Caritas antoniana 2004. Per i bambini dell'Iraq

Quest'anno celebriamo sant'Antonio accanto ai bambini iracheni. Per questo affidiamo i nostri progetti alle comunità cristiane locali: loro sapranno piantare i nostri semi di pace per il bene di tutta la comunità.
26 Maggio 2004 | di

Tre asili e una casa per bambini handicappati a Baghdad, un ospedale e una scuola per infermiere a Mossul, un orfanotrofio ad Alquosh: scuola, sanità , accoglienza. Questi i progetti della Caritas antoniana, che vi proponiamo in occasione della festa di sant'Antonio. È la prima volta che la nostra solidarietà  agisce in un Paese in guerra. Due i motivi. Volevamo celebrare Antonio raggiungendo i bambini iracheni e abbiamo trovato chi può aiutarci a farlo nel modo più efficace: le comunità  cristiane locali. Questa volta, volevamo arrivare prima possibile per mettere qualche seme di speranza in un Paese che fatica a immaginare il proprio futuro. E volevamo iniziare da loro, dai bambini, le prime vittime di questa guerra, gli ultimi, amati da Antonio: da Ahmed che non va a scuola perché ha paura, da Fatema che raccoglie l'acqua dalle pozzanghere del suo quartiere, da Alì che ha perso una gamba in un bombardamento. Sono allegri, ridono, giocano, sono curiosi i bambini di Baghdad - afferma Gian Paolo Silvestri, responsabile Asvi (Associazione volontari per il servizio internazionale) per l'Iraq e uno dei referenti per i nostri progetti -, ma vivono all'ombra di un dramma difficile da superare.
Non è solo un'impressione, lo dimostra lo studio di Magne Raudalen, uno psicologo norvegese, specializzato in traumi di guerra infantili, che, insieme a un pool di specialisti internazionali, ha condotto un'indagine su cento bambini iracheni, appena prima dell'inizio della guerra. È lui a raccontare di Shema, 6 anni, che si tappava le orecchie per non sentire il telegiornale. Gli americani stavano per attaccare l'Iraq e nel suo immaginario uomini cattivi sarebbero sbarcati con le loro maschere per depredare e tagliare la gola a mamma, papà , a lei stessa. Quando le bombe cadranno - spiegava Shema -, l'aria sarà  molto calda e la terra ci inghiottirà . E ci bruceranno gli occhi. Parlava delle sue paure - spiega Raudalen -, come se appartenessero a un'altra, poi tornava a giocare, allegra e apparentemente spensierata.
Lo psicologo aveva già  fatto uno studio dopo la prima guerra del Golfo, ma ora la situazione era precipitata: Prima c'era più speranza, più capacità  di confortarsi a vicenda e di sostenere i bambini psicologicamente. Alla vigilia di questa guerra un muro di dolore, rassegnazione, terrore chiudeva ogni individuo in se stesso e i piccoli erano soli con le loro paure. Nessuno più spiegava loro la differenza tra minacce reali e pericoli immaginari. Epilogo inevitabile per un Paese che in appena vent'anni ha vissuto drammi su drammi: la guerra contro l'Iran, costata un milione di morti, il massacro dei curdi con armi chimiche, l'invasione del Kuwait, la guerra del Golfo, l'embargo economico decretato dall'Onu nel 1991, il sadico disinteresse del dittatore Saddam Hussein. E ora questo dopoguerra caotico e violento: sullo sfondo, lo spettro del fondamentalismo islamico e la minaccia della guerra civile.


Vittime della guerra umanitaria

Nei piani bassi della storia, quelli mai considerati, persino quando si fanno le guerre per ragioni umanitarie, i protagonisti sono loro: i bambini. L'Iraq è un Paese bambino, perché il 41 per cento della sua popolazione ha meno di 14 anni. Sono loro a pagare il prezzo più alto. Save the Children - Ong internazionale di aiuto ai minori - e l'Unicef parlavano di crisi umanitaria già  prima di questa guerra: 500 mila bambini iracheni sono morti solo a causa dell'embargo economico, per malnutrizione e mancanza dei farmaci più banali. Ancora oggi la prima causa di morte è la mancanza d'acqua. Le infezioni più comuni: le diarree e le malattie respiratorie, che insieme causano il 70 per cento dei decessi. Un bambino su quattro è denutrito e uno su otto muore prima dei cinque anni; metà  delle donne incinte è anemica e partorisce bambini sottopeso.
L'ultima guerra, azzerando i punti di riferimento del sistema di assistenza statale, ha portato al collasso i già  scarsi servizi, anche se oggi le forze della coalizione stanno lavorando molto per ristabilirli.


