Campania col fiato sospeso

Spiragli di progresso si alternano a scenari di ristagno. Occorre rimboccarsi le maniche e mettersi all’opera, valorizzando la creatività e la voglia di riscatto della regione più «giovane» d’Italia.
23 Gennaio 2008 | di

La Campania, si è sempre detto, è lo specchio del Mezzogiorno, anche se alcuni sociologi ed economisti si spingono oltre e indicano nella regione la cartina di tornasole dei pregi e difetti dell’Italia intera. Un modo forse per esorcizzare i problemi, che comunque sono reali e che spingono, si presti più o meno fede a questi paragoni, a cercare una soluzione che non può che essere una: rimboccarsi le maniche e mettersi all’opera per eliminare realtà vecchie e improduttive, realizzarne di nuove, e migliorare quelle buone valorizzando capacità e potenzialità, con l’obiettivo comune di promuovere la persona, difendere i diritti e la dignità, garantire l’uguaglianza tra i cittadini e lo sviluppo armonico del territorio. Aspettative utopistiche? Non a sentire Giuseppe Acocella, vice presidente del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel), che sostiene: «Solo la crescita di una forte cultura della partecipazione democratica, della capacità di verifica dell’azione politica e dell’etica pubblica possono riaprire itinerari di speranza e di crescita civile in Campania e a Napoli, esemplari non solo per l’intero Mezzogiorno, ma per tutto il Paese, che non può non crescere insieme». Ecco il problema sostanziale: la crescita, anzi, la «crescita insieme».


L’instabilità non aiuta

Secondo il recente rapporto di Unioncamere, il 2007 è stato un anno nero per la ricchezza pro-capite in Campania: il dato della provincia di Napoli è tra gli ultimi dieci in Italia, né va molto meglio per il resto della regione. La situazione campana è solo una delle punte dell’iceberg di un Mezzogiorno che non solo continua a perdere colpi rispetto al Centro-Nord, ma che vede sempre più allargarsi la forbice tra le due aree del Paese. Non aiuta il consistente taglio di risorse in un primo momento destinate dalla Finanziaria 2008 ai crediti d’imposta per nuovi finanziamenti al Sud, e poi dirottate ad altre voci di bilancio. Uno schiaffo in faccia all’area più povera del Paese, che si somma alla decisione, nell’ambito del decreto fiscale collegato alla Finanziaria, di ridurre di un miliardo e 100 milioni il Fondo per le aree sottosviluppate. «L’Italia non cresce in modo adeguato – commenta l’economista Raffaele Brancati –. Le politiche di intervento al Sud stanno subendo oscillazioni continue che determinano forte incertezza. Si cambia sempre, si introducono nuovi strumenti, poi li si abbandona da un momento all’altro. Questa è la conseguenza di un evidente impoverimento dell’articolazione politica, che appare sempre più distante da questi problemi. Ciò che serve al Paese, e in particolare al Mezzogiorno, è stabilità di risorse e di meccanismi». L’incertezza e l’instabilità del quadro economico bloccano le imprese, che non investono più e rinviano i piani di sviluppo. Conseguenze sono il freno delle potenzialità produttive della Campania e del Sud, e soprattutto l’incremento di disoccupazione ed emigrazione. Non ultimo, si offre campo libero all’illegalità e alla criminalità organizzata.


La regione più popolata

Come numero di abitanti la Campania, con una popolazione di 5 milioni 790 mila persone (fonte Istat al 31 dicembre 2006), è la seconda regione italiana. Tuttavia il territorio non è così vasto: ecco perché la regione presenta la più elevata densità abitativa italiana. Esiste però un flusso significativo di emigranti: nel corso del 2006 lo 0,3 per cento della popolazione ha lasciato la regione. Sono in generale giovani, con titolo di studio medio-alto, che vanno altrove in cerca di occupazione. Altro record: la Campania si conferma la regione più giovane d’Italia con un’età media di 38,9 anni rispetto alla media italiana di 42,7 anni. A fare da contraltare il dato sull’aspettativa di vita, che è la più bassa nel Paese, con 76,1 anni per gli uomini e 81,8 per le donne. Gli ultrasessantacinquenni sono il 15,3 per cento: di questi il 12,2 si sostiene solo con la pensione sociale, ancora una volta un valore più alto della media nazionale. Ma non sono unicamente gli anziani a vivere sotto la soglia della povertà; si tratta di una situazione che in Campania coinvolge specialmente donne e giovani.


Povertà, lavoro e paradossi

È lo scenario generale delineato dal Dossier 2007 Caritas sulle povertà in Campania, che disegna con esattezza, e ogni volta più drammaticamente, la mappa dell’indigenza. Nella regione una famiglia su quattro si trova in questa condizione, ma sono tutte le famiglie monoreddito a essere in difficoltà. I nuclei familiari più a rischio sono quelli dove ci sono tre o più figli: qui la povertà tocca una famiglia su due. «Confrontando queste informazioni con i dati Istat – spiega Amato Lamberti, direttore dell’Osservatorio regionale sulle povertà – vediamo anche che la famiglia in situazione di povertà ha il capofamiglia disoccupato. Possiamo immaginare di conseguenza che le fonti di reddito siano in nero, o comunque non legali».

A proposito di lavoro, nella regione si sta verificando un fenomeno paradossale: il tasso di disoccupazione nel 2007 è diminuito dell’1,3 per cento, non perché le persone trovano un lavoro, ma perché si arrendono e smettono di cercarlo, soprattutto le donne. La nuova emergenza riguarda le famiglie monogenitoriali: la domanda di servizi di assistenza, di cura e sostegno viene dalle donne sole con figli, pur avendo la Campania il più basso tasso di divorzi. E parla sempre più al femminile – 34,3 per cento – anche l’immigrazione. «Famiglia e giovani sono i soggetti prioritari dell’attenzione perché sono i nuovi poveri della nostra epoca – osserva il vescovo ausiliare di Napoli monsignor Antonio Di Donna –. Questo chiede alla Caritas e all’associazionismo una mentalità innovativa, che preveda più dialogo e più collaborazione con le istituzioni».

