Accogliere con il cuore

Con oltre 3 mila strutture e quasi 200 mila posti letto su tutto il territorio nazionale rappresentano una realtà turistica sempre più significativa. Gettonate anche da giovani e famiglie, le case per ferie permettono vacanze all’insegna del «low cost».
27 Maggio 2013 | di

Chi ci è stato una volta, ci ritorna. Sconosciute o quasi, ma sempre più gettonate; espressione del turismo sociale, ma non solo. In periodi di crisi come quello che stiamo attraversando si stanno rivelando una delle risposte low cost più ricercate sul fronte vacanze. Perché, lontani da ufficio, scuola, casa, si cerca sempre più di coniugare prezzi ridotti con bisogno di essenzialità e sobrietà. Insomma, le case per ferie (strutture ricettive in genere gestite da religiosi) sono una realtà in grande fermento. Si trovano al mare, in montagna, nelle città d’arte o nei luoghi legati ai pellegrinaggi.
Sono ex edifici scolastici, convitti, alberghi o conventi, trasformati nel tempo, non senza difficoltà economiche e burocratiche, in strutture ricettive richieste a gran cassa da gruppi, famiglie, coppie o giovani, che in questi luoghi trovano al contempo occasioni di relax e possibilità di fare esperienze che rinfranchino lo spirito. E non vengono delusi: li aspetta sempre un’accoglienza vera, autentica, a tutto campo.
 
Nuova frontiera dell’incontro
In Italia le case per ferie sono oltre 3 mila, per l’esattezza 3.023. Offrono quasi 200 mila posti letto, dando occupazione ad almeno 25 mila addetti tra personale di vario tipo, da quello amministrativo al professionale e assistenziale. Numero destinato ad aumentare a seconda della stagionalità. Le case in località marine e montane, ad esempio, lavorano in determinati mesi dell’anno durante i quali arrivano anche a raddoppiare il personale. Molte strutture vengono gestite da cooperative sociali attraverso le quali si cerca di reinserire nel mondo lavorativo persone in situazione di disagio.

Negli ultimi tempi sono stati impiegati anche molti giovani, con qualifiche di tutti i tipi: dal ragioniere e dall’impiegato fino all’assistente sociale o alla guida turistica.
Le case per ferie stanno vivendo una fase di profonda trasformazione e di ripensamento del proprio ruolo e della propria identità. Un passaggio obbligato anche alla luce dei dati riguardanti gli ospiti. Ma chi sono questi ultimi? Innanzitutto persone attente ai costi. A far scegliere tali strutture sono anche le tariffe. I prezzi, infatti, risultano ridotti rispetto a quelli di alberghi tradizionali, alla portata di anziani con pensioni minime o di famiglie, per i quali, peraltro, sono sempre previste esenzioni, sconti e riduzioni, a seconda dell’età e della consistenza del gruppo. Le offerte ricettive di ciascuna struttura si possono verificare direttamente sul portale ufficiale dell’accoglienza religiosa www.hospites.it, che raggruppa le varie case operanti in Italia. In questo sito si può accedere direttamente ai siti di ciascuna realtà.

Negli ultimi anni le case stanno cercando di funzionare a pieno regime, tenendo aperto tutto l’anno, sia d’estate che d’inverno, oppure ospitando corsi e ritiri spirituali nei mesi non interessati dal turismo. Ci sono, inoltre, case che vengono offerte – in genere a gruppi – in autogestione. «L’obiettivo è quello di capire cosa cercano le persone quando vengono nelle nostre strutture, perché scelgono le nostre case e non un albergo, cosa sperano di trovare, come si aspettano di essere accolte – spiega monsignor Mario Lusek, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per la pastorale del tempo libero, turismo e sport –. Questo comporta, come diretta conseguenza, l’interrogarci su chi siamo, su cosa davvero ci differenzia. Non basta avere prezzi ridotti e competitivi, o predisporre tutto al meglio. Tutto ciò è importante, ma non è sufficiente. Occorre, piuttosto, mettersi in ascolto di chi richiede i nostri servizi e utilizza le nostre strutture affinché il Signore possa essere riconosciuto e incontrato nel modo di agire del personale e nel modo di far sentire le persone pienamente accolte». Si tratta di una sorta di inconfondibile know-how che tutti devono poter percepire e sperimentare. Le case per ferie costituiscono spesso una frontiera avanzata dell’incontro con chi desidera trovare o approfondire la fede. Occorre, allora, chiedersi se le case, nella loro diversità di organizzazione e destinazione, sono in grado di dare, in via prioritaria, questo tipo di risposta.
 
