Gli italiani della Grande Mela

New York è stata definita «la più grande città italiana degli Stati Uniti». Maurizio Molinari racconta nel libro «Gli italiani di New York» la vita della variegata comunità. Creatività e voglia di lavorare sodo i valori emersi.
11 Novembre 2011 | di

Maurizio Molinari, corrispondente de «La Stampa» dagli Stati Uniti, è tra i maggiori esperti italiani di politica americana. Dopo aver intervistato diversi global leader, da Gheddafi a George W. Bush, da Hillary Clinton a Condoleezza Rice, si è cimentato con un argomento «nuovo». Ha compiuto un lungo viaggio nella multiforme comunità italiana di New York (ci sono due milioni e 700 mila italiani e discendenti di italiani nella grande area metropolitana). Ne è risultato un pregevole volume: Gli italiani di New York (Laterza, 2011). Un libro che sfata tanti luoghi comuni e pregiudizi sugli italiani d’America e provoca una riflessione che potrà risultare interessante per università, Regioni e governo. Il volume di oltre duecento pagine affronta diversi argomenti così suddivisi: il popolo, la fede, l’Italia, la politica, il business, le arti. Il libro, innovativo nella composizione, si pone però nella lunga scia della tradizione degli studi sugli italo americani già avviata da Emilio Cecchi e da Giuseppe Prezzolini.
Molinari mette a confronto due tipologie di persone, accomunate dal profondo affetto verso l’Italia: gli italiani che sono arrivati qui negli ultimi venti anni, non solo scienziati e top manager ma anche tanti clandestini che hanno cercato nella Grande Mela un’oasi per realizzare le loro ambizioni, e gli italiani che qui vivono da due o più generazioni, occupando incarichi di potere e responsabilità.
In tutti gli intervistati emerge una consapevolezza che diviene man mano certezza: gli italiani lavorano sodo e in questa città è possibile realizzare le proprie ambizioni e i propri sogni. 
Il pregio di Molinari (raro tra i corrispondenti esteri) è stato quello di visitare i luoghi italiani della Grande Mela, parlare con i protagonisti e riportarne gli umori, come pure a volte anche l’amarezza provata verso l’Italia. Ma soprattutto sono emersi la grande umanità e il forte legame verso il «Bel Paese».
Msa. Maurizio Molinari, perché ha deciso di scrivere un libro sugli italiani di New York?
Molinari. Per contribuire a una migliore comprensione reciproca tra i connazionali d’Italia e quelli di New York. Hanno molto in comune ma ignorano anche molto gli uni degli altri. Credo sia il risultato di una ferita secolare, perché l’Italia si è curata poco e male dei compatrioti che dalla fine dell’Ottocento agli anni Sessanta hanno scelto di emigrare in America, causando una lacerazione che oggi può essere sanata dalle nuove generazioni. A patto però che riescano a conoscersi.
Qual è il rapporto con l’Italia di questa consistente comunità all’estero?
Nel caso degli italiani di New York dipende da quale gruppo, o tribù, prendiamo in considerazione. Figli e nipoti degli ultimi emigranti sono oramai in gran parte americani: conservano con la patria d’origine solo un legame emotivo o culinario. Invece gli italiani giunti negli ultimi venti anni sono identici in tutto e per tutto a quelli che vivono in Italia. C’è però anche un terzo tassello, composto da isole etniche come quella di Arthur Avenue nel Bronx, dove le identità italiane restano «congelate» al momento in cui l’emigrazione avvenne. Visitare questi luoghi può dare emozioni molto forti. Nel complesso dunque gli italiani di New York riflettono, rispetto all’Italia, tre approcci diversi, frutto di differenti tempi storici.
Esiste a suo parere un collante tra le diverse comunità italiane newyorkesi?
Certo: è l’amore per l’Italia. Anche se ognuno lo vive in maniera differente, a modo proprio. È lo stile dei newyorkesi in proposito a ogni altra cosa. New York è una città che esalta caratteristiche, valori e sogni individuali, mettendoli spesso in competizione fra loro. E gli italiani non fanno eccezione.
Come è visto il nostro Paese dagli italiani di New York, e cosa pensano della politica italiana?
Una domenica sono entrato in un club di Brooklyn dove si ritrovano gli originari di Partanna, in Sicilia. Uno di loro mi ha detto: «Vediamo sempre la Rai e ci dispiace molto ascoltare i leader politici italiani che bisticciano tra loro, vorremmo più concordia, vorremmo vederli interpretare l’amore per l’Italia che abbiamo noi».
Ecco, credo che gli italiani di New York vorrebbero vedere un’Italia più coesa su valori comuni e interesse nazionale.
Quali riflessioni ha maturato alla luce di questo viaggio-studio tra la comunità italiana di New York?
Ho maturato la convinzione che ogni italiano d’America ha cognizioni, competenze e voglia di fare che potrebbero trasformarsi in un grande motore di crescita per il nostro Paese.
Il libro si apre con una riflessione sull’11 settembre e sulle vittime di origine italiana. Perché l’11 settembre può essere considerata una ricorrenza da commemorare anche in Italia?
Perché tra i 343 pompieri caduti a Ground Zero quasi il dieci per cento era italiano. L’11 settembre è un giorno di lutto per gli italiani di New York perché così tanti tra loro caddero per salvare il prossimo e aiutare la città a risollevarsi dall’attacco subito. Peter Ganci, il capo dei pompieri, è solo il nome più noto: nei mesi dopo l’attacco vi furono dozzine di lutti e funerali di italiani. Noi italiani d’Italia non dobbiamo mai dimenticarlo.
A New York esistono diverse migliaia di italiani clandestini. Perché vengono a New York e cosa potrebbe fare il nostro Paese per costoro?
Sono in gran parte giovani, vengono in cerca di lavoro e affrontano innumerevoli rischi e sacrifici. L’Italia si dovrebbe occupare del loro ritorno in Patria offrendo loro opportunità migliori. Proprio come Roma chiede di fare a Tunisi e Rabat per porre fine alla corsa di tunisini e marocchini verso le coste dell’Italia.
Qual è il valore aggiunto che questi italiani a New York possono dare al nostro Paese?
I valori di cui sono portatori sono due: creatività e grande capacità di lavorare sodo. 

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017