Alla ricerca dell’isola che c’è

Dal 22 al 24 giugno Giavera del Montello, nel trevigiano, sarà scenario della grande kermesse multiculturale «Ritmi e danze dal mondo».
23 Maggio 2007 | di

Un bambino di due anni, con addosso un paio di microscopici jeans, balla indisturbato sopra l’altoparlante, giusto in mezzo al palco. Intorno, danzatori nigeriani, un indiavolato percussionista, un tripudio di rosso e nero, il colore dei costumi. Ovunque avrebbero gentilmente invitato il piccolo a scendere, con tanto di occhiataccia ai genitori. Gli spettatori di questa strana performance, invece, sono divertiti quasi fosse il loro pargolo e dai rispettivi posti battono piedi e mani al ritmo della stessa musica. Entusiasti, quasi euforici. Sono italiani, africani, latinoamericani, mediorientali e asiatici. Potrebbe essere una babele e invece è il centro di una caotica armonia. Sono diversi e nello stesso tempo tutti uguali, contenti e forse un po’ sorpresi di ritrovarsi rapiti dallo stesso ritmo e dalla stessa curiosità. Ovunque un pullulare di bambini variopinti. Intorno, profumo di tè speziato e di kebab, e poi bancarelle di borse e di batik, di sculture africane e di ottoni dell’Est, di tessuti arabi e di kilim.
Non siamo in un caravanserraglio ma nel cuore della ricca marca trevigiana, precisamente a Giavera del Montello (Treviso), un tranquillo paesino della campagna veneta dove non ci si aspetterebbe di assistere a grandi eventi. E invece, una volta all’anno, il mondo sembra sbarcare proprio qui con la festa multietnica più grande e coinvolgente d’Italia: «Ritmi e danze dal mondo», che quest’anno si svolgerà dal 22 al 24 giugno. Per tre giorni, musicisti, ballerini, artisti di strada, cantastorie, artigiani e cuochi etnici seguiti da uno stuolo di 20 mila visitatori, provenienti da 140 Paesi, (tante sono le nazionalità che abitano il trevigiano), popolano lo stadio comunale di Giavera con un’energia e un’allegria contagiose.
Un’esplosione di multiculturalità insolita per un territorio in cui convivono due opposti: uno tra i più alti tassi d’immigrazione, l’8 per cento contro il 4 per cento della media nazionale (con il corollario di difficoltà che ciò comporta), e una radicata diffidenza verso chi viene da fuori. Il Veneto impiega nelle proprie attività produttive un gran numero d’immigrati ma fatica a integrarli. Qui a Giavera, invece, sembrano sparire d’incanto diffidenze e paure, conflitti e fatiche quotidiane. E la complicità è autentica. A che cosa si deve il miracolo?
«La festa – afferma don Bruno Baratto, tra i pionieri, insieme a Stefano Donà, responsabile della Casa di accoglienza, della manifestazione di Giavera del Montello –, ha una marcia in più rispetto alla quotidianità. Non risolve i problemi, ma ha il pregio di avvicinare, di far incontrare, di sperimentare altri modi di stare insieme».
Un’occasione che non si attiva per caso, ma necessita di impegno, fatica, pazienza e della costruzione graduale e costante di una ragnatela di relazioni.


Gli inizi quasi per gioco

Tutto inizia nel 1996 per far conoscere le attività della Casa di accoglienza per immigrati di Giavera del Montello, uno dei primi esperimenti di alloggio assistito e integrazione della Caritas Diocesana, inaugurata agli inizi degli anni ’90. «Abbiamo cominciato nel campetto dietro la chiesa – continua don Bruno –, in maniera artigianale: mezzo pomeriggio e qualche gruppo musicale etnico. Sembrava una festicciola d’immigrati: i neri dentro e gli italiani fuori a guardare. Mai avremmo pensato di arrivare a riempire lo stadio comunale, con un artista come Marco Paolini che ci regala lo spettacolo e ci consente, per la prima volta, di fare il salto di qualità riuscendo a pagare le spese».
E così anno dopo anno, mentre i bambini rotolano sul verde e i grandi diventano bambini seguendo le suggestioni di musiche lontane, a bordo campo si disputa la vera partita: le associazioni d’immigrati s’incontrano tra loro, fanno proposte di collaborazione alle associazioni di volontariato italiano. Anche gli alpini ci mettono la loro e, perché no?, i responsabili di organizzazioni di cooperazione internazionale. Quindi l’Avis, la protezione civile, i responsabili dello stadio fino alle istituzioni pubbliche. Poi, da cosa nasce cosa: ed è così, quasi per caso, che un gruppo di senegalesi inizia a entrare in una Casa di riposo. «All’inizio – racconta don Bruno – i vecchietti sgranavano gli occhi: “Ma chi sono questi qua?”. Ora li aspettano, ed è un piacevolissimo incontro reciproco».