Io ci vado perché…
«In queste strutture ci si sente un po’ come a casa propria». Lo afferma uno dei tanti ospiti intervistati nell’ambito di un’indagine sui fruitori delle case per ferie presentata nel corso dell’ultimo incontro nazionale svoltosi a Rocca di Papa (Roma), lo scorso novembre, sul tema «La Porta della Fede. “Fare casa” con Dio, Egli ha posto la sua dimora tra noi». L’indagine, svolta a campione, è stata curata da Gabriele Torresan, esperto di informatica e comunicazione. «Siamo partiti da una serie di domande. La prima, ad esempio, puntava a capire come gli ospiti sono venuti a conoscenza delle varie strutture. E abbiamo scoperto che in genere erano state segnalate dal parroco o da religiosi, oppure da agenzie e tour operator. Il marketing più efficace, però, è risultato essere quello legato al classico passaparola».

Altrettanto interessante capire il perché vengano preferite queste strutture e non altre: gli ospiti hanno detto di aver scelto  case per ferie «per lo stile e l’atmosfera che vi si respirano», «perché favoriscono la riflessione spirituale», «perché accolgono anche ospiti particolari» come persone con disabilità o anziani. Tra gli aspetti più apprezzati, nell’ordine: l’accoglienza e la disponibilità (ancora il «sentirsi a casa»); la pulizia, la sicurezza e la serietà; gli spazi per pregare. La permanenza media varia a seconda dei luoghi: dai tre ai cinque giorni nelle città d’arte; mediamente due settimane nelle località turistiche di mare o di montagna. Ancor più significativo l’elevato tasso di ritorno: in queste strutture gran parte degli intervistati ci è tornata anche per dieci-venti anni di seguito. «Le conclusioni dell’indagine portano ad alcune riflessioni che si giocano su tre parole chiave: accoglienza, attenzione alla persona, spazi e occasioni spirituali – spiega ancora il curatore dell’indagine, Gabriele Torresan –: le vacanze non sono un prodotto da acquistare, bensì un’occasione di condivisione e questo, nelle case per ferie, diventa possibile. Come è emerso dal sondaggio, gli ospiti non vogliono che le strutture che hanno scelto per precise e motivate ragioni “scimmiottino” gli alberghi. Ne apprezzano, infatti, proprio le specificità e le caratterizzazioni. Chi poi le incontra per caso, ama da subito il loro stile differente». I risultati dell’indagine saranno il terreno di lavoro su cui verrà redatta una magna charta dell’accoglienza, «una sorta di “carta dei valori” – sottolinea monsignor Lusek – che ne riaffermi i principi, fissando a chiare lettere identità, peculiarità e obiettivi».
 
Ospitare con amore
Una delle esigenze primarie di queste realtà, emersa con forza proprio nel corso del convegno di Rocca di Papa, è quella di mettersi in rete. Per una maggiore visibilità, per offrire servizi migliori, completi e attenti alle varie esigenze degli ospiti e, infine, dato non trascurabile, per unificare protocolli e organizzazione gestionale, a partire dalle procedure (da quelle più semplici di registrazione e prenotazione, per cominciare). Questa la sfida che vedrà impegnate molte strutture nell’immediato futuro. Intanto c’è già qualche realtà che si è messa in gioco. Il Pio istituto delle Piccole suore della Sacra Famiglia, fondato nel 1892 a Castelletto di Brenzone (Verona) dove tuttora si trova la sede centrale, ci ha provato. Il risultato è un progetto grazie al quale sono state messe in rete tutte le sette case per ferie, dal Lago di Garda a Roma, attualmente gestite. «È un obiettivo a largo respiro nel quale crediamo molto – spiega suor Nadia Daniele –. Volevamo fare “di tante case un’unica casa”. Accogliere è sempre un incontro di esistenze: tra di noi, che in questi luoghi viviamo, e con chi è “straniero”. Vorremmo modellare la nostra accoglienza sullo stile di Abramo, che sa stare attivamente sulla soglia mettendo in gioco la sua stessa umanità. Alla luce di questo ideale di accoglienza, dunque, il nostro slogan non può che essere “ospitiamo con cuore”». E, infatti, il portale delle case per ferie del Pio istituto delle Piccole suore della Sacra Famiglia è www.ospitiamoconcuore.it.