Pericolo mine e ordigni inesplosi

L'altra minaccia che grava sui bambini sono le mine e gli ordigni inesplosi, causa di molte morti e di gravi handicap. Nelle città , luce, acqua, cibo sono ancora emergenze - testimonia Silvestri -, mentre il lavoro manca e con il lavoro la possibilità  di dare ai bambini il minimo necessario. L'insicurezza per le strade, porta i genitori a non mandare i figli a scuola, soprattutto le bambine, rimandando a un futuro incerto il ritorno dei piccoli alla normalità .
Intervenire in Iraq non è semplice. Gli attentati alla sede della Croce Rossa e delle Nazioni Unite lo dimostrano. Monta il risentimento inter-etnico e l'opposizione violenta di frange sia sciite che sunnite all'intervento americano. Il passaggio del potere in mano irachena, previsto per il 30 giugno, è pieno d'incognite, mentre ogni aiuto umanitario necessita di punti di riferimento istituzionali certi. L'urgenza di fare qualcosa per questi bambini, che intravediamo ogni giorno sui telegiornali, ha portato la Caritas antoniana a cercare una strada per raggiungerli, comunque.


Cristiani d'Iraq il nostro referente

In Iraq esiste una comunità  cristiana piccola ma vitale: 600 mila persone in tutto, meno del quattro per cento della popolazione, formata da una maggioranza di rito caldeo e una minoranza di vari riti. Proprio loro, iracheni doc, profondi conoscitori del territorio e dei problemi, sono il punto di riferimento naturale per dare corpo al nostro desiderio di raggiungere i bambini dell'Iraq - spiega padre Luciano Massarotto, direttore della Caritas antoniana - . I progetti che proponiamo vengono da loro e dalla loro voglia di fare qualcosa per il loro Paese. I caldei sono tra i più antichi abitanti dell'Iraq. La prima comunità  cristiana risale alle origini della Chiesa, evangelizzata, secondo la tradizione, dall'apostolo Tommaso. Vivono soprattutto al Nord, specie a Mosul, considerata la capitale cattolica dell'Iraq. Una minoranza religiosa con delle difficoltà , che stenta a sopravvivere per i tanti cristiani emigrati a causa delle scarse possibilità  di vita nel Paese, ma con una sostanziale libertà  di culto. Il regime di Saddam Hussein era laico e l'Iraq non ha sviluppato tendenze fondamentaliste. Almeno fino ad ora.
Il rapporto con la maggioranza musulmana è di amicizia e, a volte, di condivisione: Durante la guerra - afferma monsignor Shlemon Warduni, vescovo ausiliare caldeo di Baghdad - le nostre chiese erano aperte a tutti. Musulmani e cristiani vi si rifugiavano per trovare un posto sicuro. Rapporti consolidati dalla posizione della Santa Sede: Il Papa si è opposto a questo conflitto e ciò ha fatto guadagnare stima alla Chiesa cattolica - conferma monsignor Dal Toso, responsabile per l'Iraq, del Cor Unum, organo della Conferenza episcopale italiana per gli interventi nel terzo mondo -. I musulmani hanno espresso pubblicamente la loro gratitudine. Ma anche su questa convivenza, fino ad ora pacifica, grava il peso di un futuro incerto: I dubbi - continua Dal Toso - riguardano il tipo di repubblica che s'instaurerà  e, soprattutto, la nuova Costituzione: sarà  in grado di garantire i diritti di tutti?. Intanto, cresce l'attrito tra sciiti e sunniti e tra arabi e curdi. Il conflitto tra etnie e religioni è dietro l'angolo.
Ci siamo chiesti quale fosse il modo migliore per intervenire in Iraq in questa situazione difficile - afferma padre Massarotto - . E abbiamo pensato che affidare i progetti a favore dei bambini iracheni alla minoranza cattolica, che soffre degli stessi mali, affinché ne faccia dono a tutta la comunità  è di per sé un atto di pacificazione, un piccolo mattone per il futuro. L'Iraq che sogniamo per tutti questi bambini è un Iraq di giustizia sociale, di pace, di tolleranza. Questi progetti sono piccoli semi piantati a Baghdad, a Mosul ad Alqosh, in nome di tutti voi.

A Baghdad tre scuole materne

Recuperare la serenità , l'amore, le cure, il gioco che ogni bambino dovrebbe avere per il solo fatto di essere nato è l'unico modo per cancellare la guerra dall'anima. E guardare al futuro. È il nostro augurio per i bambini che riusciremo a raggiungere a Baghdad.

