Don Tonino Bello predica sant'Antonio

Quale è il segreto del Santo? Don Tonino Bello nella sua meravigliosa omelia – che riportiamo integralmente – dà un’interpretazione originale (che piacerebbe anche a papa Francesco): il segreto è che «Sant’Antonio si è convertito al popolo».
29 Marzo 2018 | di

Cattedrale di Molfetta, 13 giugno 1987, festa di sant’Antonio. Il servo di Dio don Tonino Bello, alla presenza dei frati provenienti da Padova per le Giornate Antoniane e dei tanti fedeli che stipano la chiesa, anche per celebrare i 350 anni dalla rifondazione della locale Confraternita dedicata al Santo, pronuncia questa ispirata omelia antoniana, che vi riproponiamo in forma integrale, grazie alla trascrizione della registrazione messa a disposizione dalla Confraternita di sant’Antonio di Molfetta.

«Carissimi fratelli, potrebbe sembrare anche strano per voi dopo tanti secoli, dopo 8 secoli, che veneriamo ancora la figura di un uomo che si è spento a 36 anni. È incredibile, si è spento a 36 anni però il suo nome ancora gira per tutti gli angoli della terra. Io oggi credo che non ci sia villaggio, città e metropoli in tutto il mondo in cui la gente non si raccolga in qualche chiesa per onorare la figura di Sant'Antonio di Padova. Perché mai? Quale è il segreto? Perché ha scavalcato i tutti questi secoli la figura di quest’uomo e per giunta fino a noi? E noi oggi, pur trovandoci in una giornata feriale, in una giornata lavorativa, gremiamo la chiesa più di quanto non avvenga la domenica. Ed io non so, voglio dare un’interpretazione mia: perché forse Sant’Antonio si è convertito al popolo.

Non vi racconto la sua vita, perché i padri venuti da Padova in questi giorni vi hanno illustrato in dettaglio tutta la vita di Antonio di Padova, e mi dispensano da questa fatica. Vi voglio ricordare soltanto l’episodio per me centrale: lui è un intellettuale, è un professore dell'Università, insegnava all’Università. Era un agostiniano, era entrato in questo ordine religioso erede della cultura, sapienza, saggezza di Agostino d'Ippona, il più grande luminare della Chiesa. E quindi conosceva benissimo le Scritture, la Teologia, le citazioni gli fiorivano sul labbro in modo molto spontaneo e i suoi discorsi, i suoi sermoni che ci sono rimasti, mostrano proprio questa cultura. Lui era un intellettuale, era un aristocratico del pensiero, avrebbe fatto chissà quale carriera splendida insegnando nelle Accademie. Allora questo uomo così dotto, così colto un giorno viene colpito dall’esempio, dalle immagini di fraticelli da quattro soldi che sbarcavano dal Marocco, seguaci di Francesco d'Assisi, il quale era vivo. Sapete che Antonio di Padova è contemporaneo di Francesco d'Assisi e si sono conosciuti e Francesco d'Assisi chiamava Antonio “il mio Vescovo” tanto gli voleva bene. Ora che cosa succede? Che Antonio si lascia affascinare dalla figura di questi fraticelli, semplici; si era accorto che questa gente qui in un secolo in cui c’erano tante sofisticazioni andava alla ricerca delle cose essenziali. Si informò bene e sentì dire che Francesco d'Assisi parlava delle cose semplici: chiamava fratello il sole, sorella la luna, amava la terra, amava le piante, amava la natura, amava gli uomini, le persone, ma soprattutto amava Dio, gli voleva un bene da morire, amava Gesù Cristo. Aveva sentito parlare di quest’uomo straordinario che sapeva andare alle cose essenziali ed allora anche lui è stato affascinato dal bisogno di andare alle cose essenziali.

È stato un raptus di sapienza, un bisogno di sentirsi travolgere dalla Sapienza di Dio, sapienza che significa saper dare sapore alla vita, dare sale alla minestra della vita. Per me questa è conversione, sicché lascia l’Accademia, le aule universitarie, i grandi volumi su cui aveva speso tanto tempo e si rivolge al popolo. Dopo un po’ di silenzio, perché scoppiò all’improvviso si può dire, Antonio nella sua sapienza fece anche il noviziato della gavetta, fece il cuoco nel convento dei francescani dove subito lo accolsero. Stette in silenzio per tanto tempo, sembrava che sapesse solo scodellare e fare qualche cosa in cucina, poi un giorno siccome venne a mancare un predicatore durante una celebrazione molto importante venne chiamato lui perché qualcuno aveva sentito dirgli cose molto sagge e fu allora che tutti conobbero la sua sapienza. Da quel momento Antonio di Padova andò da un punto all’altro, nei villaggi, nelle città, passava come Francesco annunciando la Buona Parola, la lieta novella, la Parola di Dio. Parlava del Vangelo, insegnava il Vangelo e, come Francesco d’Assisi, chiedeva alla gente che lo mettesse in pratica sine glossa, cioè senza molte annotazioni, il Vangelo per intero così come sta scritto. Se uno ti toglie la tunica, tu dagli anche il mantello: davvero? così dobbiamo fare? E se uno ti costringe a fare un miglio di strada, tu fanne con lui due. Ricordate san Luca? Oddio, e noi cristiani così dobbiamo fare?

