Vetrate e rosoni: un inno alla Luce

I principali rosoni della Basilica del Santo sono tre. Non hanno solo la funzione di illuminare l’interno, ma alludono anche a Cristo e ai santi «che fanno passare la luce».
04 Giugno 2015

Le finestre servono per far entrare luce e aria nuova in un ambiente. È lapalissiano. Se si ha, però, a che fare con un luogo sacro, la banale funzione pratica di tali fori può apparire persino un pretesto per fare o raccontare altro. In tale contesto, infatti, le finestre, tradotte in vetrate e rosoni su cui gli artisti hanno dispiegato immagini, colori e luce, si sublimano in simboli religiosi, diventano narrazione catechistica, racconti di storie, e perciò «istoriati», della fede e della santità. Com’è accaduto nella Basilica del Santo.  Una genesi sofferta Si diceva la luce, che è in primo luogo luce del sole. Anche Cristo però è luce e pure i santi sono il riflesso della luce nella vita di chi cerca in loro motivi di fiducia e di speranza.   Ma, tornando alla Basilica, ci limiteremo qui a raccontare le vicende dei suoi tre principali «fori», cioè i grandi rosoni, soffermandoci in particolare su uno di essi, quello posto a sud, che è il più interessante e significativo.   Il primo rosone ad attrarre il pellegrino orna il frontone della facciata del santuario. È stato realizzato nel XIX secolo a ornamento del finestrone esistente. Ispirato al gotico, ha la forma di un fiore con otto petali, sgargianti di tessere colorate, che si dipartono da un luminoso cerchio-corolla.

Gli altri due rosoni trapuntano le pareti laterali dei transetti, rispettivamente poco oltre le cappelle della Tomba e di San Giacomo. La loro realizzazione è legata a una stagione di importanti lavori effettuati nella parte absidale del Santuario, danneggiata dal rovinoso crollo, nella primavera del 1394, di un campanile colpito da un fulmine.   La ricostruzione, andando oltre il rifacimento di quanto distrutto, ha apportato consistenti trasformazioni dell’intera parte absidale − che è stata innalzata −, coinvolgendo anche le dimensioni dei transetti, sulle cui testate, tra il 1439 e il 1441, sono stati aperti due grandi rosoni, nove metri di diametro ciascuno e diversi l’uno dall’altro. Quello a nord conserva l’impronta gotica a impianto radiale; quello posto a sud, pur avendo tratti gotici, ha struttura a losanghe verticali le quali dividono una figura quadrangolare inscritta nella circonferenza.

Completato il lavoro degli scalpellini, la ricca famiglia padovana degli Zabarella nel 1485 fece installare sul rosone meridionale una vetrata istoriata, realizzata con ogni probabilità dai maestri vetrai di Murano, i migliori in circolazione. Come fosse quella bella vetrata, battezzata dai padovani «l’occhio degli Zabarella», non lo sappiamo: essa, infatti, andò distrutta, insieme con le altre della Basilica, dalla forza d’urto provocata nel 1617 dallo scoppio della vicinissima polveriera del Maglio.   La Veneranda Arca di sant’Antonio già l’anno successivo provvedeva al suo rifacimento, affidandone il disegno ad Antonio de Biagio, il quale «…si attenne lodevolmente all’antico», commentava lo storico della Basilica padre Bernardo Gonzati, con la soddisfazione derivante dallo scampato pericolo, visto l’arzigogolato stile barocco allora imperante che al frate non piaceva affatto.  Di restauro in restauro Il rosone nel corso degli anni è stato oggetto di numerosi interventi riparatori di danni, dovuti all’usura del tempo o ad altri accidenti, come il disastroso incendio che nel 1749 arse la Basilica. Il calore fu tale da fondere le lastre di piombo dei tetti e le stesse campane della torre meridionale, incombente proprio sulla parete con il nostro rosone. Sicuramente i vetri istoriati, legati da tenui listelli di piombo, non vennero risparmiati. Anche in questo caso i danni furono presto riparati, ma forse non in modo egregio, visto che nel 1866 la Veneranda Arca decise di rifarlo.   Predisposto il disegno, la realizzazione della nuova vetrata istoriata fu affidata alla pregiata Vetreria tirolese di Alberto Neuhauser di Innsbruck. Questa è la vetrata che ancor oggi ammiriamo. Essa è divisa in cinque parti verticali, su ognuna delle quali c’è l’immagine di un santo: al centro Antonio, ai suoi lati Bonaventura e Prosdocimo e, alle estremità, Daniele e Giustina. I santi all’origine erano immersi in un riverberante tessuto di luce e di colori che spandevano nel sottostante transetto gioiosa e soffusa luminosità. Troppo soffusa, deve aver pensato l’architetto Camillo Boito, chiamato a sovrintendere i restauri promossi per il VII Centenario della nascita del Santo (1895). Egli, intento, tra l’altro, a costruire un nuovo altare maggiore su cui raccogliere i capolavori del Donatello, decise infatti di sostituire i vetri colorati dei due rosoni con altri più chiari per dare maggior luce al presbiterio e al suo altare.   Operazione improvvida, cui ha posto rimedio il più recente restauro di questo rosone, effettuato tra il 2006 e il 2012, che ha ripristinato, utilizzando moderne metodologie, l’originario colore dei vetri, senza però sostitirli.    

