"Tra tatto e contatto", il tempo della responsabilità

L'importanza di educare ed educarsi all'utilizzo dei new media
09 Settembre 2017 | di

Ultima giornata del terzo convegno interdisciplinare organizzato da Messaggero di sant’Antonio e Ufficio di Pastorale dell’Educazione e della Scuola della Diocesi di Padova, «A ritmo di touch. Tra tatto e contatto»,

 

A inaugurare la mattinata il vescovo di Padova, Claudio Cipolla, che ha aperto il suo intervento (Un vescovo di fronte al web), sottolineando di essere una persona che «avendo iniziato a utilizzare questi strumenti e linguaggi senza averli imparati dalla nascita» è entrato nel mondo dei nuovi media. «con molto sospetto». Ma, al di là della diffidenza iniziale, la scoperta di un mondo utilissimo, soprattutto per tenere relazioni «con persone lontane» o per la ricerca di «notizie e aggiornamenti sul mondo e sulla Chiesa, opportunità , molto importanti, utili e necessarie». Questo percorso, ha continuato il vescovo, è irreversibile: l’importante è riconoscere che i nuovi media, pur rappresentando ormai uno strumento indispensabile, non sono «il tutto della mia vita». Tale consapevolezza va trasmessa ai giovani, ha sottolineato monsignor Cipolla, che hanno bisogno di vivere questi ambienti senza annullare la propria capacità di porsi delle domande, e agli educatori che possono essere loro di grande aiuto. «I ragazzi hanno bisogno di testimoni – ha concluso il vescovo –, oggi soprattutto, anche per abitare in modo buono questo ambiente».

È stata quindi la volta di Pier Cesare Rivoltella, docente di Tecnologie dell’istruzione e apprendimento all’Università cattolica di Milano. Rivoltella, in un’ampia e articolata relazione sul tema Scuola digitale: le opportunità della media education, ha focalizzato subito alcuni aspetti importanti, partendo da tre domande iniziali: che cosa intendiamo per scuola digitale e media education? Che cosa significa in particolare scuola digitale? E quali opportunità apre oggi la media education? Muovendosi dal presupposto che le nuove tecnologie oggi sono necessarie anche nell’ambiente scolastico, Rivoltella ha messo in guardia i partecipanti al convegno dal considerare la scuola tradizionale come ormai superata: «Anche oggi, dentro una società dell’informazione, i compiti della scuola sono gli stessi di sempre: la trasmissione culturale, innanzitutto, che significa rendere le nuove generazioni competenti circa i valori identificativi della comunità; lo sviluppo di cittadinanza, perché a scuola si preparano i cittadini, gli uomini e le donne di domani; l’orientamento dei giovani, che richiede, per essere proficuo, di entrare in relazione profonda con essi per capirne le logiche del “Desiderio”, che è essenzialmente desiderio di autorealizzazione». Dunque, non è corretto, secondo Rivoltella, parlare di scuola digitale tout court: meglio utilizzare il termine di «scuola al tempo del digitale».

Il docente ha poi spiegato come «la definizione di media education si riferisca al metodo, alle tecniche e agli strumenti per educare i giovani al senso critico e alla responsabilità nell’uso dei media. Al tempo dei mass media di massa, la media education aveva sostanzialmente il compito di sviluppare il senso critico, affinché i giovani non si lasciassero livellare da un pensiero unico deciso da altri. Oggi, al tempo dei new media digitali e sociali, oltre al senso critico serve la responsabilità, perché gli utenti non sono più solo consumers (come gli spettatori televisivi) ma anche producers, produttori di contenuti. Nel nostro tempo tutti possono accedere allo spazio pubblico, ma quando si accede allo spazio pubblico bisogna essere maturi». Il digitale nella scuola, ha poi proseguito Rivoltella, può avere molte ripercussioni positive, ma sostanzialmente «dovrebbe mettere a disposizione dei docenti strumentazioni che consentano loro di non ridurre la propria didattica solo agli insegnamenti: la lezione frontale funziona benissimo se c’è chi ha capacità di farla, non limitandosi al trasferimento di nozioni, ma mostrando ai ragazzi come organizzare il sapere». Quindi, in conclusione, ben vengano la scuola al tempo del digitale e la media education in contesto didattico, purché vi siano educatori in grado di formare i ragazzi al loro utilizzo, trasmettendo loro il senso di responsabilità che questi strumenti richiedono. Che poi altro non è che il senso di responsabilità che deve avere ogni persona matura, ogni cittadino, che voglia essere parte attiva nella società.

