Sposati e «santi»

È possibile farsi santi, da sposati, badando ai figli e a tutte le altre faccende che la vita di famiglia impone? La vicenda dei coniugi Ugenti ci fa dire sì.
05 Maggio 2001 | di

Picconata a destra e a manca da una mentalità  corriva che aborrisce fedeltà , impegno, sacrificio, legami..., la famiglia fa fatica a reggere. Oggi chi decide di metter su famiglia, lo fa sovente con estrema leggerezza e scarsa preparazione. Tanto - pensa - se le cose non funzionano, ci si separa: la legge (degli uomini, non quella di Dio) lo consente. E allora, ognuno per la propria strada, come se nulla fosse successo.
Una volta neppure la legge degli uomini consentiva il divorzio, non per questo era tutto era rose e fiori. Anche allora non tutte le ciambelle riuscivano con il buco e nelle famiglie poteva stagnare l' aria pesante dell' incomprensione, del disamore o dell' astio. Ma c' era più pazienza, maggiore capacità  di sopportazione, più disponibilità  al sacrificio.
Apre, perciò, il cuore alla speranza imbattersi oggi in una coppia che, sfidando l' usura del tempo e le inevitabili difficoltà , ha conservato, anzi accresciuto nel tempo, l' amore che li ha fatti unire.
Messi sulla strada da uno dei loro figli, don Antonio, abbiamo incontrato una di queste coppie: spiritualmente, essendo i due già  ritornati alla casa del Padre. Sono Teresa Savilli e Francesco Ugenti. Essi non si sono limitati a stare insieme «finché morte non li separi», ma ci sono stati in modo caldo, intenso, convinto. Portando a compimento le vicendevoli promesse fatte davanti a Dio celebrando il sacramento del matrimonio, hanno fatto della loro famiglia, come è nei disegni di Dio, una «piccola chiesa domestica», allietata da una nidiata di figli (sette) che hanno allevato con amore e saggezza.
Shakerando in giusta dose dolcezza e severità , apertura al nuovo e sottolineatura di antichi valori, si sono conquistati, giorno per giorno, la loro stima e il loro affetto. Hanno dato sostanza al difficile compito di genitori con l' esempio di una fede vissuta senza compromessi e senza fanatismi, con francescana semplicità , pur tra sacrifici e difficoltà .
Attraverso questa via semplice, ordinaria, umile... hanno raggiunto la santità . Ed è in aumento il numero di quanti, vescovi in prima fila, chiedono il formale riconoscimento della loro santità .
Teresa Savilli e Francesco Ugenti, due figli della provincia barese nella calda e feconda terra di Puglia. Lei, di Grumo Appula: vi era nata il 29 aprile 1913; lui, di un anno più anziano, di Torrito.

I Savilli. I genitori di lei erano artigiani. Il papà  lavorava e intagliava il legno con grande gusto e maestria; non gli mancava mai il lavoro, dal quale ricavava abbastanza per garantire alla numerosa famiglia (sei figli) una vita dignitosa e serena.
I Savilli erano anche buoni cristiani e crebbero i figli con sani principi e in un clima di serenità  e di impegno, nel quale Teresa poté sviluppare in armonia il suo carattere esuberante ed esplosivo. Divenne una brava ragazza. Frequentate le scuole, fu messa subito a sbrigare le faccende domestiche e a badare ai fratellini (era la primogenita). Intanto, frequentava la chiesa, si impegnava nell' Azione cattolica, maturava convinzioni e pratiche che alimentavano una vita spirituale intensa, fatta di preghiera assidua, di disponibilità  all' amore di Dio e di attenzione agli altri.

Gli Ugenti. Quella di Francesco era, invece, una famiglia di contadini; possedeva terreni coltivati a ulivi e mandorli. Anche Francesco lavorava la terra. I testimoni lo hanno descritto come un bravo ragazzo, «buono come il pane». La situazione della sua famiglia era un po' più complicata di quella dei Savilli. Orfano di mamma, Francesco viveva con il papà  anziano e due fratellini di seconde nozze.
Teresa e Francesco si conobbero a una festa di ballo (erano discreti ballerini). E fu amore a prima vista. Superata un' iniziale perplessità  dei Savilli (sposare un contadino!), il 6 aprile 1942 i due si sposarono.
Teresa aveva 29 anni e andava ad abitare nella già  affollata casa degli Ugenti, disposta a sopportare, per amore di Francesco (così buono, così onesto, così lavoratore) anche una vita di ristrettezze e di sacrifici.
I coniugi Ugenti partirono subito con il piede giusto. In chiesa s' erano giurati fedeltà , amore e rispetto, avevano promesso di aiutarsi a vicenda a mettere su e a crescere una famiglia secondo i disegni di Dio, che voleva anche dire sviluppare il seme di santità  che il battesimo aveva inoculato nella loro anima e che il sacramento del matrimonio aveva ravvivato. Cercarono da subito di essere di parola, anche se solo progressivamente acquisteranno consapevolezza del profondo significato del sacramento del matrimonio, delle sue ricchezze, delle sue possibilità , sempre vissute con naturalezza e semplicità  nelle quotidiane vicende della vita.