Per strada c'è gente e una grande voglia di normalità . Quando guardavo la televisione italiana a Baghdad mi stupivo: non percepivo quel clima di violenza descritto né avevo la sensazione di trovarmi in una città  assediata.
A parlare è l'ingegner Giuseppe Parma dell'Asvi (Associazione volontari per il servizio internazionale), appena tornato dall'Iraq per mettere a punto i progetti di costruzione e ristrutturazione di tre scuole materne, che saranno finanziate con il vostro aiuto, per un totale previsto di 100 mila euro. Certo, ci sono difficoltà  oggettive - continua -. Ma la gente è più sollevata. L'altra sera ero a cena con una famiglia irachena. Tutti parlavano liberamente. Impensabile fino a poco tempo fa. Gli abitanti di Baghdad temono più la criminalità  che gli attentati: sono sempre di più i rapimenti di bambini per estorcere riscatti. Le scuole sono presidiate dai poliziotti. I piccoli che frequentano i nostri asili, prima avevano un servizio di pulmino, oggi vengono accompagnati direttamente dai genitori per non incorrere in imboscate.
L'Asvi, a Baghdad, ha già  ristrutturato e avviato quattro asili nelle parrocchie cattoliche: Alcune parrocchie già  avevano un asilo, magari in locali angusti o fatiscenti; altre volevano istituirlo, ma non avevano i fondi per farlo.
Oggi che alcuni asili sono già  in funzione, il ministero dell'Istruzione del governo provvisorio e l'Unicef guardano all'esperienza come a un progetto pilota da estendere a tutta la città : Osservano - spiega Parma - come strutturiamo gli spazi, come stendiamo la lista dei bisogni, come formiamo gli insegnanti. L'asilo in Medioriente non è come da noi: è, di fatto, l'inizio della scolarizzazione. Questo servizio, ancora molto carente a Baghdad, è fondamentale soprattutto adesso, che i genitori devono lavorare.
I bisogni sono tanti: dalla ristrutturazione degli edifici, al mobilio, dal materiale didattico allo stipendio dell'insegnante.
Che cosa significa, per un bambino di Baghdad, poter frequentare un asilo? Vuol dire vivere in un luogo tutto suo, a sua misura, dove non deve aver paura. Significa tornare alla normalità , risponde Parma.
Poi ricorda l'episodio che lo ha più colpito durante il lavoro a Baghdad: L'anno scorso a Dora Mecanic (quartiere poverissimo di Baghdad) avevo conosciuto dei bambini che giocavano in mezzo al fango. Lì le fognature sono a cielo aperto e la spazzatura è accantonata tra gli spazi di terra che separano una strada dall'altra. Girano liberamente capre e pecore. Quando quest'anno, all'inaugurazione dell'asilo del quartiere, ho visto gli stessi bambini con i vestiti puliti e pieni di gioia perché finalmente avevano uno spazio loro, ho capito che questa era la speranza. Una piccola cosa, ma molto concreta.

Per bambini handicappati

Prima dell'inizio della guerra, il governo indiano aveva richiamato in patria le suore Denzy, Rosylin e Theresiana che, insieme a un'altra sorella delle Missionarie della Carità  del Bangladesh, gestivano a Baghdad un orfanotrofio per bambini handicappati. Non potevamo lasciare l'Iraq - raccontasuor Denzy -, nessuno si sarebbe preso cura dei nostri bambini. Ci siamo dette accada quel che accada, noi restiamo qui. Le quattro suore di madre Teresa erano venute in Iraq da un altro Paese pieno di bisogno come l'India, per testimoniare vicinanza e condivisione, all'indomani della guerra del Golfo del 1991, rispondendo a un invito dello stesso Saddam Hussein. Oggi sono madri di 24 bambini, dai 2 ai 12 anni, orfani a causa dei bombardamenti americani o per l'esposizione dei genitori all'uranio impoverito. Alcuni non parlano, altri sono completamente ciechi, altri senza braccia o gambe, altri ancora con grave ritardo mentale. L'orfanotrofio, che si trova al centro di Baghdad, è stato miracolosamente risparmiato dalle bombe, ma l'esperienza è stata terribile: I bambini erano terrorizzati - racconta la suora -, il solo rumore degli aerei li gettava nel panico. Tutt'intorno, il fragore assordante delle esplosioni. Noi resistevamo pregando.
L'amore e la dedizione delle suore sono l'unico porto di quiete per questi bambini. La casa in cui oggi vivono è però troppo piccola rispetto ai bisogni. I lettori del Messaggero - spiega padre Massarotto - contribuiranno all'acquisto di una casa più grande. Ciò permetterà  di avere spazi più adeguati e, soprattutto, di aumentare il numero di bambini accolti. Molti piccoli con gravi handicap oggi vegetano senza cure adatte alla loro condizione negli orfanotrofi della capitale. Il costo del progetto è di 120 mila euro.