Questo è il guaio, fratelli miei che siete venuti oggi per onorare sant’Antonio: il Vangelo noi non lo mettiamo in pratica così come sta scritto, perché gli abbiamo scaricato addosso tonnellate di esegesi. Quante volte devo perdonare Signore? Fino a sette volte? San Pietro gli sembrava di aver detto chissà quale esagerazione. E Gesù gli dice: “Fino sette volte? Fino a settanta volte sette”, cioè sempre. Noi, invece, facciamo delle interpretazioni di accomodamenti; se uno ti percuote sulla guancia destra voltagli la sinistra, è un modo di dire, però una volta, due, ma poi no. E così di ragionamento in ragionamento arriviamo fino a giustificare anche le cose assurde e sembra quasi che ci sia questa conclusione: “Se uno ti da uno schiaffo sulla guancia destra, tu mollagli un ceffone sulla sinistra”. Firmato Gesù di Nazareth. Ma Gesù queste cose non le dice, non le dice ed è questo il guaio fratelli miei.

Adesso il Vangelo lo abbiamo ingessato, lo abbiamo cinturato con tutte queste cose. Le ingessature servono per proteggere: invece la Parola del Vangelo dovrebbe essere un boomerang che noi lanciamo e ci ritorna addosso.

Fratelli miei questo è Sant’Antonio. Perciò, ha Gesù in braccio. Lui ci indica Gesù Cristo, ci dona questo regalo. Ha il Libro che è il segno proprio della Parola di Dio che noi dobbiamo tradurre senza molte storie. Vedete che Francesco d’Assisi, il suo maestro, non voleva nemmeno che i frati avessero una regola: la vostra regola sia il Santo Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo. Prendete il Vangelo, miei cari fratelli, leggetelo, studiatelo, mettiamolo in pratica.

“Se tu guardi con cupidigia una donna, hai già commesso peccato con lei”. Davvero? E, allora, ci sono tutti i cartelloni qua che facciamo? Tutte le televisioni, che facciamo? Ma il Signore è stato chiaro: questo è il Cristianesimo, non accendere le candele; quando lo facciamo per amore, il Cristianesimo è pure quello. Ma è li che poi esiste, non tanto nell’organizzare i bei riti delle processioni: ecco perché noi ci difendiamo da Gesù Cristo, lo accontentiamo e gli facciamo dei regali, come i regali che si fanno per comprarsi il favore degli altri. Questo accade pure per comprarsi il voto degli altri, per comprarsi l’accondiscendenza degli altri. Queste cose con Dio possiamo farle? Per chi lo abbiamo preso? Per un vecchietto che si lascia blandire dalle nostre carezze così furbe? Il Signore ama i gesti di amore. Se sono calcoli li rifiuta.

Miei cari fratelli, a tutti quanti voi il messaggio di sant’Antonio giunga oggi, questa conversione al popolo, ai poveri, alla gente. Lui ha condiviso con la gente l’esperienza delle sofferenze delle tribolazioni, ha difeso il popolo contro i tiranni, è stato sempre accanto ai più deboli, ha spartito la milza e la tenda con i poveri. Questo è stato sant’Antonio, perciò oggi la gente, i poveri gli vogliono bene. I poveri gli vogliono bene. I poveri oggi si vendicano, in termini positivi, circondandolo di lode, gli vogliono bene ad Antonio. Per questo, perché è stato il testimone del Vangelo, è stato colui che ha presentato Gesù Cristo.

Miei cari fratelli, forza, non vi spaventate, non abbiate paura se oggi la vita è difficile. Non dite: “Eh ma oggi è diverso dai tempi suoi.” Sì è diverso, oggi abbiamo altre tribolazioni, la disoccupazione, la droga, abbiamo tante sofferenze, l’uccisione, la violenza contro la vita nascente, ma anche contro la vita cresciuta e contro la vita morente. Facciamo tante violenza oggi, siamo immersi in ben altri problemi, però se noi assumiamo lo spirito di Antonio di Padova noi sapremmo far fronte anche a queste difficoltà del mondo contemporaneo.

E se soprattutto tranciamo il Vangelo nella nostra vita troveremmo le risposte anche più forti ai nostri problemi esistenziali di oggi: il problema della felicità; cosa è la felicità? Il problema della salute, il problema del senso della vita. Il problema dell’amicizia, il problema dei rapporti che si vanno inselvatichendo, vanno diventando sempre più barbari, rapporti nuovi con la gente, problemi di comunione che sentiamo tutti quanti. La gente oggi vuole stare insieme e per un’altra forza nascosta, misteriosa si sente sbattuta nel bunker delle sue solitudini. Bene, apriamo il Vangelo come Antonio ci mostra e tutto il resto? Questo è il Regno di Dio. Tutto il resto, le grazie che noi gli chiediamo, ci verranno date in sovrappiù.

Signore, sant’Antonio scavi nel nostro cuore profondo perché noi da soli molte volte andiamo alla ricerca di noi stessi. C’è un poeta indiano che dice così: “Stolto che porti te stesso sulle tue spalle, mendicante che vai a bussare alla porta di casa tua, è su altre porte che dobbiamo bussare e su ben oltre spalle dobbiamo salire"».

 

Data di aggiornamento: 29 Marzo 2018
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