Cambia l’aria in ospedale

Vi è mai capitato di essere ricoverati d’estate? Quando il personale più esperto è in ferie? Il problema è concreto e riconosciuto, e a Roma qualcuno ha pensato a una possibile soluzione. Valida per tutte le stagioni.
28 Maggio 2013 | di

Si sta avvicinando un periodo critico per il mondo della disabilità. Il sole e l’afa accompagnano le nostre ultime lunghe giornate di lavoro mentre, tra un sudore e l’altro, ci perdiamo a sognare un bel tuffo in acque salate… Insomma, l’estate tanto attesa è finalmente alle porte. Ma allora, vi chiederete, qual è il problema? Non sono forse le vacanze il tempo dello svago, del divertimento e del meritato riposo? Dipende. Anche in vacanza purtroppo non mancano i fattori di rischio, soprattutto quando si parla di disabilità. D’estate la logica della lentezza diventa infatti più pervasiva, e a prendersi una pausa sono spesso anche i nostri servizi, che finiscono in genere per subire un certo rallentamento. Provate a pensare che cosa succede, per esempio, quando, a ferragosto, un disabile si trova ricoverato in un ospedale cittadino o di una qualche località turistica. Di solito in questi casi si tocca ferro…
 
Dal momento che il problema è conosciuto, c’è chi ha provato a fornire una soluzione interessante. È l’ospedale Gemelli di Roma che, insieme alla Cooperativa Spes contra Spem, ha promosso un’iniziativa davvero importante. Mi riferisco alla Carta dei diritti delle persone con disabilità in ospedale, su cui, lo avrete già letto e sentito, si è speso un vivace dibattito. Una vera e propria novità, non solo in termini legislativi ma anche culturali, a partire da un problema concreto: che rischi ci sono se il personale ospedaliero si rivela impreparato all’accoglienza della persona con disabilità? A essere coinvolte sono tutte le figure professionali, dal medico al paramedico fino agli operatori sociosanitari. Il problema esiste: lo dico per esperienza. Anche a me è capitato di entrare in ospedale per sottopormi a un intervento. Non appena mi videro, i dottori optarono per rinviare l’operazione, non essendo preparati a gestire «una simile situazione», che non era la malattia in sé, ma il mio deficit motorio e le sue probabili ripercussioni. Da lì un’interminabile serie di richieste e nuovi accertamenti.
 
Al di là delle legittime preoccupazioni, l’assunto alla base era il solito: più grave è la disabilità, più grave sarà la sofferenza. A fare la differenza è stato l’aiuto della persona che mi ha accompagnato e sostenuto durante tutto il periodo del ricovero, un prezioso tramite che mi ha permesso di comunicare direttamente con il personale ospedaliero. Solo con la sua collaborazione ho potuto rendermi conto della situazione e partecipare alle sue possibili vie d’uscita. È ciò di cui parla con chiarezza anche l’art. 12 della Carta, che concerne proprio la presenza accanto alla persona con disabilità di un familiare, oltre al diritto di ricevere un trattamento personalizzato che tenga conto delle abitudini del singolo. Un’adeguata formazione degli addetti potrà sicuramente aumentare la qualità dell’accoglienza della persona disabile in ospedale, trasformando così anche la sofferenza in un’inattesa opportunità comunicativa. Creare una Carta dei diritti è come aprire una finestra. Cambia l’aria. E voi, siete mai stati ricoverati?
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Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017