Antonio: l’uomo oltre il Santo

Riscoprire l’uomo nascosto nel Santo più amato al mondo, non è solo difficile, è anche rischioso. Ci ha provato un romanzo storico, costruito sulle fonti e con la consulenza di fra Luciano Bertazzo, tra i maggiori studiosi di sant’Antonio.
26 Marzo 2020 | di

Un santo amatissimo in tutto il mondo, da otto secoli sugli altari, come sant’Antonio, sembra un intoccabile, una figura cristallizzata nella sua santità. Difficile per chiunque pensare che sia stato un uomo in carne e ossa, con i suoi limiti e le sue grandezze. Incuriosisce e non poco il fatto che uno scrittore, Nicola Vegro, abbia accettato la sfida, tutt’altro che scontata, di cercare il volto umano di sant’Antonio, quand’era solo «Antonio», al di là dei miracoli, dei santini, dell’immagine idealizzata dalla devozione.

La sfida è ancora più ambiziosa se il libro in questione è un romanzo storico, frutto di decenni di studi sulle fonti, e con la supervisione di uno dei più grandi esperti di sant’Antonio, fra Luciano Bertazzo, direttore del Centro Studi Antoniani. Da questo mix di storia e creatività è nato Antonio Segreto, la forza di un uomo (Edizioni Messaggero Padova), romanzo in cui Antonio – riporta la quarta di copertina – «si muove tra intricate vicende personali e scelte difficili, guerre e interessi politici, dispute teologiche e prelati corrotti, difesa dei poveri e lotta all’usura e ai prepotenti».

Michela Murgia che per prima ha presentato il libro al Salone della Piccola e Media editoria di Roma, lo scorso dicembre, ha rilevato come un libro simile rischi due derive: essere preso come dissacratore o, al contrario, diventare un’agiografia, sottolineando però come la forma narrativa possa essere più potente e più introspettiva di qualsiasi saggio. A patto che il libro sia bello e ben scritto, e piaccia anche ai non devoti.

Prima la storia o la devozione?

Al di là del libro, la domanda rimane: rivelare l’Antonio storico è un’operazione azzardata? Perché i devoti potrebbero trovarsi di fronte a una figura lontana da quella rassicurante e idealizzata della propria devozione. «Antonio ha due percorsi paralleli, che di rado s’incontrano – ammette fra Bertazzo – da un lato c’è l’Antonio della storia, canonico agostiniano, che decide di diventare francescano, o l’Antonio che predica contro l’usura, immerso nei problemi della sua epoca; dall’altro c’è l’Antonio della devozione, che ha linguaggi e codici diversi. La devozione cerca l’incontro personale e affettivo, la storia interpella l’intelletto e la ragione. A mio parere incrociare le due dimensioni è un arricchimento reciproco. La devozione è una porta aperta sul mistero e sull’oltre, mentre la conoscenza storica può educare la devozione popolare a superare il rischio del “feticismo”».

La necessità di valorizzare la dimensione storica dei santi è stata espressa anche da papa Francesco in varie occasioni. Più volte ha infatti sottolineato che i santi non sono «nati perfetti, sono come noi». Un tema, quello della santità quotidiana, fatta di piccole scelte, a cui tutti i cristiani sono chiamati, e che è al centro dell’Esortazione Apostolica Gaudete et Exsultate. «La premessa teologica è che la santità s’incarna dentro una storia – continua Bertazzo –. Gesù stesso si è incarnato al tempo di Tiberio imperatore e ha un vissuto personale. La storia è un orizzonte di significato».

La letteratura, così come il cinema, può far rivivere la storia, dare una tridimensionalità che altri mezzi non danno, ma raccontare l’Antonio del ’200 senza tradire la storia non è stato semplice: «È stato possibile grazie a un dialogo fruttuoso tra me e l’autore, Nicola Vegro, uno scambio continuo che ci ha permesso di trovare un termine medio tra fonti storiche verificabili e libertà creativa. L’autore mi sottoponeva il suo scritto e io ne controllavo la coerenza storica d’insieme, senza mai invadere il campo della creatività».

