Badanti: un nuovo volto dell'assistenza?

Accudiscono i nostri anziani, disabili e bambini ma fino a ieri erano invisibili. Sono le "badanti", un esercito silenzioso che lo Stato non può più ignorare.
29 Giugno 2004 | di

Con un lavoro che la impegna fino alle sei di sera, un bambino di dodici anni e una madre anziana invalida, la vita di Lucia, 48 anni, è un mosaico di tempi e ruoli, che corre all'impazzata. Posso farcela perché c'è Maria, che accudisce mia madre, va a prendere mio figlio a scuola e, se tardo, mette una pentola sul fuoco, afferma guardando con complicità  affettuosa la signora croata, che le sta a fianco: quarant'anni circa, una laurea in tasca, un figlio di otto anni a OtoÅ cac. Due necessità  che si sono incontrate grazie alla mediazione del parroco.
Una storia che riassume il paradosso italiano: l'assistente familiare immigrata, che un brutto termine definisce badante, fa parte del nostro quotidiano. Migliaia di famiglie con una persona non autosufficiente da accudire ne hanno estremo bisogno ma sono costrette a un'assistenza fai da te perché lo Stato è assente.
Così un argomento delicato come cercare una persona disposta a curare figli piccoli, ma soprattutto genitori anziani e invalidi, viene affidata al tam tam delle conoscenze, alla buona volontà  delle Caritas diocesane, al fogliettino appeso dal medico. In ultima analisi, all'assenza di regole e punti di riferimento.
Un'assenza che è un macigno per le stesse collaboratrici domestiche che si trovano catapultate in una realtà  così diversa dalla loro, senza protezioni sociali, spesso sottopagate e sfruttate dal capolarato, con il magone per i figli lontani e l'aggravante di una lingua che non capiscono. Domanda e offerta che si scrutano a vicenda per cercare una via, per incrociare i vissuti, per confrontare i bisogni. Sullo sfondo, i pregiudizi, le aspettative, le differenze culturali e le inevitabili implicazioni affettive.
Ma quanti sono questi angeli del focolare post-moderno? Difficile dirlo con precisione. I lavoratori domestici  (quindi non solo badanti) iscritti all'Inps dopo la sanatoria della Bossi-Fini sono quasi 600 mila, ma ce ne sarebbero almeno altri 300 mila in nero e molti altri ne stanno arrivando (Caritas).  Un esercito silenzioso che lo Stato non può più ignorare.

Oltre l'assistenza fai da te
All'inizio c'erano solo le Caritas diocesane: Abbiamo 3 mila centri d'ascolto nelle parrocchie - afferma don Giancarlo Perego, responsabile area nazionale della Caritas italiana - che hanno il compito di accogliere le persone. Non sono centri d'impiego, però, di fatto, diventano punti d'incontro tra domanda e offerta.
Poi hanno cominciato le associazioni, i movimenti, le cooperative sociali. Pullulano i corsi per assistenti e le iniziative ad hoc. Per esempio, in Friuli, un gruppo di disa-bili ha creato, Idea Onlus, un'agenzia che aiuta i disabili a trovare l'assistente giusta.
Grande spinta anche dalla Chiesa: un progetto, finanziato dalla Conferenza episcopale italiana tramite la Commissione cattolica per le migrazioni in Italia e la Caritas, è stato avviato di recente a Pordenone, ma sarà  esteso al Triveneto. Si tratta di un centro di ascolto per immigrate: Un accordo con un'agenzia specializzata consente alle immigrate di ottenere, a un costo simbolico, aiuto per il rinnovo dei permessi di soggiorno o la dichiarazione dei redditi - spiega Gianni Tosini, presidente della Commissione -. Offriamo gratuitamente anche la prima accoglienza e l'aiuto a cercare un'occupazione. Le famiglie ospitanti, invece, sono aiutate nelle pratiche burocratiche: regolarizzazione, contributi, ecc.... Finalità  analoghe ha un' altra iniziativa veneta, che coinvolge il Patriarcato di Venezia, la Caritas, la Regione e Italia Lavoro spa (l'Agenzia del ministero del Welfare per le politiche attive del lavoro). La peculiarità , in questo caso, è la presenza delle istituzioni come garanti di diritto.
Sulla scia di questa spinta dal basso, infatti, lo Stato si sta muovendo. In testa, comuni e province, ma anche le regioni danno forti linee di indirizzo, afferma Alessandra Rossi dello Studio Come, specializzato in consulenza sulle politiche sociali. La mappa delle iniziative è a macchia di leopardo, ma la tendenza è una: la creazione di un welfare territoriale, cioè di un'integrazione tra servizi pubblici e assistenza privata. Spiccano in questa svolta soprattutto le regioni del Centro Nord. Gli interventi sono concentrati su quattro versanti: offrire professionalità  e integrazione alle assistenti immigrate; far incontrare domanda e offerta; aiutare le famiglie a sostenere economicamente l'assistenza; formare una rete di servizi integrata nel territorio di cui l'assistente immigrata faccia parte. Tre gli obiettivi: qualificare l'offerta, limitare i costi per le strutture residenziali (ospizi, asili nido), far uscire dal nero l'intero settore.

