Le recenti vicende del Pio Albergo Trivulzio accendono i riflettori su un male temibile quanto un'epidemia, un morbo collettivo che ci riguarda tutti da vicino, in quanto cittadini italiani.
Quando la malattia è incurabile, meglio affrontare la morte nella consapevolezza oppure nell’illusione e nell’inganno a fin di bene? È il nodo su cui riflette il film «The Farewell – Una bugia buona» (Usa-Cina 2019) di Lulu Wang.
«Ecco il motivo delle prove: vivere, lasciando che tutto il senso della nostra vita lo sappia e lo conosca Lui solo». Così scriveva Benedetta Bianchi Porro, proclamata beata il 14 settembre.
Kitō Aya è una quindicenne giapponese come tante altre. Un po’ ingenua e irruenta. La sua vita procede serena tra le lezioni scolastiche, la famiglia e gli amici. Fino a quando qualcosa di strano inizia a trasformare il suo corpo, sempre più magro e scavato. I movimenti rallentati, gli arti rigidi, le cadute improvvise e la camminata incerta sono spie di una malattia – l’atassia spinocerebellare (SCA) – che la trascinerà in un vortice di dolore e sofferenza.
Solo la buona cura, la relazione, l’ascolto hanno il potere di guarire. E lo fanno in maniera direttamente proporzionale alla fragilità che hanno di fronte. La medicina non basta da sola.