Anziani: età di paure ma anche «da vivere»

Insicurezza, malattia, solitudine, difficoltà economica... c’è più di un motivo per non essere allegri, ma ce ne sono di più per non abbattersi.
03 Aprile 2003 | di

Ormai è noto, lo confermano varie ricerche internazionali: l`€™Italia è la nazione con il più alto numero di anziani al mondo. Il 18 per cento della popolazione è composta da ultra sessantacinquenni e soltanto il 14 per cento da giovani con meno di quindici anni. Un tempo si associava l`€™inizio della vecchiaia con la pensione, oggi `€“ secondo recenti indagini del Censis `€“ il 62,7 per cento degli anziani ritiene che l`€™avvio coincida con l`€™incapacità  di occuparsi di se stessi; segue la morte del coniuge, citata dal 36,7 per cento degli intervistati; essere arrivati all`€™età  della pensione, evento burocratico, è solo al terzo posto (16,1 per cento).
Comunque ci si arrivi, la vecchiaia continua a essere contraddistinta da situazioni di fragilità , che si riflettono in altrettante paure, segnali di un`€™insicurezza che le migliorate condizioni di vita e i progressi della medicina non possono eliminare. Così, si attraversa questa fase dell`€™esistenza con ansia e le prime due paure corrispondono, di fatto, sia pure con percentuali diverse, ai due citati indicatori d`€™invecchiamento: almeno il 58,9 per cento vive nell`€™angoscia di ammalarsi gravemente o con l`€™incubo di raggiungere l`€™invalidità ; il 53,8 per cento teme, invece, di perdere il proprio compagno. Sono queste le paure che coinvolgono la maggioranza degli anziani e sono indipendenti da specifiche condizioni sociali, economiche e culturali.

Tra solitudine e insicurezza

Meno netta, ma altrettanto rilevante, è la percentuale di anziani che temono la solitudine (31,6 per cento), quindi l`€™emarginazione, l`€™abbandono. Eppure, secondo Chiara Saraceno, docente di Sociologia della famiglia all`€™università  di Torino ed ex presidente della Commissione d`€™indagine sull`€™esclusione sociale, più che di una paura reale si tratta di una percezione. «Dichiarano questa come una paura `€“ sottolinea, infatti, la sociologa `€“ perché ormai fa parte del lessico comune pensare che tutti gli anziani siano fragili, poveri, bisognosi, così come si pensa che siano coloro ai quali noi paghiamo le pensioni, che costano tanto in termini di sanità , che richiedono servizi, che pesano sulle reti familiari. Ecco, allora, che gli anziani si sentono messi in un angolo perché additati come quelli che rubano risorse. In realtà , sono tutt`€™altro che emarginati. In alcuni casi, sono addirittura al centro degli scambi. Inoltre, non è vero che gli anziani in Italia sono soli. La maggioranza di loro può contare, più che in altri Paesi, su una solida rete familiare. I `€œsoli`€ in Italia sono i grandi anziani, o meglio le grandi anziane rimaste vedove o che non hanno avuto figli».
Un`€™altra paura segnalata è l`€™essere vittima di reati (39,4 per cento). L`€™insicurezza è un timore tipico dell`€™anziano che vive in città  e spesso s`€™intreccia con la solitudine, anche se, secondo la Saraceno, è «un problema più fondato empiricamente. Qualsiasi ricerca `€“ spiega la sociologa `€“ indica che appena una persona mostra segni di una certa vulnerabilità  diventa una facile preda. Ciò pone problemi oggettivi di sicurezza dell`€™ambiente. In sostanza, si dovrebbe dare l`€™idea che l`€™habitat sia più sicuro, più sorvegliato, che ci siano più poliziotti di quartiere, ma anche più illuminazione, più vita. Gli anziani, inoltre, avvertono maggiormente i cambiamenti del mondo circostante: ci sono un po`€™ più di immigrati, c`€™è gente che non si conosce più, quindi non ci si sente più a proprio agio nel territorio, a prescindere da quello che effettivamente succede. Questa percezione più marcata può essere fonte di insicurezza, soprattutto per i grandi anziani».

