in maniera originale. Solo che, pur emergendo nomi interessanti, questo ricambio stenta a decollare. Per dare linfa vitale al cinema innanzitutto non si dovrebbero chiudere duecento sale all’anno. In genere si tratta di monosale, ovvero le preferite dal pubblico di mezza età. Se tagliamo fuori quel pubblico resteremo solo con i multiplex, che attirano esclusivamente giovani e offrono solo un certo tipo di film d’azione. Questo è un danno che va fermato all’istante.

Al di là delle difficoltà economiche, la crisi del cinema italiano riguarda anche la mancanza di idee, di autori nuovi, di registi davvero innovativi e motivati?
Certo. Se ci sono meno soldi si rischia di meno e si tende ad andare sul sicuro. Ma ora abbiamo capito che non c’è più nulla di sicuro. In ogni caso, la ricerca di giovani talenti nel campo della regia o della recitazione non deve mai venire a mancare, altrimenti il cinema morirà.

Si cimenterebbe oggi, come interprete o come regista, in un film magari drammatico, con tematiche «sociali» legate all’attualità?
Certamente. Dopo più di trent’anni di lavoro durissimo nel campo della commedia, si sente il bisogno di fare un’incursione in un altro tipo di cinema. Anche momentaneamente. Per questo ho accolto la chiamata di Paolo Sorrentino a interpretare un ruolo ne La Grande Bellezza: una sorta di «dolce vita» dei giorni nostri, vista con gli occhi di un regista formidabile (uscirà nelle sale italiane l’11 aprile 2013, ndr). Allo stesso modo, anche la regia dell’opera La Cenerentola, in mondovisione, è stato un tentativo di lasciare temporaneamente la commedia e mettermi alla prova in un settore diverso. Sono molto soddisfatto di queste esperienze, e non escludo altre incursioni in differenti territori cinematografici.

Agli inizi della sua carriera, ha avuto miti o maestri di riferimento?
I miei riferimenti erano i primi film di Fellini, di Germi, il Sordi rivoluzionario nelle pellicole in bianco e nero. Ma erano soprattutto i grandi caratteristi che amavo molto: quelli degli anni ’50 e ’60, che hanno fatto grande la commedia italiana. Quasi più dei protagonisti direi. Oggi il caratterista vero non esiste più. Gli ultimi li ho usati io nei miei primi film: la Sora Lella, sorella di Aldo Fabrizi, Mario Brega, Angelo Infanti…

Cosa consiglia ai giovani che vogliano lavorare nel cinema, come tecnici, attori o registi?
Difficile dare una risposta. In ogni caso, sarebbe già un primo passo importante formare un bel gruppo di amici, con i quali condividere la realizzazione di un «corto» o di un mediometraggio a basso costo, dove ognuno si appassioni a un settore. Oggi molti nuovi registi vengono scelti per aver fatto un «corto» interessante che faccia prevedere una buona maturazione.

In un buon prodotto cinematografico conta più il messaggio o il modo di esprimerlo?
Se lo esprimi bene, il messaggio arriva. Se lo esprimi male, il messaggio si perde totalmente. Saper raccontare è fondamentale nel cinema.

C’è qualcosa che dovremmo imparare dall’estero?
Il coraggio è il fattore che ci penalizza. All’estero hanno più coraggio, e raccontano storie internazionali, o almeno con temi europei, che riguardano tutti. Noi abbiamo il vizio di fermarci a raccontare dettagli della nostra piccola Italia. Ecco perché escono film «condominiali», improponibili e invendibili fuori dalla nostra real­tà.

È finita per sempre la stagione della «Hollywood sul Tevere», o ci sono speranze di ripresa?
È finita da un pezzo, purtroppo! Oggi potremmo riorganizzare gli studi di Cinecittà con grandi benefici per chi viene a girare a Roma, la qual cosa permetterebbe di aumentare l’indotto, e di mantenere e crea­re posti di lavoro. Le nostre maestranze e i nostri tecnici sono tra i migliori al mondo. Dovremmo essere più competitivi, e ristrutturare molti stabilimenti per il digitale, visto che tra qualche anno la pellicola non esisterà più e andremo avanti con la digitalizzazione. Gireremo con le telecamere e dovremo dare l’addio alla vecchia cinepresa. Già molti oggi girano in digitale. È tramontata un’epoca: o ci adeguiamo o è la fine.

Progetti futuri?
Terminate le riprese con Sorrentino, sto pensando al mio nuovo film, una commedia. E mi ritaglierò il fine settimana per prendere appunti su un prossimo libro. Insomma, non riesco mai a fermarmi. Ma finché l’energia mi sostiene, insieme con la passione per quello che faccio e per la mia professione, va bene così!

  

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017