Ripartire dall'umanità

Faccia a faccia col cardinale Turkson voluto da papa Francesco alla guida del nuovo Dicastero per lo sviluppo umano integrale.
08 Giugno 2017 | di

Sviluppo Umano Integrale. Questo il nome del Dicastero, nato da una precisa volontà del Papa, nel quale sono confluiti quattro Pontifici Consigli: Giustizia e Pace, Cor Unum, Pastorale migranti e Operatori Sanitari. Istituito il 17 agosto 2016, è entrato in funzione il primo gennaio scorso. Prefetto del nuovo organismo, il cardinale Peter K.A. Turkson.

Msa. Eminenza, siamo nel Terzo millennio: lo sviluppo umano integrale non dovrebbe già essere un bene consolidato e di tutti?Turkson. Lo sviluppo umano, tanto più come sviluppo integrale, è ancora da raggiungere. Basta ricordare gli Obiettivi del millennio, e ora quelli per lo Sviluppo sostenibile. Noi crediamo che la storia sia storia della salvezza. La Chiesa indica la stella: raggiungere la stella, per il navigante, però, non è facile. Dobbiamo impegnarci e tendere a quella stella, ricercare, aprirci. La misericordia è anche questo, è anche un percorso intellettuale, non solo morale. Ed è un percorso storico di impegno.

Cosa significa ciascuna delle parole scelte?  «Sviluppo» è vocazione del­l’uomo, come si legge nella Caritas in Veritate. Esso è progresso, è crescita complessiva, fisica, spirituale, morale, intellettuale. «Umano» vuol dire porre realmente la necessità integrale dell’essere umano al centro di tutto. «Integrale», in breve, è tutto per tutti, vale a dire non vedere l’uomo a compartimenti stagni. 

Come declinare lo «sviluppo», chi è chiamato in causa? La creatura richiama la piena realizzazione della natura crea­ta. Questa è ciò che l’uomo vive e che non deve e non può subire. L’uomo, non alcuni uomini. Dobbiamo superare, ad esempio, la rigida distinzione tra credente e non credente o quella tra laico e cattolico: sono distinzioni ideologiche che, oggi, sanno di stantio. L’uomo, appunto, è uno, e dentro di lui vivono tutte queste visioni, istanze, realtà. In questo senso, l’idea di sviluppo che intendiamo affermare è rivolta a tutti, senza distinzioni, senza pregiudizi, senza discriminazioni. Siamo tutti figli di Dio e tra figli non c’è gerarchia.

Il Dicastero ha messo a punto progetti rivolti a Paesi in via di sviluppo, e non solo. In questi Paesi sono state avviate varie iniziative, come il progetto «Seme di senapa». Ma la nostra attenzione si concentra anche su realtà più vicine. A Lamezia Terme e Taranto stiamo realizzando, con i vescovi locali, interventi per dare fonti di speranza e posti di lavoro ai giovani, spesso costretti alla fuga all’estero per mancanza di opportunità.

Aumentano, anche nel 2017, i migranti. Di fronte alla logica dell’indifferenza e dei muri, come costruire quella che il Papa chiama una «fantasia della misericordia»? La misericordia è espressione di solidarietà, vince l’esclusione e costruisce l’inclusione che è interessamento e sim-patia. Occorre capire che non c’è nessuno scontro di civiltà, nemmeno tra religioni. Tanto più che è stata la globalizzazione a introdurre, prima di ogni altro fenomeno, il movimento dei popoli. La «fantasia della misericordia» è una creatività morale e intellettuale che è anche politica. Media e movimento dei popoli avvicinano le persone: ciò, più che generare indifferenza, dovrebbe creare solidarietà e com-passione. Su questo lavoreremo ancor di più di quanto già non facciamo. È fondamentale e urgente.

Papa Francesco non perde occasione per scagliarsi contro la corruzione, anche dentro la Chiesa. Da che cosa inizia il vero cambiamento? Dalla giustizia. La corruzione come fatto giuridico si accompagna al deterioramento culturale di questo nostro cambiamento d’epoca. Si volta davvero pagina solo se si cambiano mentalità e cultura. Se non riusciamo a insegnare la storia e non diamo, nello stesso tempo, un orizzonte di bellezza all’alternativa alla corruzione, non riusciremo nel nostro auspicio. La corruzione è centrale nelle preoccupazioni del Papa. Alle spalle di questa urgenza ci sono le piaghe del nostro tempo, moltissime causate proprio dalla corruzione. Di qui, la necessità, tanto spesso manifestata dal Santo Padre, di un’azione politica, economica, produttiva e culturale rinnovata che ponga al centro l’integralità dell’essere umano. Noi stiamo lavorando, guardando anche alla forza dei nostri beni artistici intesi come formidabile veicolo anticorruzione.

Un altro male è la diffusione, nel tessuto sociale, politico ed economico, di mafia e crimine organizzato. I famosi «inchini» danno un’immagine di Chiesa locale, se non proprio connivente, di certo non abbastanza determinata nel contrasto a tali fenomeni. Come sradicarli? Questi atroci fenomeni vanno combattuti, come occorre combattere la corruzione. Mafia, crimine organizzato e corruzione sono cose diverse, ma tendono allo stesso fine: sostituirsi al pubblico, sostituirsi alla regolarità e allo sviluppo umano integrale. Il rapporto tra mafia e cattolicesimo ha ragioni storiche. La Chiesa condanna nettamente il fenomeno mafioso. Anche su questo aspetto occorre creare una nuova mentalità, in vista del rinnovamento della cittadinanza secondo criteri di giustizia e di libertà.

Quanti detengono potere economico e politico sembrano concentrarsi più sul mascherare i problemi che sul risolverli. Qual è il ruolo della Chiesa di papa Francesco? E quali parole, Eminenza, rivolgerebbe ai potenti? La mia risposta è composta di una parola e di un orizzonte: reciprocità e poliedro. La prima richiama la lotta per la libertà e la possibilità di realizzazione dell’uomo e degli uomini; la seconda esalta la loro differenza contro l’omologazione. Mettendo insieme questi due pilastri si ottiene la visione complessiva. La pace è l’obiettivo. Essa non è solo assenza di guerra tra eserciti, ma è costruzione partendo dai conflitti interiori di ogni singolo essere umano.

Eminenza, lei viene da un continente che sta attraversando un tempo di grandi difficoltà e di grandi slanci. Cosa sogna per la sua terra? Che sia parte della casa comune, prendendosene cura. Spero nella possibilità di affermazione delle comunità secondo la loro cultura e la loro storia, nella speranza che tali comunità, storie e culture abbiano l’ambizione di compiere un salto: non si frenino tra loro, ma puntino a realizzarsi integralmente in armonia con gli altri continenti.

 

L’intervista completa è disponibile nel numero di giugno 2017 della rivista e nella versione digitale.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017
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