L`€™ultima e peggior paura

Proseguendo la scala delle paure, non è secondaria, avanzando nell`€™età , quella della morte (42,3 per cento). In questo caso, contano molto l`€™approccio complessivo alla vecchiaia e, ovviamente, la fede. Ma come fare per rendere meno traumatico l`€™avvicinarsi del momento estremo? Una risposta la suggerisce monsignor Giuseppe Dal Ferro, presidente della Federazione delle università  della terza età . «Nella vita anziana `€“ spiega `€“ occorre aiutare la persona a confrontarsi con il senso del limite, cioè insegnare a non crollare davanti al venire meno di qualche cosa, ma a dare maggior valore a quello che rimane nella vita, lasciando cadere aspetti meno rilevanti. Bisogna insegnare a vedere il momento della morte come un atto altamente significativo dell`€™esistenza, per sé e per gli altri. Indubbiamente, la fede diventa un grande aiuto, perché facilita la comprensione di una vita piena e duratura anche nel futuro. Credo, comunque, che questo confrontarsi con il limite non escluda chi la fede non ce l`€™ha, nel senso che, in fondo, aiuta a vedere come la vita, anche nella sua conclusione, ha una grande importanza e, quindi, non va sprecato nessun momento».
Meno evidente, ma pur sempre significativa, è la paura di non farcela economicamente, che preoccupa (molto o abbastanza) il 29,2 per cento degli anziani. Anche in questo caso, secondo la professoressa Saraceno, è una paura, per così dire, preventiva piuttosto che reale. «Ci sono ricerche su anziani di 60-70 anni `€“ spiega la sociologa `€“ che mostrano come queste persone non abbiano affatto un tale timore, siano piene di progetti, attivissime. Certo, bisogna tenere conto delle differenze di classe, perché ci sono pensionati al minimo che non riescono ad arrivare alla fine del mese, ma anche qui la discriminante è l`€™età . Inoltre, fa molta differenza se uno vive solo e se sta bene oppure no. In generale, il timore non riguarda il reddito in sé, salvo quelli che hanno pensioni molto basse, ma una prospettiva di difficoltà , perché l`€™essere anziani e andare avanti negli anni aumenta la sensibilità  rispetto ai problemi della salute. Quindi, una delle preoccupazioni è quella di non farcela economicamente a sostenere le spese di un`€™eventuale invalidità  più o meno accentuata, oppure di essere troppo a carico dei propri familiari, di essere un peso». Non a caso, secondo l`€™Istat, la presenza di anziani in famiglia aumenta l`€™incidenza di povertà , che è pari al 13,8 per cento se ve ne è uno e raggiunge il 17,8 per cento con due. Comunque, la povertà  è una realtà  per il 13,5 per cento di anziani soli.
A proposito della famiglia, la dimensione degli affetti sembra quella maggiormente rassicurante per l`€™universo degli anziani. Infatti, solo il 12,3 per cento si preoccupa per tale aspetto. Questo perché, come già  sottolineato, il legame e il rapporto con i parenti sono ancora forti. «È importante per gli anziani, come per tutti, avere un punto di riferimento `€“ spiega monsignor Dal Ferro `€“ e la famiglia resta centrale. Ma indubbiamente nell`€™anziano può subentrare la preoccupazione di avere anche qualcuno che provveda a una sua eventuale inabilità  futura e il primo pensiero va, appunto, ai parenti. Però questo timore è maggiore in chi si isola, vivendo senza intrecciare nuove relazioni. Sappiamo, infatti, che un aiuto in questo senso può venire, oltre che dalla famiglia, anche da quei rapporti che si stabiliscono con gruppi che potremmo dire di mutuo aiuto».

