Affascinati da Cristo: una storia che non finisce

Istituita nel 1997, la Giornata della vita consacrata è un'occasione per riflettere sul senso di una scelta radicale, risposta forte alla vocazione cristiana. Sull'argomento il parere di uno studioso, don Giancarlo Rocca.
19 Gennaio 2006 | di

Duecentomila religiosi in 226 congregazioni e ottocentomila suore in quasi mille congregazioni: sono i numeri della vita consacrata nel mondo, ai quali si devono aggiungere i monasteri di clausura. Religiosi e religiose sono diffusi nel mondo in maniera capillare, anche se in calo in Occidente e in crescita in Asia e Africa. Fioriscono però nuove forme di vita comunitaria, più flessibili, sempre comunque basate sui voti di castità , povertà  e obbedienza.
Don Giancarlo Rocca, paolino, studioso della vita consacrata, è noto a livello mondiale per aver portato a termine, negli ultimi trent'anni, il Dizionario degli Istituti di Perfezione : un'opera enciclopedica (dieci volumi, Edizioni san Paolo) che censisce tutte le congregazioni, maschili e femminili, arricchita da molte voci tematiche e completata da una vasta appendice di statistiche. Con don Rocca eccoci a «fare il punto» sulla situazione della vita consacrata.
Msa. Oggi si stenta a comprendere il significato di una scelta totale di consacrazione a Dio, secondo i voti di castità , povertà  e obbedienza. Come spiegarlo?
Rocca. Forse il modo migliore per comprendere il senso della consacrazione è rifarsi ai grandi santi fondatori, come Antonio abate, Basilio, Benedetto, Francesco,  Domenico, Ignazio di Loyola..., persone che, insoddisfatte della loro risposta cristiana, hanno intrapreso una strada diversa. Sant'Antonio abate, ad esempio, per poter vivere solo con Dio, si è rifugiato nel deserto, scoprendo però che più vi si addentrava per allontanarsi dai luoghi abitati, più la gente accorreva a lui per averlo come guida. Oppure san Basilio che, invece, puntava sulla vita comune, perché se non si vive insieme, non si può praticare la carità , imperativo base del cristiano. Analizzando a fondo le vite dei «fondatori», scopriamo che ognuno ha sottolineato un aspetto particolare di questa ricerca, la quale ha un nocciolo comune: il celibato. Tentativi recenti di far entrare nel concetto di «vita consacrata» anche gli sposati sono stati respinti, proprio perché sono un controsenso.

Avendo censito nel suo Dizionario degli Istituti di Perfezione tutte le congregazioni, maschili e femminili, che immagine si è fatto  della vita consacrata?
Anzitutto che non siamo di fronte a un quadro uniforme. La storia della vita religiosa presenta un'infinità  di volti, di sfumature, di contrasti. Noi conosciamo le forme più o meno codificate, come il monachesimo, gli ordini canonicali, gli ordini monastici, le congregazioni religiose, le società  di vita comune, gli istituti secolari, ma queste forme sono già  «riforme» o regolamentazioni di iniziative antecedenti, molto più varie. Iniziative che nella storia si possono catalogare sotto il denominatore comune di «semi-religiosi», un termine comodo, sotto il quale si possono includere le esperienze più varie. Parlare cioè di «storia degli ordini religiosi» o degli «istituti religiosi» è un concetto restrittivo, che non rende ragione della ricchezza e varietà  delle forme della vita consacrata.

Possiamo parlare di differenze tra congregazioni maschili e femminili, quanto a significati di presenza nel mondo e aree di impegno?
C'è una differenza di numero, nel senso che oggi gli istituti femminili superano di gran lunga in quantità  quelli maschili. Sarebbe però interessante riuscire a precisare quando - nel Medioevo, forse? - il numero delle monache ha cominciato a superare quello dei monaci... Probabilmente gli ordini femminili sottolineano, anche esternamente, una dimensione che un tempo si riteneva essenziale alla vita contemplativa, cioè la clausura, vissuta anche in forme piuttosto rigide, oggi più legate alla condizione femminile che alla vita contemplativa propriamente detta. A vantaggio degli istituti femminili c'è la loro presenza capillare che si manifesta in una molteplicità  di opere sempre nuove. Si potrebbe anzi dire che, nell'Ottocento, il lento costituirsi delle congregazioni religiose e il loro riconoscimento giuridico sono stati un modo per modernizzare la struttura stessa della Chiesa...

Oggi la situazione è diversa. Ci sono congregazioni che hanno molte vocazioni e altre che stanno soffrendo. Qual è il «segreto» della riuscita?
Probabilmente siamo in un periodo di transizione più che di crisi. Come un tempo gli ordini mendicanti hanno sostituito i monaci e, successivamente, gli ordini di chierici regolari hanno preso in gran parte il posto dei mendicanti, così oggi le nuove fondazioni alla ricerca di strade diverse finiscono con il sostituire forme antiche di vita religiosa. Queste ultime non scompaiano, ma si riducono, non avendo più lo slancio e il vigore di un tempo. Non tutte le nuove comunità , ovviamente, resisteranno. Alcune sono già  scomparse, sostituite da altre, che si inseriscono in attività  tradizionali con forme ritenute più adatte al loro tempo. Il quadro storico invita così a non considerare la vita consacrata come una realtà  uniforme, ma a distinguere le esperienze in base ai tempi e ai luoghi in cui sorgono e si sviluppano. Forme di vita religiosa che nei Paesi occidentali  sembrano finite, le ritroviamo vitali e attive altrove, in Africa o in Asia...