ZOOMIl «Tabor» di sant’Antonio

  «Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna» (1Gv 1,5). Secondo la Genesi, la luce fu il primo «prodotto» dell’attività creatrice di Dio (Gen 1,3-5). Lo stesso libro sacro attesta che l’uomo è stato creato «a immagine e somiglianza di Dio». Scrive sant’Antonio a commento del passo di Matteo sul pagamento del tributo a Cesare (Mt 22,17-21): «Fa’ attenzione a queste tre cose: il denaro, l’effigie e l’iscrizione. Come nel denaro è impressa l’effigie del re, così nell’anima è impressa l’immagine della Trinità. Dice il salmo: “È impressa su di noi, Signore, la luce del tuo volto” (Sal 4,7). O Signore, la luce del tuo volto, cioè la luce della grazia, con la quale viene reintegrata in noi la tua immagine, per la quale noi siamo simili a te, è impressa in noi, cioè è impressa nella ragione che è la potenza superiore dell’anima: è per essa che noi siamo simili a Dio; è in essa che è impressa quella luce, come un sigillo sulla cera» (Dom. XXIII dopo Pentecoste).   Altra premessa per immergerci sempre più nella luce divina che ogni sacro edificio esprime, è il «segno della luce» consegnato al battezzato nel rito che lo «immerge» in Cristo morto e risorto e lo aggrega al suo Corpo mistico. Nei primi secoli dell’era cristiana i battezzati erano chiamati gli illuminati, inviati a illuminare il mondo: «Siete diventati luce in Cristo. Camminate sempre come figli della luce…» (Rito del Battesimo degli adulti).   La luce è componente essenziale di ogni edificio sacro. La Basilica del Santo è luogo privilegiato dell’esperienza mistica. Lo dicono gli oltre sette secoli della sua storia, non priva di eventi calamitosi. Sempre questo mirabile inno della fede e dell’arte alla gloria di Dio e a onore di sant’Antonio, è risorto a nuovo splendore.   Il «prodigio della luce» si rinnova ogni mattina, quando i frati e i fedeli presenti cantano le Lodi mattutine. Al Benedictus i raggi del sole nascente filtrano via via più copiosi dalle vetrate dell’abside, andando ad avvolgere di luce lo spazio sacro, mentre sale il canto: «Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio, ci visiterà un sole che sorge dall’alto, per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte, e dirigere i nostri passi sulla via della pace» (Lc 1,78-79).   Avanzando il giorno, è il riverbero dello splendido rosone meridionale a far piovere luce sul presbiterio. La multicolore vetrata è il «Tabor» di sant’Antonio: egli è al centro, glorioso e luminoso, ai suoi lati, altri santi, come il dottore serafico san Bonaventura, che ha ritrovato la Lingua incorrotta del Santo, e i santi Prosdocimo, Giustina e Daniele, patroni della Chiesa di Padova che il Santo illuminò con la sua predicazione, lasciando in essa una scia luminosa di santità, di cui è segno «eloquente» la Lingua prodigiosamente conservatasi.   Gli evangelisti Matteo, Marco e Luca riportano un episodio-chiave della vita pubblica di Gesù: la sua Trasfigurazione su un «alto monte», identificato nel Tabor. Qui «il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce» (Mt 17,2). Sole e luce è il Verbo di Dio incarnato, che ha dissipato le tenebre che avvolgevano l’umanità, a causa del peccato originale. All’uomo, che si avvicina a Dio, che non resiste all’attrazione e al fascino del Figlio di Dio, è concesso di esserne trasparenza. Contemplando il grande rosone che, rivolto a sud, assicura alla Basilica lo splendore del sole meridiano, il pellegrino vede che sant’Antonio e gli altri santi non impediscono alla luce di filtrare. Se n’è accorto, un giorno, anche un ragazzino in visita a una chiesa con i coetanei e la catechista. Costei, illustrate loro le vetrate istoriate con figure di santi, chiedeva: «Secondo voi, chi sono i santi?». Il ragazzo rispose secco: «Sono quelli che fanno passare la luce!». Quella di sant’Antonio fu un’esistenza trasfigurata e trasparente: trasparenza di Dio, della sua santità; trasparenza del volto di Cristo e voce prestata alla Parola fatta carne.   I santi non fanno da schermo, non oscurano la gloria di Dio, anzi, ne sono il riverbero più convincente! Conoscere, amare e invocare il Santo di Padova, particolarmente nel mese di giugno, illuminato dalla sua festa, passare accanto alla sua Tomba, ammirare il suo «Tabor» sopra il presbiterio, sono incentivi a diventare anche noi più luminosi, trasparenti, un po’ meno opachi… per «far passare la luce».    NOTIZIEGiugno in Basilica   - Dall’1 al 12 giugno: ore 17.00, Tredicina e S. Messa in onore di sant’Antonio.   - 7 giugno - Corpus Domini: ore 11.00, S. Messa. Canta la Cappella Musicale Antoniana.   - 12 giugno: ore 19.00, Vespri solenni.   - 13 giugno - Solennità di sant’Antonio: ore 10.00, S. Messa per gli associati al «Messaggero di sant’Antonio». Ore 11.00, S. Messa presieduta da S. Ecc. Mons. Antonio Mattiazzo, Vescovo di Padova. Canta la Cappella Musicale Antoniana. Ore 17.00, S. Messa Presieduta dal Ministro Provinciale fra Giovanni Voltan. Canta la Cappella Musicale Antoniana. Processione per le vie di Padova. (S. Messe trasmesse in streaming: www.santantonio.org).   - 14 giugno: ore 11.00, S. Messa presieduta da S. Ecc. Mons. Giovanni Tonucci, Delegato pontificio per la Basilica. Canta la Cappella Musicale Antoniana.   Info: www.basilicadelsanto.it      

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017

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