05 Dicembre 2017

Faccia a faccia con l'alieno

Navicelle guidate da strani polpi a sette piedi approdano sulla Terra scatenando reazioni umane contrapposte. Una linguista e un fisico cercano di risolvere l’enigma nel thriller di fantascienza «Arrival» (USA 2016), di Denis Villeneuve.
Una scena tratta da «Arrival» (USA 2016), di Denis Villeneuve.
Una scena tratta da «Arrival» (USA 2016), di Denis Villeneuve.
JAN THIJS © 2016 XENOLINGUISTICS, LLC.

Dodici enormi oggetti volanti a forma di ellissi (detti «gusci») raggiungono parti diverse del pianeta Terra, si fermano a pochi metri dal suolo e aprono la loro corazza a orari regolari, invitando gli umani a esplorarne l’interno, in un campo privo di gravità. Dietro uno schermo rettangolare luminoso, avvolti in un’atmosfera fumosa, gli alieni manifestano le loro fattezze. Si tratta di strani polpi a sette piedi (eptapodi), uno dei quali, in forma di stella marina a sette punte, emette anelli di fumo, tutti da decifrare. I loro versi gutturali, echi di cavità corporee e di movimenti tellurici, restano incomprensibili. Le reazioni dei terrestri sono opposte: curiosità, paura, panico, aggressività. I militari reclutano una linguista di fama mondiale, Louise, e un fisico teorico, Ian, prima di rispondere con le armi alla potenziale minaccia.

Il thriller non si compiace di azioni spettacolari ma focalizza le frenetiche ricerche svolte nei laboratori informatici, allestiti sotto tende militari da campo. In questo modo lo spettatore è confrontato con domande squisitamente filosofiche che riguardano il tema della decisione morale. Come prendere in considerazione gli oscuri messaggi e le vibrazioni emotive che atterrano nel nostro cuore? Che cosa convince a credere che l’altro abbia un’attesa legittima nei nostri confronti, o addirittura elevi una ragionevole richiesta d’aiuto? 

I terrestri apprendono anzitutto dagli alieni una forma di scrittura inedita. L’anello d’inchiostro è come una frase scritta da due mani che si muovono contemporaneamente in direzione opposta: la si può analizzare in senso orario o antiorario e qualunque macchia può rappresentare il tratto di partenza. La scrittura aliena è una pittura, che offre la visione di un mondo, prima di lasciarsi sezionare in dettagli grammaticali o catalogare secondo categorie logiche. Chi frequenta quei segni, li studia, traduce o persino riproduce (come riuscirà a fare Louise), subisce poco alla volta una trasformazione psicologica. Cambia il suo modo di percepire le cose, di guardare la vita e di costruirsi una morale.

L’esempio centrale è quello del tempo: per il senso comune il tempo scorre come una linea tesa tra passato e futuro. Per gli eptapodi il tempo è circolare: non c’è un inizio e una fine, ma la storia è (come la loro scrittura) una circonferenza aperta, in cui ogni punto può valere da inizio o termine, perché ciò che conta è l’evento capace di rivelarci simbolicamente chi siamo e che cosa vogliamo. Perciò passato, presente e futuro si sovrappongono. Noi vediamo Louise pensare alla sua bambina; ci sembra una memoria (il ricordo di un lutto), ma apprenderemo che si tratta anche di una preveggenza (Louise immagina il destino tragico della figlia, prima ancora di concepirla e portarla in grembo).

Il futuro è già qui, potremmo dire, se lo si vuole interrogare; il passato non è mai caduto nel nulla, se non lo si getta brutalmente via. Tutto permane nella grande casa del tempo, come fonte perenne di ispirazione, nostalgia, paura o speranza. La capacità di accedere simultaneamente alle tre dimensioni del tempo è il regalo, l’«arma» morale che gli alieni donano a chi, come Louise, si lascia ospitare in un mondo disorientante, etereo, numinoso, ricevendo in cambio una rivelazione e cioè che gli alieni hanno bisogno dei terrestri tanto quanto gli umani hanno bisogno di un pensiero superiore, per abbattere i muri della paura, del sospetto, dell’ostilità verso il diverso. Tutti infatti, nel cielo e sotto il cielo, siamo vulnerabili e mortali. Tutti dobbiamo cercare nuove forme di prossimità, dentro e fuori il nostro mondo, invece che elevare aggressivi ma inutili muri di separazione.

Il film, tratto da un racconto di Ted Chiang, Storie della tua vita, fa esplicito riferimento all’arte del cinema, allestendo uno schermo vitreo luminoso e protettivo, attraverso cui avvengono gli scambi sonori, grafici e tattili tra due mondi. Così come avviene in sala di proiezione, ombre gracili come d’inchiostro marino dialogano con gli occhi commossi di chi crede alle storie, le incarna nella propria vita e così facendo le completa, le moltiplica, le dissemina.

Data di aggiornamento: 05 Dicembre 2017
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