Quali sono, a suo avviso, le sfide con le quali la vita consacrata deve misurarsi: l'ambito sociale, la missione, la preghiera?
Risponderei con una sola frase: conservare il senso della vita religiosa. È quello che hanno fatto i santi fondatori: sono rimasti fedeli allo spirito della loro ricerca, rispondendo in modo forte e autentico alla nuova vocazione.

Che rapporto vede con i movimenti?
I movimenti (esperienze religiose non legate da vincoli canonici) tendono, prima o poi, a creare al loro interno un gruppo di consacrati, stabili, per renderne possibile la gestione e la continuità . Nella spiritualità  e nelle attività  del movimento sono coinvolti sposati e non sposati, celibi e nubili, ma al centro si ritiene necessario mettere un gruppo di consacrati, senza il quale l'esperienza rischia di franare.

 

APPUNTI
Religiosi, profeti ma non da soli
di padre Ugo Sartorio

Che cosa ci fanno un milione circa di cristiani, donne e uomini, in un cammino di consacrazione al Signore contrassegnato dall'intensa ricerca del regno di Dio anche attraverso i voti di celibato, povertà  e obbedienza, per di più vissuti in una forma di vita comunitaria? Secondo il criterio utilitaristico, la risposta è immediata: per il servizio nei confronti degli ultimi la vita consacrata rappresenta una grande risorsa, con le sue opere ben strutturate e specializzate, le molteplici supplenze svolte nella società  civile, la compromissione in diretta con il mondo delle nuove povertà , sempre più mobile e difficile da raggiungere. La Chiesa, in tal senso, può davvero contare su una dedizione massiccia e qualificata.
Ma questo basta per parlare di «profezia», o non si tratta piuttosto dell'usurpazione di un titolo che ai nostri giorni più che mai va ridistribuito tra i cristiani tutti? Profezia è stare in prima linea nel vivere dentro il mondo, oggi più indifferente che ostile, la propria fedeltà  a Cristo. In questa prospettiva ogni cristiano si trova schierato negli avamposti della missione, senza possibilità  di delegare ad altri la propria personale e insostituibile testimonianza.

Se un particolare tratto della profezia va però attribuito ai consacrati, che non per questo sopravanzano le altre forme di vita cristiana, esso riguarda la fede come unico punto d'appoggio, come realtà  in grado di plasmare una vita ricca di senso anche se paradossale, una vita piena di amore anche se segnata dal distacco e dalla solitudine, ma soprattutto nel suo nucleo centrale una vita in attesa dell'avvento di Dio e a suo servizio, connotata dalla vigilanza e dalla capacità  di intravedere la salvezza che si fa vicina, fiutando l'oltre di Dio, esercitando senza tentennamenti la complessa ed esigente virtù della speranza.
Inoltre va segnalata la dimensione comunitaria della testimonianza profetica dei consacrati, poiché in genere la profezia non si caratterizza come opera di singoli religiosi isolati dalla comunità  o sganciati da essa. Evidentemente la priorità  va data alla vita fraterna nel suo proporsi come «profezia in atto», secondo le parole dell'esortazione apostolica Vita consecrata , realtà  già  di per sé parlante e comunicativa, evangelicamente provocatoria.
Se pur questo è vero, è da ribadire che nessuna profezia cristiana può fare a meno dell'altrui profezia, sia in senso quantitativo che qualitativo. Ogni cammino di fede, per quanto intenso, deve lasciarsi edificare dalla profezia che riverbera da altri percorsi di vita cristiana.

Certo, oggi il segno della vita consacrata è meno vistoso di ieri, fors'anche marginale, soprattutto in alcuni contesti geografici. Non è però la grandezza del segno a determinare la sua forza profetica, quanto la sua chiarezza e incisività , la sua capacità  di entrare in sinergia con altri segni, affinché a tutti gli uomini sia testimoniato il segno di Cristo, l'unico che salva.
Alcuni, non senza un certo pessimismo, parlano di un «futuro chiuso» per la vita consacrata, e vanno dicendo che il declino sarebbe solo questione di tempo. Costoro dimostrano non solo poca conoscenza della storia, la quale ci dice che di 105 fondazioni nate prima del 1600 solo 25 sono attualmente in vita, ma ignorano il fatto che la vita consacrata possiede nel suo Dna costitutivo una connaturata «capacità  di futuro». Il Vangelo, per essere annunciato, avrà  sempre bisogno di uomini e di donne che si collocano nella Chiesa e di fronte al mondo come «annuncio esistenziale», per dire con la vita che Dio riempie il cuore, che lo Spirito sa creare tra persone diverse legami di autentica comunione, che Gesù Cristo offre, a chi lo accoglie e lo sceglie con totalità  di dedizione, ragioni per vivere e per appassionarsi alla vita di ogni uomo.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017