Non solo cucina e moda

Il meeting ha messo in evidenza alcune esperienze culturali e sociali della nostra presenza nella Big Apple.
15 Maggio 2009 | di

New York
La tavola rotonda svoltasi a New York presso i locali dello IACE, l’Italian American Committee on Education, ha visto la partecipazione di rappresentanti dei componenti dell’italianità nello Stato di New York: il professor Anthony Tamburri, preside del Calandra Institute, CUNY; Ilaria Costa, direttrice dello IACE, l’Italian American Committee on Education; Maria Serena Ciambellotti e la dottoressa Antonella Fongaro. Con loro erano presenti Silvana Mangione, vicesegretario generale del Cgie per i Paesi anglofoni extraeuropei, e padre Luciano Segafreddo.
Anthony Tamburri
Sono alla guida dell’Istituto Calandra di New York, affiliato alla City University, da circa tre anni. La mia formazione è quella di docente d’italianistica, anche se da circa vent’anni mi occupo anche di letteratura e cultura italoamericana (o italofona). Sono italiano-americano di terza generazione, dunque discendente di una delle numerosissime famiglie italiane che arrivarono qui all’inizio del secolo scorso, si stabilirono a Manhattan, e successivamente nel Connecticut. Manhattan per tanti italiani fu solo un luogo di passaggio perché taglieggiati dai loro stessi connazionali. Spinto da curiosità intellettuale e da buoni profitti scolastici, decisi d’intraprendere la carriera accademica e, dopo vari incarichi, da due anni e mezzo sono alla guida dell’Istituto Calandra. Oltre a organizzare almeno due conferenze all’anno (una appena conclusa sulla “Canzone Napoletana Transnazionale”, e l’altra dal titolo “The land of our return”: l’Istituto Calandra organizza mostre, rassegne culturali, pubblica studi sulla produzione culturale italo-americana, e svolge anche ricerche nel settore accademico su tematiche concernenti gli italo-americani (o sarebbe il caso di dire: italofoni). Devo dire che negli ultimi anni l’attitudine dell’Accademia italiana verso gli studi italo-americani è molto cambiata. Un interesse maggiore è mostrato verso gli studi letterari italo-americani, anche se l’interesse proviene maggiormente dall’italianistica che dall’anglistica. L’Istituto al momento fa anche da cerniera tra le nuove istanze culturali che arrivano dall’Italia, e la riscoperta di una cultura italo-americana che ha prodotto considerevoli opere letterarie e non. È un momento favorevole sia per la cultura italiana che per quella italofona, anche se non sempre la comunità italofona sostiene adeguatamente, attraverso la filantropia culturale, la diffusione e l’implementazione della nostra ricerca.
Ilaria Costa
Ho lasciato l’Italia e sono a New York da oltre dieci anni, dopo la laurea conseguita quando avevo 23 anni. Trovavo l’Italia un po’ statica, e quindi ho deciso di venire a New York e di abbracciare il suo dinamismo. Quello che cerco di fare quotidianamente, anche attraverso il mio lavoro, è di dare un’immagine più attuale dell’Italia e dell’italianità. Cerco di far conoscere il meglio dell’Italia attuale (le famose 3F: Food, Fashion and Ferrari. Mi piace molto che i ragazzi che studiano l’italiano, escano fuori dalla scuola o dall’istituto per conoscere il meglio della produzione culturale italiana contemporanea, così come incontrare i rappresentanti delle istituzioni italiane o gli artisti che vengono dall’Italia.
Lo IACE si occupa di promuovere la lingua e la cultura italiana negli Stati di New York, New Jersey e Connecticut. Organizziamo eventi in città anche per i ragazzi della periferia che hanno modo di venire a New York e di visitare musei e istituzioni italiane. Essi poi trasmettono le loro conoscenze alle famiglie, e spesso le convincono a fare un viaggio in Italia. È dunque un investimento anche economico, ma spesso queste istanze non sono recepite dal Ministero degli Esteri italiano. Non è un investimento per lo IACE, ma per l’Italia.