A tante di queste realtà non mancano nemmeno i problemi, più spesso di carattere economico (costi elevati di gestione) e burocratico (normative inadeguate). Padre Lino Mela è rettore della casa di spiritualità Getsemani di Paestum (Salerno) (www.getsemanidipaestum.org), pensata dal professor Luigi Gedda, già presidente dell’Azione Cattolica, e dal 1989 guidata dagli oblati di San Giuseppe. La struttura, composta da più nuclei, si trova accanto al santuario del Getsemani: a lato sorge la casa di spiritualità per esercizi e convegni, mentre nel grande parco si trova la casa per ferie, aperta a gruppi e famiglie. Padre Lino sottolinea le gravi difficoltà in cui si trovano fin troppe realtà come la sua. «Anche se pontefici e vescovi sostengono l’importanza degli esercizi spirituali (che risultano comunque in calo) e delle case di spiritualità, esse faticano a mantenersi. Molte diocesi e istituti religiosi si sono giustamente impegnati per adeguare alle normative tali strutture, con dei grossi oneri di spesa. Per non parlare delle varie tasse. Andando avanti così non so proprio quante case riusciranno a sopravvivere». Il rettore lancia quindi tre appelli in difesa di queste straordinarie realtà. Il primo è rivolto ai laici, perché sostengano le case e continuino a collaborare, assumendone anche la responsabilità; il secondo ai vescovi, affinché affrontino questo momento con chiarezza dando delle linee-guida; l’ultimo, infine, riguarda i politici, perché non facciano morire questa grande ricchezza di solidarietà che c’è in Italia. Un patrimonio riconosciuto e invidiato in tutto il mondo.

Ma c’è anche un altro aspetto che merita attenzione: spesso queste case nascono dal carisma di fondatori o iniziatori. In genere portano il nome di santi e, nei santi, c’è sempre un tratto specifico e originale di accoglienza. «In questo Anno della fede possiamo riscoprire le “vere fondamenta” delle nostre case, che sono le fondamenta spirituali da cui sono nate quelle di mattoni – è stato ribadito nel corso dei vari laboratori, realizzati, nell’ambito del convegno nazionale, su vari temi tra cui la necessità di essere più visibili e l’accoglienza solidale –. Possiamo farlo attraverso la testimonianza dei santi a cui sono dedicate. Non dimentichiamo, poi, che le nostre Chiese sono ricche di significative storie di santità. Sono queste che hanno dato il volto alle nostre diocesi e alle nostre comunità religiose. Nulla, più della testimonianza e dell’esempio dei santi, è in grado di risvegliare e di stimolare l’approfondimento della fede».

Sul legame con il territorio e sul bisogno di dare risposte adeguate alla crescente domanda di spiritualità si sofferma anche Giovanni Gazzaneo, direttore de «I luoghi dell’infinito», mensile di arte e cultura del quotidiano «Avvenire». «Sono due aspetti che connotano in maniera originale le case per ferie. Girando l’Italia ho potuto vedere da vicino che ognuna di esse è strettamente legata al territorio. Una ricchezza che non possiamo disperdere. Chi sceglie le case per ferie non lo fa solo per una mera economia di viaggio. Le motivazioni sono altre: queste realtà, fatte non solo di mattoni, sono in fondo le uniche a permettere che anche in vacanza, lo spirito, o meglio il bisogno di trovare delle risposte di senso alla propria esistenza, non venga messo tra parentesi».
 
 

Veri portali di fede

Monsignor Claudio Giuliodori, presidente della Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali.
 
Msa. Monsignor Giuliodori, che cosa non bisogna perdere di vista quando si parla di case per ferie?
Giuliodori. Nel gestire le nostre case di accoglienza (per ferie) non dobbiamo mai perdere di vista che esse nascono dall’accoglienza che il Signore ha riservato a ciascuno di noi e alle nostre Chiese. Non siamo noi che abbiamo costruito una casa per lui, ma è lui, come ricorda il profeta Natan a David, che costruisce una casa per noi. Girando in alcune strutture, in occasione di convegni e incontri, ho visto che non manca la fantasia per professare la fede. Rappresentazioni del credo, dépliant, piccole pubblicazioni, concorsi sui temi centrali della fede, opere d’arte e proposte multimediali testimoniano come questo Anno della fede possa essere fecondo di iniziative anche in un simile contesto. Nessuno dovrebbe rimanere indifferente. Delle nostre case per ferie dovremmo fare dei veri portali della fede.