Chi era l’Antonio del ’200?

Un’esperienza che è stata anche un viaggio di scoperta, perché quando si deve raccontare un personaggio a tutto tondo, non si può prescindere dalla visione d’insieme. La fonte può fermarsi a un episodio o a una data, il racconto deve ricostruire i pezzi mancanti del puzzle. E una delle tessere che emerge poco dalle fonti è proprio il carattere dell’uomo Antonio. «Le fonti storiche alla base del romanzo, fonti che Vegro conosce molto bene – afferma fra Bertazzo –, sono due: le biografie e i Sermoni, cioè gli scritti di Antonio dedicati alla formazione dei frati. Ebbene, per capire chi era l’uomo bisogna leggere tra le righe, perché Antonio non amava parlare di sé e, al contrario di Francesco, non ha lasciato scritto nulla che descriva le sue emozioni o le sue vicende personali». E tra le righe s’intravede un uomo dalle forti passioni, disposto a consumarsi per ciò in cui crede: «Antonio ama profondamente il Vangelo. È mosso da un’inquietudine che non è nevrosi, ma che è tipica di chi vuole spendere la propria vita per un ideale superiore. Per questo rinuncia a tutto, alla sicurezza del convento di Coimbra, ma anche alle carriere legate alla posizione sociale della sua famiglia. Anzi, fa di più: sceglie i francescani, cioè la forma più radicale e provocatoria, per tradurre la sua passione evangelica. È un uomo che subisce sconfitte cocenti, che cerca la propria identità dopo il fallimento missionario. Un uomo che ha bisogno di ripensarsi e che solo nel silenzio dell’eremo di Montepaolo si ritrova. Da allora si spende sulle strade del mondo, per predicare e per difendere gli oppressi. L’Antonio che arriva a Camposampiero, alle porte di Padova, nel 1231, poco prima di morire, è un uomo consumato dalla passione per il Vangelo».

Il romanzo ha consentito anche alla storia di scoprire pezzi di verità nascoste, che andrebbero studiati con occhi nuovi. «La scoperta più rilevante – spiega Bertazzo –, a prima vista di scarso interesse per il pubblico, sono alcune fonti successive che attestano la partecipazione di Antonio a un sinodo di vescovi nel Nord della Francia. Ciò significa che, pur essendo agli inizi, i frati minori avevano già assunto un ruolo significativo nella Chiesa del tempo. Che Antonio stesso aveva un ruolo importante». Non solo Francesco, quindi, ma anche Antonio è una figura centrale nella storia del francescanesimo. Due frati simili eppure diversi: l’uno è l’esempio, l’altro la parola; l’uno è l’immediatezza, l’altro la conoscenza, «l’uno è il frater, l’altro è il pater» chiosa fra Bertazzo. Eppure è Francesco che, superando se stesso, chiede ad Antonio di insegnare teologia ai frati. Due cammini, una sola passione.

L’uomo degli opposti

È l’ennesima conferma che Antonio è l’uomo dei contrasti a 360 gradi: «È capace di parole forti contro la Chiesa corrotta o i mali della sua epoca – continua Bertazzo – e, allo stesso tempo, sa stare in silenzio, in ascolto degli ultimi, così come lo immagina la pietà popolare. Forte con i potenti, umile con i poveri, introspettivo nell’eremo, grande predicatore nelle piazze, solo eppure tra la gente». Un uomo così, insieme silenzio e parola, vento forte e brezza primaverile, potente eppure umile, come avrebbe visto tutto questo parlare di lui nei secoli? La domanda è provocatoria, ma fra Bertazzo non si sottrae: «Credo che non gli sarebbe piaciuto tanto clamore – conclude –. Avrebbe alzato in silenzio l’indice al cielo per dire “non io, ma Dio”».

 

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Data di aggiornamento: 01 Aprile 2020
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