Bambini iperattivi: emergenza reale?

Cresce il numero di bambini etichettati come «iperattivi» nelle nostre scuole mentre ritorna in commercio un vecchio psicofarmaco per curarli.
20 Aprile 2007 | di

«Sono un’insegnante delle superiori e da qualche anno mi ritrovo mediamente un alunno per classe al quale sono stati diagnosticati “disturbi dell’ap-prendimento”. Malgrado alcuni siano seguiti dallo psichiatra o dallo psicologo, ho osservato che non migliorano, anzi in alcuni casi peggiorano. Sconcertanti le affermazioni degli esperti: da questi disturbi non si guarisce. È diventato normale sentire le insegnanti affermare che l’alunno particolarmente vivace forse è “iperatti-vo” e quello che scrive male “dislessico”. Ciò che fa paura è che nessuno si domanda se si stiano prendendo delle cantonate, vista la scarsa attendibilità della diagnosi di questi disturbi. Il test principale contiene le seguenti domande “scientifiche”: quando il bambino parla, sembra non ascoltare? Parla troppo? Da seduto giocherella con le mani e con i piedi? Interrompe o si interrompe?

«Io mi chiedo come si può tollerare, alla luce di tutto ciò, l’annuncio che il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (Adhd) è stato dichiarato una delle priorità del nuovo piano strategico nazionale per la salute mentale nel nostro Paese. Non sarebbe più strategico investire per risolvere i problemi dell’istruzione, per aiutare i giovani nelle loro problematiche familiari e sociali, per combattere la cultura e l’uso delle droghe? Invece quello che viene dato alle nuove generazioni sono diagnosi e terapie».

Lettera firmata


Sul disturbo da deficit di attenzione e di iperattività si è detto ormai tutto e il contrario di tutto. Lasciando in chi deve farsene un’idea più dubbi che certezze. Due in sintesi le posizioni: c’è chi afferma che si tratta di un disturbo neurobiologico, scientificamente dimostrato, altamente invalidante per il bambino che ne è colpito perché comprometterebbe non solo il suo rendimento scolastico ma tutte le sue relazioni sociali, inficiando in maniera pesante la sua vita futura. Sul fronte opposto, c’è chi sostiene che si tratta di un disturbo difficilmente diagnosticabile, che rischia di far passare la normalità per malattia, di uniformare i comportamenti secondo i desideri del mondo adulto, di schedare i bambini, di rispondere a bisogni più commerciali che sanitari.

Perché tanto rumore? Perché alla fine di marzo – ma la cosa ormai covava da qualche anno – è stato reintrodotto nel mercato italiano, insieme a un altro anti-Adhd, l’atomoxetina, un farmaco usato all’estero da tempo per curare il disturbo. Si tratta del metilfenidato (Ritalin), un parente stretto delle anfetamine, che era stato ritirato dal mercato italiano nel 1989. Il fatto ha rinfocolato le polemiche: i sostenitori hanno salutato il provvedimento come un progresso della neuropsichiatria infantile: prima i piccoli malati e le loro famiglie soffrivano in silenzio, non avevano i mezzi di diagnosi e cura, venivano colpevolizzati e se trovavano il medico in grado di aiutarli dovevano poi farsi arrivare il farmaco dall’estero. I detrattori parlano di una reintroduzione pericolosa che aprirebbe la strada a un abuso, come peraltro è avvenuto in alcuni Paesi, e affermano che gli effetti collaterali del farmaco possono essere gravissimi, persino il suicidio o l’arresto cardiaco, mentre sarebbero scarsi i risultati terapeutici. Sempre questa parte lamenta il fatto che la ricerca scientifica sia in larga misura finanziata, e quindi condizionata, dalle case farmaceutiche.

Per fugare i dubbi sul possibile abuso del farmaco, il ministero della Salute ha approntato una rete d’interventi sul territorio, che culmina nei Centri di riferimento regionali (circa un’ottantina) e di un registro nazionale presso l’Istituto superiore di sanità dove convergeranno i dati anonimi dei bambini in terapia.

Fin qui il quadro in estrema sintesi. Che fare? Vigilare, porsi domande, accompagnare, accettare il rischio e la fatica di educare, senza riserve e scorciatoie: un po’ come ha fatto lei condividendo con noi i suoi dubbi e le sue preoccupazioni. I care, diceva don Milani, mi interessa, mi coinvolge, è cosa mia. Rimane la ricetta più efficace per proteggere i bambini da qualsiasi abuso.

Attendere fino all’alba col cuore in gola

«Ho una figlia adolescente, di diciassette anni per la precisione, che ormai ha rotto tutti gli argini. Niente più dialogo ma solo mugugni, niente vita in famiglia perché sempre chiusa nella sua stanza, niente orari, soprattutto il sabato sera quando fa le ore piccole. Io aspetto il suo rientro come una liberazione, e mi sento incapace sia di dettare regole sia di mettermi almeno un po’ in pace. Devo anche dirle che due anni fa mio marito se n’è andato per un’altra, e da lì è cominciato il disastro anche nel rapporto con Marta, il frutto più bello del nostro travagliato amore».

