Tutti in piedi, costruttori di pace!

Il monito di don Tonino Bello, divenuto lo slogan del movimento per la pace, è più che mai attuale. Venticinque anni dopo, all'arena di Verona, il popolo della pace si ritrova e disegna il proprio futuro.
29 Maggio 2014 | di

«Come credente del Dio della Vita, supplico tutti i cittadini italiani, che si riconoscono nella Costituzione che ripudia la guerra, e i cristiani, che accettano come magna charta il Discorso della Montagna, a dire no alla militarizzazione che sta divorando le nostre risorse. Non vogliamo che i nostri soldi vengano investiti in morte, ma in vita. Tutti in piedi, costruttori di pace!».

Venerdì 25 aprile, a Verona, il sole era particolarmente caldo. L’antica arena romana ospitava, tra gradinate e platea, 13 mila, in alcuni momenti 15 mila, persone festanti. Un arcobaleno di colori creato da bandiere, cappellini, wipalas (le sciarpe multicolori del movimento indigeno dell’Ecuador, diventate segno distintivo dei missionari). Ma, alle parole pronunciate dal palco dal missionario comboniano padre Alex Zanotelli, un brivido freddo ha percorso gli spalti. Il silenzio protagonista, i presenti in piedi, mano nella mano, e poi ancora il grido, all’unisono: «In piedi, costruttori di pace!».

A distanza di venticinque anni esatti, quel monito, lo stesso lanciato da don Tonino Bello (così voleva essere chiamato l’allora vescovo di Molfetta) e diventato nel tempo lo slogan del movimento per la pace, ha richiamato le coscienze a levarsi. Riecheggiava nell’aria il discorso di don Tonino del 30 aprile 1989, stesso luogo, stesso impegno: «In piedi, costruttori di pace! Sarete chiamati figli di Dio. Il popolo della pace non è un popolo di rassegnati. È un popolo pasquale, che sta in piedi, come quello dell’Apocalisse: “Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello”. Davanti al trono di Dio, non alle poltrone dei tiranni. E davanti all’Agnello, simbolo di tutti gli oppressi e di tutte le vittime della terra».
 
Un incontro nuovo
L’idea di un nuovo incontro nell’arena di Verona, sito storico delle assemblee pacifiste degli anni Ottanta e Novanta (da cui il nome di Arene di Pace), è venuta lo scorso anno a padre Zanotelli, che ha poi coinvolto associazioni locali e nazionali, laiche e cattoliche, con il desiderio di formare un movimento aggregante. «Le Arene in passato sono state il luogo dove si è ritrovato il popolo della pace, in un mondo sul precipizio della guerra nucleare, nello scontro tra Est e Ovest – spiega il comboniano, missionario per anni nelle baraccopoli keniote di Nairobi e ora all’opera nel quartiere Sanità di Napoli –. Oggi la situazione è peggiorata. Le guerre sono diventate sempre più spaventose, perché combattute con armi molto sofisticate, che tra l’altro richiedono bilanci militari con cifre da capogiro. L’Istituto internazionale per la pace di Stoccolma afferma che, nel 2011, nel mondo sono stati spesi in armi 1.740 miliardi di dollari, che equivalgono a 3,3 milioni di dollari al minuto; nel 2012 i miliardi sono cresciuti a 1.752. Nello stesso anno l’Italia ha speso in armi 26 miliardi di euro. Il nostro Paese ne è anche tra i maggiori produttori al mondo: al secondo posto, dopo gli Usa, per le leggere, al decimo per quelle pesanti».

L’unico scopo delle guerre, nota padre Zanotelli, è il controllo delle fonti energetiche e delle materie prime: «Così da permettere al 20 per cento del mondo di continuare a consumare l’86 per cento delle risorse del pianeta. Le armi servono, e sono sempre servite, per difendere chi ha da chi non ha». Ma ora si riparte a dire basta armamenti, è il suo annuncio: «Sulla scia della tradizione di Gesù, ritradotta nell’oggi da uomini come Gandhi, Martin Luther King, Pérez Esquivel, Helder Camara, Aldo Capitini, don Lorenzo Milani, il popolo della pace è nuovamente in Arena. È un popolo disperso, oggi, in mille rivoli, un popolo che necessita di ritrovare pace e unità al suo stesso interno, che ha bisogno di farsi sentire pubblicamente».
 