Si respira aria nuova

Oggi gli organizzatori della grande festa sono italiani e immigrati insieme, le associazioni coinvolte sono una cinquantina, 400 i volontari. E la preparazione dura tutto l’anno. Non c’è più il gruppetto di neri circondato dai bianchi, ma c’è una pluralità che non tiene più conto delle percentuali. C’è l’albanese appena arrivato che guarda stupito l’incredibile varietà dei suoi compagni, mentre l’italiano in cerca di esotismi si ritrova a capovolgere l’idea stereotipata dell’immigrato «dei telegiornali».
Qui si respira un’aria nuova, la brezza che aleggia sugli eventi importanti. Lo scrive a chiare lettere il giornalista Oliviero Beha: «Bisognava avere il cervello in una morsa, il cuore esangue per non sentirsi parte di qualcosa di più grande. E non parlo dei momenti di spettacolo… Parlo piuttosto dell’atmosfera che si respirava gironzolando tra i colori e i suoni, in un alone di gratuità».
Di clima particolare parla anche don Bruno: «Si può comprare tutto, ma non si compra un’atmosfera. O c’è o non c’è. Qui si viene per il piacere di esserci, di conoscere, di divertirsi, di testimoniare, non certo per fare soldi. E questo traspare, si respira».
Un’esperienza che cambia la vita persino a un prete. «Questo servizio – chiarisce infatti don Bruno – mi è capitato, non l’ho scelto. Pian piano ho cominciato a crederci e ad appassionarmi. Incontrando gli altri mi sono ritrovato. Ho imparato più di quanto ho dato, in profondità, in relazioni, in essenzialità. E ora mi chiedo: “Che cosa ci vorrà dire Dio attraverso questo segno dei tempi che è l’immigrazione?”».
Don Bruno lascia la domanda a mezz’aria. La raccoglie inconsapevolmente un osservatore attento come il giornalista Gad Lerner, anche lui viandante per Giavera: «Non facciamola troppo facile… Lo sappiamo che il dialogo tra persone diverse per reddito, cultura, aspettative implica rinunce a una parte del sé, destabilizza, induce alla nostalgia “di un bel tempo che fu”, mai esistito nella realtà. Però, volenti o nolenti, ci tocca. E allora tanto vale ricordarci che la parola identità ha la stessa radice semantica della parola identico: ciò che ci accomuna ai diversi venuti tra noi, sarà sempre molto più di quel che ci separa. Altro che paura del meticciato! Ma ve lo immaginate che cosa sarebbe Giavera del Montello senza le contaminazioni culturali di cui ha saputo avvalersi la sua gente?».
Ora il piccolo ballerino con i jeans gioca con una bimbetta nera nera e multitreccine. Vicino, un papà brasiliano beve un tè marocchino mentre un tipo dai capelli rossi prova a suonare un tamburo africano.
Chissa perché, qui, tutto sembra possibile.    


notes

Tutta la festa

«Ritmi e danze dal mondo» ritorna anche quest’anno con un programma ricco di appuntamenti e attrazioni. La festa si svolgerà, come da tradizione, presso lo stadio comunale di Giavera del Montello (Treviso). Inizierà il 22 giugno con una «Serata senegalese» (Nanga deff Senegal): spettacolo di folklore, cena tipica, danze e artigianato. Proseguirà poi il 23 e il 24 proponendo una serie di spettacoli di gruppi artistici provenienti da tutto il mondo: Cina, Burkina Faso, Kenya, India, Senegal, Colombia, Ucraina e tanti altri. Quest’anno, inoltre, un’anteprima precederà la manifestazione: il 16 giugno si terrà la serata sul tema: «Racconti di qui e d’altrove» presso il Palamazzalovo di Montebelluna (Treviso), cui seguirà il concerto di un gruppo multietnico, l’Orchestra di piazza Vittorio (ne abbiamo parlato sul «Messaggero di sant’Antonio» del mese scorso, ndr).

Info: tel. 0422 776134 - 0422 419441

www.ritmiedanzedalmondo.it

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017