Il miraggio e il sogno

In un viaggio, più che la meta, contano la decisione di partire e la strada percorsa. Perché a ogni passo si cambia e si cresce un po’.
16 Febbraio 2018 | di

«Fratelli carissimi, con vivo desiderio vorrei indossare il saio del vostro ordine, purché mi promettiate di mandarmi, appena sarò tra voi, alla terra dei Saraceni, nella speranza di essere messo a parte anch’io della corona insieme con i santi martiri» (Assidua 5,5)

 

I giovani con problemi di droga che chiedono di entrare in comunità iniziano un viaggio, un «viaggio» finalmente degno di questo nome. A farli decidere è il miraggio di tornare liberi e di riavere ai propri e altrui occhi una fiducia ormai spenta. E sanno, con trepidazione, di non essere in grado di conoscere i passi successivi che dovranno fare, se non che sarà necessariamente «dura»: dovranno affidarsi a una strada in salita, a guide adatte, a una compagnia nuova e alle sorprese che un lavoro con se stessi sempre riserva. Un cammino che dovrà continuare oltre il programma terapeutico, in una nuova esigente qualità di vita senza ritorni. I risultati? Un proverbio dice che nei deserti nessuna carovana ha mai raggiunto un miraggio, ma anche che, senza un miraggio, nessuna carovana mai sarebbe partita. Mettersi in cammino come vocazione e provocazione: «Caminante, no hay camino: se hace camino al andar» (Viandante, non esiste la strada, la fanno i tuoi passi) ci ricorda Antonio Machado; ed è così per tutti, non solo per i nostri giovani.

Anche sant’Antonio fece dell’andare lo stile dei suoi 36 anni di vita, quindici in famiglia, nove tra Lisbona e – centosettanta chilometri più lontano – Coimbra, e poi i dieci anni da francescano sulle strade di mezza Europa. Presso i canonici regolari il giovane Fernando/Antonio aveva ben assimilato le parole della Regola di sant’Agostino: non siate «come servi sotto la legge», ma vivete «come uomini liberi sotto la grazia» (cfr Rm 6,14), pertanto pronti a «muoversi» ai segnali della Grazia. E i frati minori lo attraggono perché vivono sulle strade della gente: dei poveri, degli studenti delle vivaci nascenti università, dei pellegrini di Terra Santa e di Santiago, dei mercanti che risvegliano l’economia; e tutti sulla scia di un qualche «miraggio».

Il miraggio – molto realistico – di frate Antonio ha i volti di Berardo, di Ottone, di Pietro, di Accursio, di Adiuto, frati francescani che sono stati appena uccisi per Cristo nel Marocco: «Oh, se l’Altissimo volesse far partecipe anche me della corona dei suoi santi martiri!» (Assidua 5,2). Sappiamo del suo rapidissimo cambio di comunità religiosa, del suo breve «noviziato» tra i minoriti, della sua partenza di slancio e del suo approdo a Marrakesh, pronto a cimentarsi per Cristo in un dialogo con i musulmani, forse in lingua araba, cosa non strana per un lisbonese bilingue e intraprendente come lui. Poco importa se la malattia spegnerà i suoi progetti. Anzi, la bruciante delusione del Marocco gli aprirà altre strade che non avrebbe mai immaginato, le più avvincenti. Davvero ciò che conta è la decisione di partire. È camminando che anche i nostri giovani pian piano non si riconoscono più. Non è il «vissero felici e contenti», insulso, delle favole, ma il raggiungimento del «miraggio» che si è trasformato – per Grazia e per impegno – in un «sogno»; e i sogni non tradiscono perché vengono dal cuore.

Data di aggiornamento: 16 Febbraio 2018
Lascia un commento che verrà pubblicato