Un tramonto di luce

Quarant’anni fa, da giovane prete giunto nell’assolata Calabria dalle verdi vallate trentine, coperte di mele, mi misi subito all’opera, seguito affettuosamente dalla mia comunità stimmatina, povera ma bella e vera.
30 Luglio 2018 | di

Ho ricevuto una simpatica lettera da un prete di Pavia, don Cesare, che mi ha scritto: «Ho appreso del suo utilizzo della macchina per scrivere, ricevuta in dono proprio 40 anni fa, per la sua consacrazione presbiterale e della sua difficoltà a trovare il ricambio dei nastri. Anch’io utilizzo una macchina per scrivere come la sua, ricevuta proprio per la mia ordinazione, 44 anni fa. A Pavia ho trovato alcuni nastri e mi sono permesso di inviarglieli».

Don Cesare mi ha commosso perché ho riscoperto l’intensa emozione vissuta in quel tramonto di luce, nel giorno della mia ordinazione sacerdotale. E la macchina per scrivere, ricevuta in dono dal mio padrino Valerio, ce la ricorda ad entrambi. A me e a don Cesare. Un numero biblico, il 40, di benedizione. Con il triplice passaggio: benedire per il passato, incidere sul presente, accogliere con fiducia il futuro.

Era un sabato di luglio, quel mio primo giorno da prete, in un poverissimo quartiere del centro storico. Case umili, ammassate. Nel convento di Santa Chiara, dove vivevo con la mia comunità stimmatina, sentivo il pianto dei bimbi. Ma sentivo anche l’esuberanza vivacissima dei ragazzi che si infilarono nella sala per il piccolo rinfresco, dopo la cerimonia in cattedrale; e ripulirono i tavoli, ben preparati.

Non ci rimasero che briciole e l’affettuoso stupore di mia mamma Albina, giunta a Crotone dal Trentino, dopo un viaggio di 28 ore in treno, con mia zia Ilda e la vicina di casa, Amelia. Ci fu tanto amore, da parte di tutti. Ad iniziare dal vescovo, monsignor Giuseppe Agostino, vero educatore pastorale.

Crotone aveva allora una vivacissima zona industriale. Entrai nelle fabbriche più difficili. Un dialogo al cancello esterno, un caffè insieme, un invito alla mensa, la presenza nella notte di Natale, fino alla visita pastorale del vescovo e all’ingresso di Giovanni Paolo II, nel 1984. Si aggiunse anche il carcere come cappellano.

Non mancarono gli studi di Storia della Chiesa alla Gregoriana di Roma. Mi accompagnava il diario da giornalista, imparando a raccontare su «Il Crotonese» tutti questi passi di stupore crescente. Ed eccomi a Bari. Per un frutto più abbondante che divenne impegno nell’accompagnamento dei «miei» seminaristi stimmatini a Bari. Io ero tra i corridoi della sofferenza del CTO, e parroco in una periferia dimenticata della città. In diocesi apprezzai il fascino amabile di monsignor Magrassi. Liturgista raffinato e pastore intelligente.

Ricordo soprattutto la mia esperienza da giovane vescovo, ad appena 45 anni, quando iniziai nella Locride con la sua grave questione di ’ndrangheta. Fui ordinato vescovo a Crotone da monsignor Agostino. Era il 7 aprile 1994. Il mandato si concretizzò subito con questo monito: «GianCarlo riuscirai se sarai capace di fare a meno della scorta!». E mi ritrovai subito davanti a questa sfida-insidia. Un mese dopo, a Gerace, fui accolto da una «bomba». Finta nello scoppio, ma tremendamente minacciosa nel messaggio. «Si muore una volta sola!» fu la rassicurante espressione di mia mamma Albina. E così partii sereno.

Nel legame tra Calabria e Tentino crebbero il lamponi, si rafforzò il progetto Policoro. Segni di speranza duraturi che si espandono ancora come il profumo di bergamotto. E venne il Molise. Vivo con la mia gente per ben 4 anni l’esperienza della Visita pastorale, paese per paese, che ho raccolto e documentato in un apposito libro, fatto di fotografie, volti e colori, scrutati tra le lavagne di scuola, ai letti degli ammalati, nella preghiera con i parroci, ascolto nelle confessioni, omelie che fanno esplodere la parola di Dio a contatto con la realtà del paese.

Ora in diocesi abbiamo ben quattro luoghi formativi per i futuri sacerdoti. Ad incidere con più provvidenza è stato Papa Francesco, visitandoci quel famoso 5 luglio del 2014. Giornata memorabile per la gioia, il sole e per il messaggio con cui ci ha esortato ad uscire dai labirinti, dove è facile rinchiudersi per paura del futuro. Invitandoci al «per sempre!», alla definitività, misura del presente. Radice che ci spinge in cielo. Benedico e ringrazio Dio di tanti doni.

Data di aggiornamento: 30 Luglio 2018
Lascia un commento che verrà pubblicato