Terminato l’intervento di Pier Cesare Rivoltella, la parola è passata ad Arianna Prevedello, esperta di cinema, giornalista e saggista. Come il cinema racconta le nuove logiche comunicative è stato il fulcro del suo intervento, svolto anche con l’ausilio della proiezione di spezzoni di film. «In questo ambito – ha affermato Prevedello – la prima cosa da dire è che il cinema non è molto interessato all’argomento. Il tema della comunicazione, tout court o rispetto all’ambiente web, è infatti centrale solo in alcuni casi, ma non si può parlare di vera e propria filmografia. E questo sta a significare una cosa: l’ignoranza su questi temi. Poi, certo, è anche vero che quando il cinema si occupa di un tema che appartiene all’oggi, come quello di cui stiamo parlando, ne è troppo coinvolto, è troppo vicino e quindi non lo illumina in modo sufficiente. Il rischio è quindi di risultare troppo sociologici o didascalici, senza riuscire a coinvolgere il pubblico. Se si vuole profezia, visioni future, meglio guardare qualche bel vecchio film di fantascienza sul tema». Prevedello è quindi passata ad analizzare alcuni film, partendo da Her (2013), che racconta la relazione tra Samantha, voce intelligente, e Theodore, persona sensibile che si lascia coinvolgere da questo strano rapporto. Poi è stata la volta di Beata ignoranza (2017), commedia cinematografica dal taglio sostanzialmente sociologico e didascalico, senza particolare forza narrativa, che ha comunque il pregio di raccontare una vicenda (la relazione tra due docenti agli antipodi: uno assertore convinto e grande utilizzatore delle nuove tecnologie, l’altro detrattore assoluto) capace di introdurci direttamente nella questione, mostrando come dimestichezza, familiarità con i new media, non voglia dire necessariamente competenza. E sottolineando come, laddove questa manchi, si verifica una falsificazione non solo del linguaggio ma anche della stessa relazione che viene messa in campo». Infine, sono stati proiettate alcune scene di Perfetti sconosciuti, film del 2016 che porta sullo schermo molto bene il livello di perversione che si può raggiungere quando non si riesce a gestire le logiche di questi strumenti», aprendo la porta a umiliazione, denigrazione, disintegrazione dell’intimità delle persone».

Ultimi relatori della mattinata, Sergio e Francesco Manfio, fondatori di Gruppo Alcuni. Il loro intervento si è focalizzato su un modo alternativo di raccontare storie con i ragazzi, realizzando cortometraggi partendo dalle storie che essi stessi inventano. Una modalità che gli Alcuni portano avanti da anni e che ha trovato nella trasmissione Ciak junior  in onda su Canale5, da essi stessi realizzata, un palcoscenico seguitissimo e apprezzato, nel quale dare corpo alla creatività dei ragazzi, insegnando loro dal vivo il linguaggio cinematografico.

Le conclusioni del convegno sono state affidate a don Lorenzo Celli (direttore Ufficio scuola diocesi di Padova) il quale, facendo il punto della due giorni, ha sottolineato come «internet è spazio di esperienza, è parte integrante in maniera fluida della nostra vita quotidiana. È un nuovo contesto esistenziale nel quale si possono mantenere in vita relazioni buone, capaci di stimolare l’intelligenza e di determinare nuovi stili di pensiero». Internet, ha proseguito il sacerdote, comporta la necessità di discernere e di essere educati ed educare al discernimento. I nuovi mezzi della comunicazione non sono buoni né cattivi, ma non sono nemmeno neutri e comportano pertanto delle sfide che interpellano alcune competenze: «La capacità di esistere e di stare in rete, la capacità di comunicare, che presuppone la capacità di ascoltare, la capacità di cercare la verità e, infine, la capacità di costruire comunità, di creare relazione, di condividere. «Oggi siamo sempre connessi – ha concluso Celli – ma abbiamo bisogno di andare oltre, di creare cioè comunione, accettando anche il rischio di “incontrare il lupo”, fuori e dentro di noi, ma anche la possibilità di riuscire ad ammansirlo».

 

Data di aggiornamento: 10 Settembre 2017
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