Il futuro della Campania resta quindi sospeso, tra vecchi e nuovi problemi. Con un ceto politico locale, osserva Giuseppe Acocella, «privilegiato e utilizzatore delle risorse e dei benefici pubblici per l’allargamento del consenso, arroccato nell’esercizio del potere e nel drenaggio di vantaggi e prebende riservate ad amici, parenti e soci». Ma anche con le prospettive di sviluppo offerte dall’Alta velocità e dai porti di Napoli e di Salerno, dai centri avanzati di ricerca come il Cira di Capua per l’aerospaziale e il Tigem per la genetica, dai grandi poli commerciali come il Tarì, il Cis, il Vesuvio Buono. Spiragli di progresso e di riscatto per tutto il Mezzogiorno.


Notes. Pattume, amara ferita

«Nella prospettiva dell’ordinarietà, che tutti ci auguriamo a breve termine, la gente implora coinvolgimento e sana educazione circa il modo più idoneo di progettare i consumi e la sostenibilità alimentare, la corretta fruizione dei beni paesaggistici e culturali, la differenziazione, lo smaltimento, il trattamento, il ri-uso, la riqualificazione e le possibili, e più avanzate e sicure, soluzioni tecniche per il ciclo dei rifiuti.(...) La gente aspira alla sicurezza e alla salute propria, degli animali, dei vegetali e dell’ambiente, anche in riferimento alle generazioni future che saranno chiamate ad abitare la terra; domanda legalità e sicurezza nella gestione del territorio, delle coste e dei beni essenziali; respinge qualunque infiltrazione malavitosa o camorristica negli affari connessi alle esigenze del vivere associato e dello stare al mondo.
In questo compito le nostre comunità si sentono particolarmente coinvolte».


dal Messaggio dei Vescovi della Campania in difesa dell’ambiente



Napoli e i rifiuti. E non chiamiamola emergenza

Napoli dovrebbe ringraziare gli abitanti di Pianura, periferia ovest della città, fatta di case abusive, incastonate tra il Parco naturale degli Astroni e l’amena collina dei Camaldoli. Si sono ribellati alla riapertura di una discarica di rifiuti che ha fatto il suo lavoro per quarant’anni consentendo così alla gente di riprendere fiato. Se le mamme di Pianura, con i loro figli attaccati alle sottane, non si fossero messe davanti alle ruspe, nessuno avrebbe capito che, in fatto di rifiuti, Napoli aveva toccato il fondo. Le immagini di questa protesta disperata, invelenita da gruppi di balordi estranei alla città che hanno cercato lo scontro, hanno fatto il giro dell’Italia e del mondo, costringendo il governo a prendere misure drastiche e, si spera, risolutive. Napoli ha chiamato e chiama sistematicamente «emergenza rifiuti» un fatto che non è dovuto alla natura o al caso. Questo è il paradosso napoletano: la spazzatura non è, infatti, un nubifragio o un terremoto che sono imprevisti e imprevedibili. L’«emergenza» si presenta da quindici anni a questa parte ogni sei mesi. Se ancora una volta le strade di Napoli e di parte della provincia sono state invase dai rifiuti non rimossi per giorni, fino a formare piccoli Vesuvi che hanno fatto temere per la salute pubblica, la colpa non è dei napoletani, ma di quanti non hanno voluto o saputo affrontare realmente la questione. Anzi, quando agli abitanti è stato chiesto di fare la loro parte, hanno dimostrato di saperla fare. Centocinquanta comuni della Campania superano nella raccolta differenziata quel 35 per cento fissato dalla legge Ronchi. Qualche municipio vanta addirittura una raccolta che tocca il 96 per cento. Napoli, invece, si ferma al 12 per cento, non perché i napoletani siano refrattari, ma perché non sono state create le strutture per consentire questa raccolta. Nei ritardi c’entra, certo, anche la camorra che ha lucrato con forme sottili nell’affare rifiuti. Ma la malavita organizzata, per trarre ricchezza illecita dalla spazzatura, ha tutto l’interesse che il ciclo di rimozione e smaltimento funzioni poiché è in grado di controllarlo. Le responsabilità maggiori sono della politica che per più di quindici anni non è riuscita a prendere di petto la questione. Lo dimostra il fatto che l’attuale super commissario, è il nono: in quindici anni sono tutti approdati a Napoli con poteri sempre più speciali senza risolvere il problema. Nel mix delle responsabilità entrano anche gli allarmismi di un ambientalismo isterico che ha fatto sì che in Campania non fossero mai costruiti impianti moderni per lo smaltimento dei rifiuti. Napoli, invece, con il suo milione e passa di abitanti, reclama un proprio sistema di lavorazione dei rifiuti entro i suoi confini territoriali. Cosa tanto più necessaria, dal momento che in questa scontata «emergenza» i confini regionali, in certi casi, hanno impedito anche reti di solidarietà. Con tristezza, si è sentito dire «a ciascuno il suo», intendendo anche l’immondizia. È destino di Napoli vivere sempre in una cartolina, e questo non le dà un aspetto normale. C’è voluto lo sforzo di tanta gente, onesta e appassionata, perché Napoli uscisse dall’immagine sbiadita di città «sole, spaghetti e mandolino». Questa «emergenza» rifiuti ha creato un’altra cartolina, quella di un inferno sporco da cui scappare o dove non mettere piedi. È ingeneroso, e Napoli non lo merita.

Giovanni Ruggiero






Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017