Ripartire insieme
«Quando, un anno fa, abbiamo cominciato ad accarezzare l’idea di una nuova Arena di Pace, eravamo molto titubanti: nel Paese non c’è più il clima degli anni Ottanta e Novanta, il movimento è frammentato, la situazione politica è molto complessa. Ma, proseguendo nella preparazione, ci siamo resi conto che la proposta rispondeva a un’esigenza reale. Subito si sono messi in moto energie, aree, gruppi anche molto diversi tra loro: associazioni cattoliche, il mondo missionario, sigle sindacali, organizzazioni di volontariato, organismi del servizio civile, comitati di lotta contro la militarizzazione del territorio. La scommessa è stata trovare la formula giusta per tenere insieme tutte queste anime: abbiamo centrato l’iniziativa sul disarmo e, considerata la data scelta, il 25 aprile, l’abbiamo intitolata “La resistenza oggi si chiama nonviolenza. La liberazione oggi si chiama disarmo”. Ciascun aderente si è coinvolto secondo la propria sensibilità». Chi parla è Mao Valpiana, presidente di Movimento Nonviolento, tra gli enti organizzatori dell’evento. L’ associazione, che promuove la nonviolenza gandhiana, è stata fondata nel 1961 da Aldo Capitini.

«Negli ultimi anni il movimento per la pace è stato in silenzio, complici forse alcune pesanti esperienze negative – afferma Valpiana –. Penso a ciò che è successo a Genova nel 2001, durante la manifestazione contro il G8, o all’insuccesso della campagna “Pace da tutti i balconi” del 2002-2003, quando 3 milioni di italiani esposero la bandiera della pace alle finestre delle loro case per dire no all’intervento militare in Iraq, senza esiti positivi. C’è stato bisogno di anni per risollevarsi. Questo non significa che il lavoro sia mancato, che si sia rimasti fermi: è che ciascuno, per riprendersi dalle ferite e ricominciare a pensare in grande, ha avuto bisogno di consolidarsi. Fatto non del tutto negativo, perché ha permesso una maturazione del movimento: si è passati dalla modalità di protesta, di manifestazione, di opposizione e di antagonismo, alla capacità di interlocuzione con il mondo politico. Sono state elaborate varie campagne, come quelle per l’acqua pubblica o per la diminuzione delle spese per gli aerei militari F-35 e l’utilizzo alternativo di quei fondi; si è lavorato su un programma costruttivo. L’Arena 2014, con il susseguirsi di testimonianze e di presentazioni di idee, ne è stata testimone. Credo che l’impostazione e la storia del futuro saranno queste: non più proteste, ma l’inizio di un cambiamento a partire da noi, portando avanti e facendo conoscere i nostri progetti e le nostre iniziative».
 
Come ceri pasquali
L’impegno per la pace nel nostro Paese era presente già tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. Ha avuto importanti espressioni nel campo politico, nelle vaste manifestazioni contro l’intervento militare dell’Italia nella Prima guerra mondiale. Un libro, scritto da Alex Zanotelli e Paolo Bertezzolo e pubblicato ad aprile (Di nuovo in piedi costruttori di pace! Arene di Pace: storia di un’utopia, Emi), ne ripercorre le tappe e ricorda le figure più significative: dal sindaco di Firenze Giorgio La Pira al primo obiettore di coscienza Pietro Pinna, da don Lorenzo Milani a padre Ernesto Balducci, passando per la fondamentale enciclica di san Giovanni XXIII Pacem in terris. La svolta per il movimento avvenne, sottolineano gli autori, con la manifestazione, a Roma del 24 ottobre 1981, contro la disposizione della Nato di depositare 112 missili a Comiso, cui parteciparono centinaia di migliaia di persone: «Tale da non poter più essere ritenuto espressione di piccole minoranze».

A partire dagli anni Settanta, soprattutto nell’ambito dei movimenti ecclesiali cattolici, si sviluppò una forte mobilitazione a favore del Terzo Mondo: cominciò a essere conosciuto lo sfruttamento dei Pae­si del Sud del mondo da parte del ricco Nord. E da qui iniziò l’avventura delle Arene di Pace. Nell’autunno 1985 il prete padovano don Albino Bizzotto promosse «Beati i costruttori di pace», un appello lanciato a sacerdoti e missionari del Triveneto per fermare la corsa agli armamenti atomici. L’appello fu firmato da dodicimila persone, primo firmatario l’allora vescovo di Trieste, Lorenzo Bellomi. Forte del successo ottenuto, nel 1986 il popolo della pace indisse la sua prima assemblea, l’Arena di Pace.

Nel corso degli anni gli incontri di Verona ospitarono testimoni eccellenti: da padre David Maria Turoldo a don Tonino Bello, da monsignor Luigi Bettazzi (presente anche all’Arena 2014 con un incisivo intervento) a Rigoberta Menchú. Da qui nacque anche l’impegno dei «Bilanci di giustizia», con la proposta di un cambiamento reale del modo di consumare delle famiglie.
«In questi ultimi anni la pace si è vista in scelte di volontariato, di giustizia sociale, di cambiamento di stile di vita: penso ai molti giovani che don Luigi Ciotti ha coinvolto con l’associazione Libera – ribadisce don Renato Sacco, coordinatore nazionale dell’associazione Pax Christi –. Il movimento non era nelle piazze, ma si è impegnato nella formazione, nella divulgazione, nella coscientizzazione delle persone. Ha studiato con accuratezza le relazioni dei governi riguardo la vendita delle armi, intervenendo, se necessario, con la correzione dei dati ministeriali». Don Sacco è parroco a Cesara, nella diocesi di Novara. «Gi aerei F-35 vengono costruiti a Cameri, nella mia diocesi – prosegue il sacerdote –. A Novara, come Commissione diocesana Giustizia e Pace, è dal 2006 che produciamo documenti in cui rileggiamo il magistero della Chiesa per ribadire come tali aerei uccidono i popoli anche se non vengono usati, perché distolgono risorse che, specie in tempi di crisi economica, sarebbe utile spendere per servizi vitali delle comunità. Don Tonino Bello ripeteva che, se non abbiamo la forza di dire che le armi non si devono costruire e vendere, invece di essere ceri pasquali siamo solo lucignoli fumiganti. Su questo invito a essere ceri pasquali continua il nostro impegno, in sintonia con le altre associazioni con cui condividiamo il cammino».