Lettera firmata


Il suo lungo scritto è ricolmo di tristezza, sfiducia nella vita, e fin troppo ricco di giudizi autopunitivi. Per mille ragioni, che da come scrive saprebbe elencare con meticolosa precisione, la sua situazione non è oggettivamente facile da sostenere, soprattutto per l’assenza alle spalle di una vera famiglia e il recente sfaldarsi di un legame che per alcuni anni era riuscito a darle calore e a suscitare speranza di riscatto. Non c’è niente di peggio della delusione che sopravviene dopo aver alzato la testa e creduto possibile la felicità, e purtroppo nella solitudine anche gli animi più forti rischiano di intravedere fantasmi e di ingigantire il paesaggio delle proprie paure. Trovarsi a dover crescere una figlia adolescente, con tutte le ansie e i batticuori del caso, la colloca nella mesta compagnia delle tante mamme che attendono… Ne ascolto molte che vivono nella sua condizione, anche accompagnate da mariti solidali e di robusto temperamento. Eppure la situazione a un certo punto, nonostante tutte le strategie formative messe in atto, è sfuggita loro di mano: le prediche accalorate, le minacce di tagliare i viveri o anche di far trovare la porta chiusa («così vai a dormire dove ti pare!») non sono valse a nulla, mostrando in modo ancora più evidente e quasi sfacciato tutta la debolezza dell’amore. Non immagina quante famiglie sono accomunate da questo problema: incomunicabilità con il figlio o la figlia adolescente, preoccupazione per le compagnie che frequenta, continue scaramucce o veri e propri litigi sull’orario del rientro serale, soprattutto di sabato. È una battaglia lunga e logorante, che però vale la pena di combattere con tutte le forze anche quando sembra che non si avanzi di un millimetro. Ci sarà anche un domani, nel quale il genitore o i genitori potranno dire di aver fatto del loro meglio, e forse il figlio, crescendo di età e maturando, soprattutto assumendosi in prima persona delle responsabilità nei confronti della vita e degli altri, comincerà a capire qualcosa. Vogliamo almeno sperarlo.


Reality show: realtà truccata e show scadente

«Sono colpita dalla crescita esponenziale, negli ultimi anni, dei reality show. Non bastava il Grande fratello, che è arrivato alla settima edizione; nel corso degli anni si sono aggiunti L’isola dei famosi, La talpa, La fattoria, Music Farm, Wild West, Reality Circus, Uno, due, tre… Stalla, La sposa perfetta e altri ancora. Com’è possibile che programmi così vuoti attirino tanto? Perché questa programmazione dissennata da parte delle tv?».

Lettera firmata


Mi sono informato, e mi hanno detto che alcuni di questi reality – soprattutto tra gli ultimi – hanno presto chiuso baracca, mentre la settima edizione del Grande fratello (il padre di tutti i reality) ha subìto un forte calo di ascolti. Lo straripante successo che aveva accompagnato lo spostamento della webcam dagli schermi dei computer a quelli televisivi, dunque, va scemando. Crisi da ingolfamento e una certa stanchezza da parte di un pubblico che, seppure pigro, schiaccia compulsivamente e con vigore il telecomando; un altro modo per girare la testa dall’altra parte. Eppure bisogna riconoscere che molta gente questi programmi li guarda: perché non c’è molto da scegliere, perché «evviva la spontaneità», perché entrare nell’altrui intimità o soltanto farsi gli affari degli altri è uno sport molto praticato, soprattutto quando è compatibile con lo starsene sprofondati in poltrona. Evidentemente è più facile e comodo fare da spettatori delle vicende altrui, soprattutto se i soggetti in questione sono famosi o aspiranti tali, che vivere in proprio incontri, confronti, introspezioni, situazioni limite che ci mettono a nudo.

Quello che mi colpisce maggiormente, però, è ciò che accade dall’altra parte, nel senso dell’affollarsi di giovani e meno giovani (si parla di un piccolo esercito di 250 mila aspiranti) ai provini che abilitano a diventare «protagonisti» – diciamo così – di un reality. Tutti con una gran voglia di mettersi in vetrina in pianta stabile, di incanalarsi nell’autostrada del successo come figurine e comparse della tv, di acchiappare il malloppo per fare vita beata. Che molti nostri ragazzi coltivino come loro massima aspirazione, ricamandoci su una mezza vocazione, il fatto di varcare la soglia della casa del Grande fratello con la prospettiva di passare le giornate spiati dalle telecamere (o, meglio, con la possibilità di esibirsi alle telecamere), mi lascia perplesso e un po’ deluso. La realtà tanto osannata sa troppo da messinscena e lo show sta in piedi perché pompato, da dentro e da fuori.


Figli sani scelti e garantiti. E gli altri?

«Quanto è accaduto durante il mese di marzo all’ospedale fiorentino di Careggi, cioè la vicenda del piccolo di 22 settimane e di soli 5 etti sopravvissuto all’aborto terapeutico e poi deceduto in seguito a complicazioni cardio-circolatorie (insomma, il cuoricino non ha retto), mi ha sconvolta. Penso anche alla giovane mamma, impaurita dalla diagnosi prenatale che prospettava una malformazione allo stomaco poi risultata inesistente, e alla sua solitudine di fronte a una scelta così grande. Non voglio giudicare questa triste storia, ma non stiamo forse avviandoci con troppa superficialità verso forme di selezione dei figli, di vera e propria eugenetica?».