Impegnarsi nella vita sociale

Ciò detto, più in generale, si può affermare che un aiuto importante a superare almeno alcune di queste paure può giungere da un maggiore coinvolgimento degli anziani in attività  socioculturali. «Questo è fondamentale `€“ spiega monsignor Dal Ferro `€“ innanzitutto, perché l`€™anziano, attraverso la riflessione, può assumere maggiore consapevolezza e sicurezza di sé. Credo che per una persona la sofferenza più grande derivi dalla constatazione: `€œA me nessuno chiede più niente`€. Questo non avviene in chi sa anche cambiare ruolo nella vita. La cultura consente alle persone di scoprire una molteplicità  di interessi e, di conseguenza, di trovare l`€™occasione di rendersi utili alla società  in mille modi. Ciò è essenziale proprio perché la vita si è prolungata e si va in pensione con una prospettiva di vita di 20-30 anni: un tempo che non va sprecato e che può e deve essere utile anche per la società ». La società , a sua volta, deve investire meglio per e sugli anziani, per superare i luoghi comuni che danneggiano i nostri vecchi, per offrire loro servizi migliori e per valorizzare il loro bagaglio di memoria, di cultura e anche di professionalità .

 

Consigli dell`€™esperto per imparare a invecchiare bene

Gli anziani svolgono sempre più una pluralità  di attività , che hanno un effetto positivo sul benessere individuale. Abbiamo chiesto a Stefano Zuccaro, presidente della Società  italiana geriatri ospedalieri, qualche consiglio in quest`€™ambito.
In primo luogo, mantenersi sempre attivi. Prima di andare in pensione è bene cominciare a coltivare degli hobbies o degli interessi culturali che possono aiutare a tenersi in buona salute mentale e di buon umore.
L`€™altra cosa importante è l`€™attività  fisica. Sappiamo che un`€™attività  fisica leggera, come il camminare tre chilometri al giorno, oltre a influenzare positivamente l`€™apparato cardiovascolare e il sistema osteoarticolare, influenza profondamente sia lo stato cognitivo sia il tono dell`€™umore.
Ci si sente tanto più vecchi quanto più si perde autosufficienza, quindi star bene è cruciale, ma con il ricorso frequente al «fai da te» si rischia. Come comportarsi?
Bisogna usare meno farmaci possibili. C`€™è una relazione diretta tra il numero di medicine che si usano e la possibilità  di andare incontro anche a una perdita di autonomia. C`€™è chi vuole medicalizzare tutto, prendendo farmaci per ogni sintomo, ma così rischia effetti collaterali anche gravi. Soprattutto, è da evitare l`€™automedicazione, spesso frutto di pregiudizi o di consigli di parenti o di amici che, a volte, possono essere pericolosi. Meglio prendere soltanto farmaci che assolutamente servono e che il medico ha prescritto, avendo cura di seguire tempi e dosaggi.
L`€™esperienza comune mostra come gli anziani negli ospedali siano considerati pazienti di serie B. È davvero così?
È assolutamente vero, soprattutto da quando si è passati dal pagamento a giornate di degenza a quello per tipo di malattia. Se uno ha una polmonite all`€™ospedale viene pagata la stessa tariffa, a prescindere dai giorni di ricovero. Quindi la tendenza degli ospedali è quella di tenere il paziente il meno possibile. Ciò crea rischi enormi, tanto è vero che gli ospedali sono stati definiti «fabbriche di cronici» riguardo ai vecchi. Inoltre, non tutti gli ospedali generali hanno un`€™unità  operativa di geriatria per acuti, che ha la cultura e la specificità  per curare gli anziani, che, quindi, vanno in reparti non idonei, dove vengono curati male, spesso marginalizzati, e dove, soprattutto, perdono l`€™autonomia. Oggi abbiamo un posto letto di geriatria ogni cinque di pediatria pur sapendo che sempre più avremo malati anziani, i quali già  oggi assorbono un`€™ampia fetta della spesa sanitaria. È una cifra enorme, che sarebbe ben spesa se si concretizzasse in un`€™opera meritoria verso gli anziani: non far perdere loro autonomia, non creare dei disabili proprio là  dove dovrebbero essere curati.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017