Un impegno che, all’Arena, si è dato un programma operativo preciso: la continuazione della campagna per il disarmo «Taglia le ali alle armi» e una campagna per la difesa civile non armata e non violenta. Da lanciare in due date simboliche: il 2 giugno, festa della Repubblica, e il 2 ottobre, Giornata internazionale della nonviolenza, nonché data di nascita del Mahatma Gandhi.
 
 

BEATI I COSTRUTTORI DI PACE
 
Nati per vivere, non per diventare ricchi

 
Sono trascorsi quasi trent’anni da quando gli venne l’idea di riunire le persone intorno all’iniziativa «Beati i costruttori di pace», ma il suo impegno per la pace non ha mai conosciuto soste. Anzi. Spesso don Albino Bizzotto, sacerdote della diocesi di Padova, è salito alla ribalta delle cronache per le sue prese di posizione – sempre molto nette e altrettanto chiare – contro la militarizzazione del territorio, per il disarmo nucleare, mettendo a rischio la propria vita in contesti di guerra con l’interposizione nonviolenta.

Oggi, a 75 anni, l’energia di don Albino è immutata. Uguale è rimasto anche lo sguardo profetico, capace di vedere e indicare emergenti scenari di rischio per «la grande famiglia umana» (così chiama l’umanità). «C’è una nuova urgenza – spiega –. Abbiamo bisogno di un rapido cambiamento culturale riguardo il nostro pianeta Terra, la cui vita è sotto attacco. Per troppo tempo abbiamo adoperato nei suoi confronti una cosmologia di possesso e di dominio, in cui il sistema armato si pone come uno degli aspetti distruttivi. Ne abbiamo accelerato il processo di riscaldamento, i cambiamenti climatici, con gravi danni sia morfologici, sia della sua stessa possibilità di sostenere il peso della vita di sette miliardi di abitanti. Questo perché l’unico sistema di produzione e di consumo che abbiamo creato non trova proposte innovative o modelli differenti se non la crescita, che, però, non è infinita». Occorrono – aggiunge don Bizzotto – una nuova concezione, un diverso atteggiamento, una serie di interventi specifici, di azioni mirate e pratiche da parte di comitati di cittadini volenterosi che sollecitino con costanza le istituzioni, là dove l’inquinamento dell’aria risulta troppo elevato, l’acqua viene privatizzata, il suolo coltivabile è consumato per il mantenimento della speculazione finanziaria ed edilizia, a scapito dell’equilibrio della Terra e della salute di chi ci vive. Egli stesso, per richiamare l’attenzione sul tema, lo scorso agosto ha compiuto un digiuno di quattordici giorni, che è poi proseguito per settimane con una staffetta di astensione dal cibo di amministratori locali e singoli cittadini di tutto il Veneto.

«Non siamo nati per diventare ricchi, siamo nati per vivere – ricorda ancora il sacerdote –. Ci è chiesto di passare da una cosmologia di possesso a una cosmologia di alleanza e di relazione creativa, perché siamo dentro a una creazione che non si è conclusa, ma prosegue in continua evoluzione. È il nuovo cammino della pace, da non vivere solamente come elemento di necessità per la sopravvivenza. Esso è anche una grande opportunità di riconsiderazione dei nostri rapporti all’interno del sistema vivente, in cui noi non siamo né al di sopra, né possessori della realtà, ma semplicemente una parte della relazione globale. Il sistema mondiale finora ha privilegiato pochi a dispetto della maggioranza ed è ancora squilibrato nell’ingiustizia, ma rimane aperto al cambiamento se vede la presa di coscienza delle popolazioni, per cui non è la costrizione, ma sono l’amore e la responsabilità a generare una relazione diversa. Credo che la novità sarà sempre rappresentata da quel Francesco d’Assisi che riesce a stabilire un rapporto di fraternità con il creato, e dentro a esso, partendo da chi sta peggio, vive una relazione gioiosa e straordinaria. Questo è l’ecumenismo di base, elementare, al cui interno ci ritroveremo tutti: non più per discutere su quale Dio, ma su come riuscire a vivere tutti insieme, proprio partendo dagli elementi vitali».

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017