A Roma ho partecipato alla Conferenza dei giovani italiani nel mondo, e nel nostro documento abbiamo sottolineato che: «Lingua è Cultura». La lingua italiana è il veicolo trainante per la promozione della cultura. Non c’è lingua se non c’è cultura, e viceversa. Gli americani sono interessatissimi all’Italia. Quando dico che sono italiana, sono immediatamente apprezzata per la nostra storia e cultura. Tuttavia esistono delle difficoltà nel mio lavoro soprattutto quando si tratta di far capire a Roma, al Ministero degli Affari Esteri, le logiche operative delle istituzioni americane, diverse da quelle italiane. Ma il clima favorevolissimo che gode, almeno qui a New York, la cultura e la lingua italiana, danno una spinta energetica davvero incredibile.
Antonella Fongaro
Sono venuta a New York dopo aver lavorato per anni in Italia come medico ospedaliero. Mi sono trasferita qui per la carriera di mio marito. Ma è stata anche una scelta di vita perché mi ha permesso di crearmi una famiglia, che non avevo in Italia, e oggi abbiamo due bambine gemelle, nate qui a New York. Faccio la mamma e la moglie, e adesso ho iniziato una collaborazione con una scuola di italiano dell’Upper West Side. È un’esperienza che mi interessa molto in quanto si tratta di insegnare la lingua italiana attraverso la cultura.
Le bambine, con le quali parliamo sempre in italiano, frequentano la Scuola d’Italia Guglielmo Marconi di New York, che ha un programma bilingue. Sono perfettamente bilingui, e sono a loro agio con le due lingue, e questo lo vedo sia quando andiamo in Italia sia quando siamo qui. Tuttavia qua c’è il loro mondo, qua trascorrono la gran parte del loro tempo, anche se i valori italiani e la conoscenza dell’Italia è ben radicata nella loro vita.
Per quanto riguarda la mia esperienza qui, devo dire che il primo anno è stato abbastanza difficile anche a causa della barriera linguistica. Poi, lentamente, una volta imparata la lingua, l’inserimento è stato abbastanza agevole. Adesso ho amici sia americani che italiani. E le nostre intenzioni sono di rimanere negli Stati Uniti.
Maria Serena Ciambellotti
Sono da sei mesi a New York. Mi sono trasferita qui a seguito dell’attività professionale di mio marito. Abbiamo scelto per i nostri figli la Scuola d’Italia Guglielmo Marconi senza nemmeno guardare altrove. Arrivavano da una scuola puramente italiana, e abbiamo preferito farli continuare in una scuola italiana, dove si sono subito integrati. Noi siamo certi di rientrare in Italia, dunque il nostro approccio con questa esperienza è diverso. Non abbiamo difficoltà a mantenere viva la cultura e la lingua italiane, anzi cerchiamo di far assorbire ai ragazzi, e di assorbire noi stessi, quanto c’è di meglio nella cultura americana.
Io avevo già avuto un’esperienza d’insegnamento negli Stati Uniti, tra il 1990 e il 1992, in Florida. Ma qui a New York c’è un clima culturale totalmente diverso. C’è un forte interesse per la lingua e la cultura italiana, e forse in questo siamo anche aiutati dal successo di tanti nostri concittadini che ormai negli Stati Uniti si sono affermati, e appartengono al ceto medio–alto. L’interesse verso la lingua e la cultura italiane spinge a sentirsi orgogliosi del nostro Paese. Non avendo le difficoltà vissute dalle precedenti generazioni, siamo fieri della nostra cultura originaria, e la vogliamo mantenere. Il trasferimento qui a New York, per me non è stato molto traumatico, ma sento spesso le amiche lamentarsi per la mancanza di un corso d’inglese per italiani adulti. Questo è un aspetto che andrebbe considerato.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017