Camminando si fa cammino

Scriveva così uno dei maggiori poeti spagnoli, Antonio Machado. Quello che il poeta non dice, però, è che lungo il cammino, passo dopo passo, si incontra Dio.
17 Aprile 2018 | di

Che cosa ho scoperto durante il cammino di Santiago? La mia debolezza». A dirlo è Nicola, uno dei circa 200 mila pellegrini che percorrono ogni anno l’intero Cammino di Santiago di Compostela a piedi (780 km). Una scoperta preziosa, soprattutto in tempi di performance obbligate, che non contemplano rallentamenti né imperfezioni.

I motivi per cui ci si mette in cammino sono molteplici: c’è chi lo fa per sport, chi per turismo o curiosità. Qualcuno lo fa per fede, altri per ritrovare se stessi. Come Giovanni, anche lui pellegrino sulla via di Santiago, per i suoi 50 anni: «Era una tappa importante della vita, volevo farmi un regalo. Ho scoperto che il vero senso del cammino non è arrivare, ma camminare, tappa dopo tappa, rivisitando la propria vita».

Se dunque non tutti, o non sempre, danno un valore spirituale o religioso al proprio «andare a piedi», non c’è «andare» che non porti, alla resa dei conti, a confrontarsi con quella dimensione spirituale o religiosa che ciascuno custodisce nel proprio intimo.

«Oggi tutti hanno uno stile di vita alienante – sottolinea fra Alberto Tortelli, “anima” del Cammino di Sant’Antonio –, nel quale si utilizzano le cose come prolungamenti del proprio corpo per riempire quel vuoto interiore che si avverte. Ma, a lungo andare, queste “vite di plastica” non pagano: la domanda che ogni essere umano ha in cuore, che altro non è che una profonda ricerca di senso, prima o poi emerge. Il cammino è faticoso: ogni mattina devi rimotivarti, devi dare un senso al tuo alzarti, inforcare lo zaino e partire. È lo specchio della condizione umana. Nessun cammino, alla fin fine, è veramente “laico”».

Il cammino ha radici lontane L’essere umano nasce in cammino. I nostri progenitori erano nomadi: vivevano di caccia e per procacciarsi il cibo si spostavano di continuo. Solo dopo, con l’avvento dell’agricoltura, sono divenuti stanziali. Ma la nostalgia del movimento è rimasta nel nostro Dna, come un solco incancellabile. A rimettere in moto gli umani sono state le religioni, che hanno sottolineato il valore simbolico del mettersi in cammino verso una meta. Ecco allora la scoperta del pellegrinaggio come pratica religiosa. Basti pensare al pellegrinaggio alla Mecca (Hajj H·ajj), uno dei cinque pilastri dell’islam, che ogni buon musulmano deve compiere almeno una volta nella vita e che contempla un tratto compiuto a piedi. O il Sukkot (meglio noto come Festa delle Capanne), una vera e propria festa di pellegrinaggio per gli ebrei, che dura circa otto giorni. Del mettersi in cammino si parla sin nell’Antico Testamento, a partire da quel primo «pellegrinare» di Abramo verso una terra che il Signore gli avrebbe mostrato. Gesù Cristo stesso comincia la sua vita pubblica mettendosi «in cammino». Anche tra i santi troviamo dei grandi «camminatori». Due per tutti: Francesco d’Assisi, che dell’itineranza ha addirittura fatto la regola di vita dei suoi frati, e sant’Antonio di Padova, predicatore instancabile del Vangelo, che ha percorso a piedi l’Italia (e non solo) intera.

Non è un caso se il grande scrittore Mario Pomilio, nel suo capolavoro Il quinto evangelio, fa dire a Gesù: «Siate viandanti, non sedentari». Perché da sempre il cristiano è colui che in questa vita si sente pellegrino (da peregrinus: chi, varcando campi e confini, indirizzato verso una meta ben precisa, sa cogliere il significato profondo degli eventi, condividendone il senso con altri), in attesa di approdare a un aldilà di speranza.

La stessa identità europea si è forgiata sui pellegrinaggi. «Il pellegrinaggio medievale, come afferma Dante nella Vita nova commentando il sonetto Deh peregrini che pensosi andate, aveva per oggetto alcuni poli principali – Santiago, Roma e Gerusalemme – e una costellazione di altri santuari legati al culto dei testimoni di Dio. Romei (pellegrini verso Roma, ndr), Palmieri (verso Gerusalemme) e Giacobei (verso Santiago di Compostela) hanno delineato la “mappatura” spirituale del continente europeo e la sua apertura verso l’oriente cristiano» sottolinea padre Caesar Atui­re ne Il valore culturale e religioso del Pellegrinaggio (www.viefrancigenedelsud.it).