Formazione in primo luogo
La formazione del personale occupa un posto di rilievo: non si tratta solo di rendere l'assistente in grado di svolgere bene i suoi compiti ma di mettere a disposizione della comunità  un patrimonio di esperienze di cura che altrimenti andrebbe perso - spiega Alessandra Rossi -. Chi non si vede riconosciuta una professionalità , prima o poi l'abbandona in attesa di meglio, mentre nuovo personale non qualificato continuerà  a immigrare in Italia per il mercato dell'assistenza.
Varie sono le esperienze in campo di formazione: l'Emilia Romagna sta sperimentando dei tutor domiciliari per le assistenti. Il comune di Roma, lo scorso novembre, ha lanciato il progetto sperimentale Insieme si può. Gli anziani che aderiscono all'iniziativa lasciano frequentare alle loro assistenti dei corsi gratuiti in cambio del pagamento dei contributi Inps. Il comune si preoccuperà  di sostituire le assistenti a lezione. Varie regioni stanno finalmente riconoscendo la figura di assistente familiare, istituendo percorsi standard: dalle 120 ore di Emilia Romagna e Campania alle 300 della Toscana.
Tutte iniziative per creare albi di personale qualificato e sportelli d'incontro tra domanda e offerta. La provincia di Parma ha istituito una banca dati delle assistenti e l'ha affidata ai suoi Centri per l'impiego: la famiglia è aiutata a cercare la persona giusta, con la possibilità  di un periodo di prova.
Interessante anche l'esperienzapromossa dalla Federazione trentina cooperative e appoggiata dal Comune di Trento e dalle associazioni di volontariato. Si tratta di Promocare,intervento nell'ambito di Equal,progetto finanziato dal Fondo sociale europeo: Questa volta è un consorzio di cooperative sociali a fare da mediatore tra domanda e offerta, spiega Arianna Giuliani, coordinatrice. Peculiarità  del progetto è offrire la continuità  del servizio in caso di assenze o abbandono dell'assistente. A far da garante è un'associazione di assistenti immigrate, che fa parte del consiglio di amministrazione e ha un ruolo di mediazione culturale.
Altro fronte di intervento degli enti locali è quello di rendere accessibile l'assistenza privata a un numero più ampio possibile di famiglie. Lo si fa in vari modi: la Regione Veneto ha messo a disposizione dei comuni circa 5,5 milioni di euro all'anno dal 2002 a questo scopo. Altre volte il contributo economico si sposa con una progettazione più articolata dei servizi: è il caso di Firenze, con il progetto Anziani in casa: ogni anziano ha un buono servizio che può spendere scegliendo, tra i diversi servizi pubblici e privati in rete, quello che va bene per lui. L'assistente domiciliare convivente è una delle scelte possibili.
La strategia di servizi in rete, collaudata soprattutto in Emilia Romagna, ha fatto scuola e ora in molti la guardano con interesse. Prove tecniche di buon welfare territoriale che da sole non bastano: Occorrono - afferma don Perego - una cultura dell'accoglienza e del rispetto per chi viene ad aiutarci e politiche che rileggano il fenomeno immigratorio in Italia: su questi pilastri ci giochiamo l'assistenza futura nel nostro Paese.

La storia. Parrocchia accogliente

A Mestre (VE), la parrocchia del Sacro Cuore  ha dato vita alla  casa di prima accoglienza per lavoratrici immigrate, Giuseppe Taliercio.
L'iniziativa si è strutturata in più fasi. Dopo un percorso parrocchiale triennale di riflessione attorno ai temi della Carità , guidato dal parroco Franco Odorizzi, è stata creata l'Associazione Sant'Antonio, che si è occupata della ristrutturazione di un vecchio edificio e cura oggi la gestione della Casa, grazie al contributo di una quarantina di volontari. Operativa dal 14 aprile scorso, la Casa ha ospitato finora un centinaio di donne, provenienti soprattutto da Ucraina e Moldavia. Le ospiti hanno a loro disposizione per sei giorni, cioè il tempo necessario, in genere, a trovare un lavoro e una sistemazione, una cameretta con bagno e l'uso di una cucina. La mensa per i poveri Cà  Letizia, gestita dalla San Vincenzo, garantisce inoltre ogni sera un abbondante pasto caldo. (S. F.)


 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017