A Mosul ospedale e scuola per infermiere

È un progetto fortemente voluto dai vescovi iracheni per Mosul, nel Nord del Paese: cinquanta posti letto soprattutto per bambini e anziani. Ad Alquosh, invece, un orfanotrofio presso il monastero di Raban Hormiz.

Assicurare un'assistenza sanitaria accessibile ai poveri e offrire una possibilità  di lavoro alle ragazze. Queste le due ragioni che stanno alla base di un progetto voluto con determinazione dai vescovi iracheni a Mosul, nel Nord del Paese: la costruzione di un piccolo ospedale con 50 posti letto e l'istituzione di una scuola per infermiere.
Un ambulatorio con dispensario gestito dalla Chiesa cattolica - afferma monsignor Dal Toso del Cor Unum -, nel quale operano medici e infermieri a titolo volontario, già  esiste da alcuni anni. La necessità  di ampliare i servizi alla popolazione e di coprire le esigenze soprattutto della fascia più debole, cioè bambini, anziani e donne incinte, ha spinto la Chiesa locale a puntare molto su questo progetto.
La guerra ha, infatti,peggiorato un sistema sanitario già  inefficiente, creando un'emergenza nell'emergenza. Lo testimonia un recente comunicato di Medici senza frontiere (Msf): Il problema medico più grave era la mancanza di direzione in un sistema sanitario altamente centralizzato, caduto nel caos a seguito della guerra. Questo ha provocato, secondo le dichiarazioni di Morten Rostrup, presidente di Msf a Baghdad, durante la guerra, un inaccettabile numero di vite.
Al deterioramento del sistema sanitario, si aggiunge la difficoltà  di lavorare da parte delle organizzazioni umanitarie, in un contesto in cui persino gli operatori sanitari sono attaccati come simboli della presenza occidentale in Iraq.
Il punto di forza del nostro progetto sta nel fatto che esso è nato in Iraq - afferma padre Luciano Massarotto, direttore della Caritas antoniana -, ha una sua storia ed è gestito dagli stessi iracheni. Sarà  per i più deboli un importante punto di riferimento.
Il progetto di istituire anche una scuola per infermiere viene incontro alla necessità  di avere a disposizione questo tipo di professionalità  che è ancora molto rara nel Paese - spiega monsignor Dal Toso - e va nella direzione di creare posti di lavoro, altra grande emergenza di questo dopoguerra che sembra non avere mai termine.
Il costo complessivo previsto per la realizzazione del progetto è di 100 mila euro.

Ad Alquosh un orfanotrofio

Sulle montagne che sovrastano la città  assira di Alquosh, nel Nord dell'Iraq, una cinquantina di chilometri da Mosul, torreggia il monastero di Rabban Hormiz, il simbolo della cristianità  in Oriente dal 640 dopo Cristo fino agli anni '80, quando il regime ne decretò la chiusura. Il monastero ha continuato a sopravvivere non ufficialmente e a farsi carico, ospitandoli addirittura in chiesa, dei bambini orfani a causa della guerra o dell'embargo. Un lavoro faticoso, portato avanti con coraggio da padre Mofeed Toma Marcus, responsabile del monastero e della chiesa di Nostra Signora.
Fu lui a costruire il piccolo orfanotrofio accanto al monastero, che oggi accoglie ventotto bambini dai quattro ai quattordici anni. Ma le difficoltà  sono tante perché il monastero vive della beneficenza dei parrocchiani, a loro volta poverissimi. Qui gli inverni sono rigidi - racconta padre Marcus - ma noi non abbiamo impianto di riscaldamento. Poi continua la lista delle cose che potrebberomigliorare la qualità  di vita di quelli che lui considera i suoi figli: Molti interruttori e rubinetti non funzionano, non ci sono armadi per i loro vestiti, né letti. I bambini dormono su materassi per terra mentre le coperte ormai sgualcite non li tengono più caldi. E poi la scuola: Non hanno banchi né penne e quaderni per fare i compiti. Ma ciò che è peggio è che per raggiungere la scuola devono affrontare un lungo tragitto a piedi, in un territorio infestato dai serpenti velenosi. Un pulmino eviterebbe il pericolo e ci permetterebbe di portare in tempo i bambini all'ospedale, in caso vengano morsi.
Padre Marcus sa che c'è bisogno e vorrebbe allargare il suo aiuto ad almeno altri dodici bambini, quaranta in tutto nei prossimi mesi. Le sue richieste semplici ma concrete, daranno una vita dignitosa e un futuro a bambini molto provati. Costo totale stimato di 25 mila euro.


 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017