Teresa. L' anima della famiglia era mamma Teresa: con la sua fede, serenità , e gioia di vivere che la fanno educatrice sapiente, che sa dosare le esigenze del cuore e quelle del dovere. Dice di lei don Oronzo Valerio, che le fu direttore spirituale: «Era una donna che esprimeva serenità  e gioia. Aveva il culto della famiglia. Dedita all' amore fedele verso il suo sposo, aveva realizzato la sua aspirazione di madre, con ben sette figli... Ha formato così, con l' aiuto del suo sposo, anch' egli di genuina fede cristiana, una splendida famiglia».
E in casa Ugenti non crescevano solo rose e fiori. «Mamma ha affrontato tante prove e sofferenze - ricorda una delle figlie, Federica - . Tra le più dure, la morte di due figlie. Prima toccò a Luigina, più piccola di me: era una bella bambina, ma visse soltanto due ore. Quando il medico disse che non c' era più nulla da fare, mamma stessa la battezzò. Poi ci fu Mina. Essendo cardiopatica, mia mamma la portava spesso in campagna, dove si poteva respirare aria pura. Ma la volontà  di Dio era un' altra. Una domenica di settembre del 1965, Mina se ne volava al cielo tra le braccia della mamma che per due mesi, giorno e notte, l' aveva assistita. Per tutti noi fu uno schianto. A dire la parola giusta fu ancora lei, mia mamma: 'Mina era veramente bella, se il Signore l' ha presa dalla mia gonna per collocarla vicino a quella della Madonna. Era tanto bella che il Signore l' ha persa nel suo Regno'».

Francesco. Quando succedevano questi fatti, Francesco aveva già  smesso da tempo di lavorare esclusivamente la terra. Vinto un concorso all' acquedotto pugliese, si era trasferito a Grumo, vicino alla casa dei suoceri. Era diventato impiegato, con uno stipendio sicuro ma modesto, non certo sufficiente a tirare avanti decorosamente la numerosa famiglia. Fu la terra, che dovette continuare a coltivare, a venirgli in aiuto: ne ricavava l' olio, il vino, la frutta, la verdura, il pane. E non era poco. Ma doveva lavorare sodo: alle prime luci dell' alba andava ad aprire l' acqua per il paese, poi stava in ufficio o in giro a leggere i contatori e, infine, sui campi finché l' ultimo filo di luce gli consentiva di lavorare.

La «Santa Famiglia». Teresa e Francesco ebbero la fortuna di un figlio sacerdote, don Antonio, della congregazione dei Paolini. Vissero questo fatto come un grande dono di Dio, capace di riempire il cuore di felicità . E fu grazie al figlio che conobbero, diventandone membri attivi, l' istituto della «Santa Famiglia», l' ultima, nel tempo, delle iniziative (nove) che compongono la grande «Famiglia paolina», fondata da don Alberione.
La «Santa Famiglia» accoglie coppie di coniugi che intendono osservare, restando all' interno della vita familiare, gli stessi voti professati dai religiosi per vivere in pienezza il battesimo ed essere segno, nella Chiesa e nel mondo, che tutti possono diventare santi, qualunque sia la condizione in cui uno vive, dal Papa in giù.
Francesco e Teresa furono tra i primi a entrare nella «Santa Famiglia». Lo fecero il 4 novembre 1974, ad Ariccia, promettendo, nelle mani di don Stefano Lamera, animatore dell istituto, di vivere i consigli evangelici; la promessa fu da loro ribadita in modo definitivo nel 1978. Nella «Santa Famiglia» i coniugi Ugenti scoprirono con gioia che la santità  anche per i laici sposati non solo era una meta possibile, ma che proprio la vita matrimoniale, in forza del sacramento, offriva insospettate opportunità . E si sforzarono di vivere di conseguenza diventando per tante famiglie un esempio, un faro.