Quale sfida attende queste realtà nell’Anno della fede?
La gestione può essere molto formale e burocratica, molto efficiente, ma non è detto che sia una vera porta aperta sul mistero della fede e cioè spazio dell’incontro con il Signore. In altre parole, possiamo avere strutture bellissime, ma incapaci di esprimere lo spirito di accoglienza che scaturisce dalla fede. Questo Anno della fede è, in primo luogo, l’occasione per domandarci se davvero nelle nostre case si respira il senso della fede, e cioè un dialogo sincero e profondo con il Signore. Ci è offerta una preziosa occasione per verificare tutti insieme, responsabili, personale e ospiti, se davvero si percepisce che, nelle nostre case, si respira la «presenza reale e concreta del Signore».

Quali dovrebbero essere, a suo avviso, i caratteri dell’accoglienza?
Molte persone cercano nelle nostre strutture non tanto i comfort o l’efficienza, quanto piuttosto la possibilità di fare vere e proprie esperienze di fede. In che cosa si differenziano, allora, le nostre strutture da altre offerte ricettive? Forse perché offrono servizi a minor costo o, comunque, più convenienti? Non credo che possa o debba essere questa la strada per qualificarci agli occhi dei nostri ospiti. Certamente la sobrietà e l’essenzialità sono importanti e anche i prezzi ridotti, ma soprattutto deve trasparire lo spirito di Marta e Maria che accolgono Gesù nella loro casa di Betania.

Questo esige uno stile altrettanto distintivo.
Non sempre è necessario sbandierare la fede o «sacralizzare» ogni cosa, ma una riflessione sulle potenzialità che possono avere nell’aprire il cuore e la mente degli ospiti alla fede, occorre certamente farla.
Per essere più concreti e immediati possiamo domandarci: da che cosa si vede che le nostre case non sono semplicemente degli alberghi o dei ristoranti? Che cosa abbiamo di specifico? Non basta certo portare un abito religioso o esporre qualche crocifisso.

La strada non è facile. Non mancano intoppi di tipo burocratico e amministrativo. Come superare ostacoli che minano la stessa sopravvivenza di una realtà diffusa sull’intero territorio nazionale?
Dobbiamo difendere con tutti i mezzi, leciti e possibili, i diritti e le prerogative delle nostre strutture, che spesso gravano pesantemente sui bilanci della diocesi e degli ordini religiosi. Allo stesso tempo, però, non possiamo esporci con comportamenti ambigui o non trasparenti: finiremmo per gettare discredito su tutta la realtà ecclesiale. Anche negli adattamenti e nelle trasformazioni delle strutture, cerchiamo di non perdere la memoria storica e l’origine spirituale da cui certe dimore hanno preso forma. «Convertire» conventi in alberghi a 5 stelle pone certamente dei problemi, e non solo di opportunità.
 
 

Montagna
«Continuate ad accogliere i piccoli»

 
All’ingresso della casa, che si spalanca verso una vallata ai margini del comune di Saint-Nicolas (Aosta), si trova un piccolo «libro degli amici». Chi è passato di qui ha voluto lasciare un pensiero, un ricordo, a volte solo un semplice «grazie». C’è una dedica, tra le tante, a cui in molti sono legati, da queste parti. Recita così: «Benedico di cuore questa casa che è come un rifugio per chi è viandante da questo mondo».
Era l’agosto 2010. A Gallarate (Varese), dove già risiedeva, faceva troppo caldo.