Lettera firmata


Quella descritta con condivisibile apprensione è la «sindrome del figlio perfetto», che nasce dalla forte pressione sociale esercitata dalla mentalità scientista e dall’edonismo dominanti. Ci illudiamo di dominare ogni cosa con la potenza della tecnologia e abbiamo trasformato la gravidanza in un processo di produzione con rigorosi standard di qualità che non ammettono alcuna forma di disabilità. Abbiamo esaltato il valore dell’efficienza fisica fino al punto di dover nascondere ogni segno di debolezza, di temere la fragilità, e non siamo più capaci di sopportare la sofferenza che nasce dal prendersi cura del più debole.

È necessario, pertanto, un cambio di atteggiamento culturale, un supplemento di umanità e di capacità di accoglienza, una testimonianza forte della comunità cristiana che affermi la dignità intrinseca e l’assoluta intangibilità di ogni vita umana lungo tutto il corso della sua esistenza, indipendentemente dalle capacità esercitate. Riconoscere apertamente che il feto è un essere umano da accogliere e da assistere nonostante le sue caratteristiche non siano quelle attese e desiderabili, significa sostenere il dramma dei genitori il cui figlio non è uno sbaglio da scartare, ma un essere umano da amare. Anzi, quanto più è fragile e segnata da patologia, tanto più la vita umana ha bisogno di essere accolta, difesa e sostenuta.

Per questo è indispensabile che nella diagnosi prenatale i genitori vengano aiutati nelle loro incertezze e paure da professionalità mediche di alto livello che pronuncino diagnosi attendibili (e per fortuna ormai il 94 per cento dei responsi è tranquillizzante) e offrano tutte le terapie fetali e neonatali disponibili. Oggi è possibile ottenere ottimi risultati, per cui le molteplici risorse vanno orientate non a eliminare ma a curare i piccoli pazienti.

E anche nel caso di situazioni non superabili occorre accompagnare i genitori nel difficile processo relazionale che dal figlio ideale fantasticato li conduce al sofferto ma positivo riconoscimento del figlio concreto, segnato come tutti dal limite e proprio per questo affidato alla responsabilità degli adulti. Infatti, è attraverso la loro cura premurosa che il figlio potrà vivere nel miglior modo a lui possibile – un modo autenticamente umano – il tempo che gli è dato e le condizioni psico-fisiche che gli sono proprie. Se, però, le coppie rimangono sole, il rischio della selezione eugenetica si presenta come una tremenda e seducente tentazione…


«Messaggero» in ritardo... Che si può fare?

«Caro padre, ricevo “puntualmente” la rivista in ritardo, più o meno verso la metà del mese. La cosa mi infastidisce, anche perché leggo a pagina quattro che la spedizione avviene generalmente entro la fine del mese precedente».

Lettera firmata


Sono spiacente di questo disguido che, come ha già avuto modo di vedere dalla data di consegna alle poste, non dipende da noi. Le assicuro che da parte nostra c’è la massima puntualità nella spedizione.



Il cammino di sant’Antonio

In attesa del pellegrinaggio che ripercorrerà l’ultimo viaggio del Santo da Camposampiero a Padova – previsto la notte tra il 2 e il 3 giugno – sabato 26 maggio, i Santuari Antoniani di Camposampiero organizzano il convegno «Il cammino di sant’Antonio», che si terrà nell’auditorium della Casa di Spiritualità.

09.30: Accoglienza.

10.00: «Esci dalla tua terra e va’. Il cammino dell’uomo biblico». Gianni Cappelletto.

10.40: «Il pellegrinaggio dell’anima: il cammino medievale». Sante Bortolami.

11.40: «Il cammino nella modernità: viaggio tra arte e cultura». Stefania Malavasi.

12.20: «Pellegrinaggio, cammino, viaggio: le ragioni di un turismo religioso nella società d’oggi». Paola Zanovello.

13-14.30: buffet per i partecipanti.

14.30: «Il cammino di san’Antonio tra fede arte cultura e spiritualità» (tavola rotonda). Moderatore: Adriano Favaro, inviato de «Il Gazzettino».

16.30: Conclusioni

Info: tel. 049 9303003


Il Messaggero per i non vedenti

Il «Messaggero di Sant’Antonio» è ora accessibile anche ai non vedenti, in due formati: word (via e-mail o Cd) o mp3 (su Cd), letto da una sintesi vocale. Sono anche disponibili audiolibri su Cd. Questo mese proponiamo un testo stampato in braille: «Pregare con Maria» (prezzo euro 5,00) a cura di Giordano Tollardo. Info: e-mail abbonamenti@santantonio.org, numero verde 800 019591 (dal lunedì al venerdì: 8.30-12.30 e 13.30-18.30 e al sabato: 8.30-12.30).

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017