Il ritorno dei pellegrinaggi Moda, esigenza, riscoperta. Qualunque ne sia la ragione, un dato è certo: il cammino spirituale sta vivendo una seconda giovinezza (basti citare, oltre ai 200 mila pellegrini verso Santiago, i 30 mila e più che ogni anno si calcola percorrano la Via Francigena). Un potenziale business che fa gola a molti. Ed ecco allora hotel pluristellati spuntare accanto agli ostelli, ristoranti raffinati sostituire i semplici luoghi di ristoro, pro-loco che, seppure nel sacrosanto tentativo di rilanciare le economie locali, stravolgono l’originario significato del cammino di zona, trasformandolo in percorso turistico.

Ma tutto ciò non ferma i pellegrini. A che cosa si deve questo ritorno imprevisto e improvviso del cammino spirituale? «Credo lo si debba al cammino di Santiago, al suo successo – dice Miriam Giovanzana, direttrice di Terre di Mezzo, l’editrice che ha in catalogo un’intera collana, I Percorsi spirituali, dedicata a tali itinerari, nella quale sta uscendo la prima guida ufficiale del Cammino di Sant’Antonio in coedizione con l'EMP –. Ma anche a un mix di altri fattori che vanno dalla riscoperta di un atto antico, quello del pellegrinaggio verso i luoghi cari al cristianesimo, fino al costo contenuto dell’esperienza. Non tralascerei nemmeno l’importanza delle grandi narrazioni collettive: alcuni libri di successo (come Il cammino di Santiago di Paulo Coelho), qualche film (per esempio The Way, con Martin Sheen), i blog e i social: il pellegrinaggio è tornato a essere, da esperienza di pochi, esperienza di popolo». Ma può esserci un lungo «cammino verso…» che non sia anche spirituale o religioso? «In effetti in un qualsiasi lungo cammino si è messi alla prova – continua Giovanzana –, e il percorrere una via di pellegrinaggio è sempre un andare incontro a se stessi e all’altro, alle volte anche a Dio. La meta è lì, e poveramente restituisce la sua radice spirituale: è quella che, consapevoli o meno, ci ha messo in cammino. E poi in un percorso di pellegrinaggio si mettono i propri passi sulle orme di coloro che ci hanno preceduto. Ci si sente dentro un fiume. È una bella esperienza anche di comunione».

Una di quelle esperienze che segnano la vita. «Sì – conclude la direttrice di Terre di Mezzo –. Ognuno porterà con sé il suo frammento di dono. Io porto nel cuore l’esperienza della gratuità, quella ricevuta e quella di cui si diventa capaci. Ricordo le piante di fichi: dopo un po’ di giorni di cammino impari a raccoglierne solo uno o due, pensando a quelli che passeranno di lì dopo di te. Impari che ogni giorno ha la sua pena e la sua grazia e che basta poco per superare la soglia dell’una o dell’altra. Nulla che non accada già nella vita di tutti i giorni accade nel cammino, eppure, quando sei fuori dalle tue sicurezze e dal tempo comune, tutto splende in modo particolare. E illumina il resto dei giorni».

Scrive ancora Giovanni, il pellegrino incontrato all’inizio dell’articolo, quando giunge a Santiago: «Partito in compagnia di cinque “angeli custodi”, amici mancati prematuramente, dopo esser salito e sceso per i Pirenei, aver attraversato città e puebli, dopo aver camminato sotto la pioggia, la neve, il sole o immerso nel fango sino alle caviglie. Dopo aver dormito in monasteri, albergue parrocchiali o municipali, in stanzoni con letti a castello e bagni in comune. Dopo aver conosciuto la gente più disparata, dopo aver visto chi fa il cammino a cavallo, chi con l’asino, chi per trovare moglie o marito, chi per motivi spirituali o religiosi, chi per espiare colpe o mantener promesse, chi perché non lo sa. Dopo aver camminato per giorni con la tendinite tibiale anteriore, con vesciche e unghie rotte, dopo aver riso, pianto, pregato, cantato, dopo aver camminato qualche volta in compagnia ma per il resto quasi sempre da solo in mezzo alla natura. Dopo aver capito che il Cammino insegna che dopo ogni caduta nella vita ci si può rialzare con pari dignità, ho finalmente abbracciato la statua dell’apostolo Giacomo con una commozione fortissima. Non ho parole per descrivere i sentimenti e le riflessioni di questo tempo. Chi termina il Cammino ha una sola certezza: bisognava farlo. Porterò per sempre in cuore il saluto del pellegrino: “Buen camino por toda la vida que Dios quiere para mi e para ti! Ahora yo soy peregrino para siempre”».

 

L'Associazione Il Cammino di Sant’Antonio, insieme con la Basilica del Santo e il «Messaggero di sant’Antonio», promuove per il 21 aprile la «Festa dei Cammini e dei Camminatori al Santo», presso il Santuario antoniano (ingresso libero). Info: http://www.santantonio.org/it/content/1deg-festa-dei-cammini-e-dei-camminatori-al-santo-elogio-della-lentezza-tra-spiritualita  Email: infobasilica@santantonio.org; tel. 049 8225652.

Data di aggiornamento: 17 Aprile 2018
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