E così il cardinal Carlo Maria Martini, che già conosceva il paese di Saint-Nicolas, si regalò un po’ di fresco, accolto dalla cooperativa sociale Coompany2 che gestisce la casa per ferie di Persod, tredici abitanti, minuscola frazione di Saint-Nicolas. Un momento, quello dell’incontro con il cardinal Martini, che fra Giuseppe Giunti, coordinatore delle attività di questa e di altre due case per ferie, incastonate tra le montagne della Valle d’Aosta, ricorda con emozione. «Martini è stato tra noi nella fragilità della sua malattia, nella semplicità del suo cuore, non con la sua cultura, le sue insegne cardinalizie, il suo prestigio mondiale. In quell’occasione ci ha suggerito una strada, ora cerchiamo di camminare in quella direzione anche noi. Nell’omelia ci ha ringraziato e incoraggiato dicendo, con un filo di voce: “Mi avete accolto come un bambino, perché ora sono proprio così! Continuate ad accogliere i piccoli, continuate”».

Le case alpine Pier Giorgio Frassati, a Saint-Nicolas, (www.casafrassati.com) e Maria Nivis, a Torgnon (www.marianivis.com) fanno capo alla diocesi di Alessandria, mentre quella di Petit Rosier, nell’omonima frazione a Champorcher, (www.casapetitrosier.com) appartiene alla comunità montana Mont Rose. Nel 1993 nasceva la prima cooperativa sociale «Coompany&», con l’obiettivo di coniugare un binomio non certo facile: solidarietà e mercato. Dieci anni fa, da questa stessa esperienza prendeva forma una seconda cooperativa, «Coompany2», cui la diocesi affida la gestione delle tre case citate. «Alla base di tutto c’è una filosofia che è un tentativo di risposta nei confronti delle richieste espresse dalle fasce più deboli – afferma fra Giuseppe Giunti –. Destinatari sono persone che vivono situazioni di disagio e di povertà. Offriamo loro la possibilità di inserimento o reinserimento lavorativo». Per chiarire il concetto, fra Beppe non va per il sottile e sintetizza: «Le tue vacanze? Saranno il loro stipendio».

«Coompany2» è una piccola realtà, il numero dei soci è limitato ma, dalla sua costituzione a oggi, sono circa cinquanta le persone, provenienti dal mondo del disagio psichico, fisico e dal carcere, che vi hanno trovato inserimento. Con i Servizi sociali della Valle d’Aosta la cooperativa ha instaurato un rapporto proficuo. «Cerchiamo di offrire un’opportunità, anche economica, a chi fatica a inserirsi nel mondo del lavoro, attraverso esperienze occupazionali a tempo determinato che consentano una relativa autonomia e rappresentino, nel contempo, un luogo di formazione e apprendimento di un’eventuale professione. Le attività lavorative sono del tutto simili a quelle di una qualsiasi struttura alberghiera (personale per la cucina, la sala, le camere, il bar, animatori del tempo libero, figure per la manutenzione…), il che permette alla cooperativa, con l’accompagnamento appassionato e la competenza professionale dei responsabili delle singole case, di inserire anche figure appartenenti alle categorie cosiddette svantaggiate». «Nelle nostre case – conclude fra Giuseppe – una natura splendida consente di vivere un’esperienza di serenità e di raccoglimento in un ambiente ancora intatto: i tetti delle case sono fatti con le tipiche “lose” in pietra; i prati e i boschi sono curati e puliti. Qui il soggiorno rappresenta la piena espressione di un consapevole e moderno “turismo sociale”, attento agli ospiti, alle persone e all’ambiente».
 

Città d’arte
Religiosi e laici, nuove opportunità

 
La capitale italiana è tra le città d’arte più visitate al mondo. A fare la parte del leone, il turismo religioso che gravita intorno alla città del Papa. A Roma, infatti, sono oltre trecento le case per ferie, per lo più bed and breakfast, in cui non manca anche una semplice cappella per poter partecipare alla Messa quotidiana. Accanto ai religiosi, in larga parte suore, molti laici, spesso giovani.

La casa delle suore del Preziosissimo Sangue (www.casapreziosissimosangue.it) è a due passi dalle mura vaticane. Alla reception Nadia risponde agli ospiti, fornisce tutte le indicazioni più utili, dagli orari dell’autobus a quelli dei musei, suggerendo possibili itinerari. «Lavoro qui da quattro anni. Ho un contratto a tempo pieno e indeterminato – racconta –. Credo che queste strutture possano rappresentare una vera opportunità anche di lavoro. Il rapporto con il personale religioso, in particolare con la direttrice, suor Donatella, si è trasformato per tutti noi laici in una collaborazione vera e costruttiva. Sono convinta che, quando si ha a che fare con le persone, si debbano privilegiare la relazione, il dialogo, mettendosi ogni giorno al servizio dell’ospite e delle sue esigenze. E il farlo con passione, può fare la differenza». Ne è convinta anche suor Claudia della casa Santa Giovanna Antida, in circonvallazione Clodia, che precisa: «Gli ospiti a noi chiedono soprattutto una presenza spirituale».
 