Il calvario. La vulcanica Teresa, sempre piena di vita e di slanci, a un certo punto fu costretta a fermarsi: le fu scoperto un tumore al polmone destro. Non si lasciò, tuttavia, abbattere dal primo inevitabile senso di sconforto. Reagì facendosi operare, al «Forlanini» di Roma, e affrontando con decisione e coraggio tutte le terapie che la medicina le proponeva, tra queste la chemioterapia, che, nel suo caso, non ottenne i risultati sperati, intaccò anzi i centri nervosi procurandole non pochi disagi e limitazioni.
Furono nove mesi di sofferenze, di speranza e di delusioni che Teresa, sempre assistita dal figlio don Antonio e dagli altri familiari, visse con grande forza d' animo, pronta ad accettare tutto quello che Dio le mandava: la guarigione come la morte. Era più preoccupata per il dolore e i disagi che la sua malattia arrecava ai familiari che per se stessa. Accettava tutto, anche l' immobilità , e non era poco per lei abituata a un' incessante attività . Ebbe sempre la forza di offrire a chi la avvicinava la dolcezza di un sorriso.
Se ne andò alle tre del mattino del 21 maggio 1984. Qualche ora prima don Antonio aveva celebrato per lei la santa messa e le aveva dato l' eucarestia come viatico per l' ultimo viaggio verso il cuore di Dio.
Francesco, uomo giusto, le sopravvisse per alcuni anni, fortemente segnato dalla perdita di Teresa, fedele compagna nella vita e nelle esperienze dello spirito.
I familiari, il figlio sacerdote in particolare, cercarono di rendergli sopportabile il distacco. Per sua fortuna, Francesco aveva sempre goduto di ottima salute; pagò solo lo scotto del faticoso lavoro dei campi sottoponendosi a due operazioni di ernia. Nient' altro. Varcata, però, la soglia degli ottanta, cominciarono i guai. Gli furono fatali tre ictus e tre rovinose cadute, in una delle quali si procurò la frattura di un femore.
Cercò di reagire con coraggio sottoponendosi a tutte le terapie e riabilitazioni prescrittegli, riuscendo anche per un breve periodo a rimettersi in piedi. Ma poi dovette arrendersi e accettare serenamente anche l' impotenza della carrozzella. «Come Dio ce la manda, noi dobbiamo prenderla», era solito dire. Anche la sua via Crucis, come quella di Gesù, conobbe 14 dolorose stazioni, tante quante le volte in cui fu ricoverato in ospedale.
Fu fortunato ad avere sempre accanto il figlio sacerdote che lo assistette con amore e fantasia. Ma con relativa fatica, perché Francesco non era un malato difficile da gestire. Accettava con rassegnazione tutti i limiti che la malattia gli imponeva. Anzi, la sofferenza fu il banco di prova, dal crogiolo del dolore uscì il meglio di lui: la forza, la fede, la saggezza, il suo abbandono nelle mani del Signore, lo spirito di preghiera.
E con discrezione se ne è andato, il 18 novembre del 1998, nella sua casa di Grumo Appula, dove lo avevano riportato dopo l' ennesimo ricovero in ospedale per vascopatia cerebrale.

   
   
  LI VOGLIONO SANTI      

S     ono oltre una cinquantina i vescovi italiani che vedrebbero volentieri i coniugi Ugenti sugli altari. Ecco alcune loro dichiarazioni. «È troppo importante che tutte le condizioni di vita siano presenti nel giardino della santità , soprattutto quando c' è di mezzo un sacramento, come nel caso del matrimonio» (monsignor Bonicelli, Siena).
    «Proporre ai coniugi cristiani l' esempio di una santità  feriale, ma non per questo meno eroica, come nel caso di Teresa e Francesco 'santi tra le pareti domestiche', è un dovere da assolvere» (monsignor Pierro, Salerno) .
    «La vita di Teresa e Francesco possa costituire un esempio e uno stimolo per tanti sposi che vogliono vivere in pienezza il matrimonio» (cardinale Martini,   Milano).

Il libro di Lia Carini:
una preziosa raccolta di testimonianze che ricostruiscono la vita di Teresa e Francesco.
Edizioni Rogate, Roma 2000.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017