 

Mare
La capacità di dare e di ricevere

 
Toscana, Costa degli Etruschi. Siamo ad Antignano, frazione di Livorno. Un tempo dava ospitalità ai sacerdoti, oggi Villa Alma Pace è una casa per ferie aperta a gruppi e famiglie. Con una particolarità che accomuna molte di queste strutture: a occuparsi della gestione è una cooperativa sociale di inserimento lavorativo.

«La nostra esperienza – spiega Stefania Lupetti, responsabile di Villa Alma Pace – ha preso avvio nel 2000, quando la diocesi di Piacenza, proprietaria della casa, ha chiesto al Consorzio di cooperative Roberto Tassano un progetto di gestione. Ne è nata la casa per ferie, in seguito alla quale abbiamo dato vita  a una cooperativa sociale di inserimento lavorativo per persone svantaggiate. La cooperativa aderisce al progetto di Economia di Comunione (promossa dal Movimento dei Focolari) da cui attinge la filosofia di gestione e le modalità di fare accoglienza». 

È la cultura del dare che indica la strada per il turismo sociale, nella gestione dell’Alma Pace ma anche nella casa per ferie «Il Gabbiano» a La Spezia. Qui è il rapporto con i lavoratori quello che impegna di più. «In questi anni abbiamo fatto diversi inserimenti lavorativi. Una storia tra tante? Quella di un cinquantaduenne agli arresti domiciliari per truffa a cui il magistrato per anni aveva negato fiducia e possibilità di lavorare. Il suo modo di fare accattivante è stato, invece, per noi molto importante, ci ha insegnato davvero molte cose. È rimasto da noi un anno, poi ha avuto da un ente pubblico un lavoro più consono alla sua professionalità». La cooperativa ha realizzato alcuni progetti insieme con il Ctg (Centro turistico giovanile). Con l’apporto finanziario di una fondazione bancaria, la villa ha aperto le porte all’accoglienza, in pieno periodo estivo, di ragazzi provenienti da situazioni di disagio sociale. Giochi, escursioni, momenti di condivisione quotidiana avevano un unico obiettivo: far fare un’esperienza di fraternità a questi ragazzi così diversi, anche per etnie e religioni.

Ogni anno l’accoglienza ha avuto un tema differente: da «L’amicizia è…» (nel cui ambito si sono svolte le Olimpiadi dell’amicizia) fino a «L’onda, la capacità di dare e ricevere» (con tutte le declinazioni ambientali legate al contesto della casa stessa: l’incontro con un biologo marino che ha mostrato ai ragazzi semplici tecniche di pesca; visite all’acquario, al museo naturale del Mediterraneo, all’Accademia navale o, ancora, una giornata con un apicoltore). Gli animatori, giovani selezionati con cura (alcuni di loro sono studenti dell’istituto Sophia di Loppiano, Firenze, provenienti da nazioni diverse) hanno arricchito il programma con le loro esperienze. Quest’anno, invece, da fine giugno è in programma un’attività con il Wwf. Tutto facile?

«No – sottolinea Stefania –. Spesso i ragazzi, così diversi, presentano problematicità impensate. Si è notata l’assoluta mancanza di momenti di socializzazione “spontanea”, ovvero l’incapacità, senza stimoli, di confrontarsi e conoscersi tra loro. Unico punto in comune, i giochi digitali. Questa “naturale” voglia di isolamento è stata la difficoltà maggiore, superata cercando di usare le “potenzialità” tecnologiche per creare nei ragazzi un modo nuovo di rapportarsi con tali mezzi, ma anche tra loro. L’esperienza è stata impegnativa, ma ci ha aiutato meglio a conoscere e ad amare questi ragazzi che vivono quotidianamente esperienze forti: vittime di violenze familiari, sociali, di povertà di valori, spesso soli, abbandonati di fronte a tv, videogiochi violenti che diventano un modello di vita. E, al tempo stesso, ci ha insegnato a coglierne il bisogno enorme di amore e di ascolto».

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017