Te la do io la paghetta

In Italia un minore su quattro, tra i 6 e i 17 anni, riceve regolarmente dai genitori una paghetta settimanale, che in media si aggira intorno ai 16 euro. Il tema è l’occasione per riflettere su un uso consapevole del denaro che si impara in famiglia.
30 Gennaio 2014 | di

Pochi giorni fa volevo fare un regalo a mio nipote di 8 anni. Che cosa donargli? Dal momento che non abbiamo molte occasioni di vederci perché abitiamo lontani, e nonostante non si festeggiasse né un compleanno né una speciale ricorrenza, mi è venuto naturale regalargli qualche soldo, in modo da poter contribuire concretamente all’acquisto di qualcosa di utile. Questo racconto di vita familiare è un episodio che sono certa tutti abbiamo vissuto più volte e che svela un’abitudine che riguarda i nostri figli: ricevere di tanto in tanto del denaro, mancia o paghetta che sia. 

La paghetta non è uguale per tutti, né nella somma né nella frequenza: c’è chi la riceve una volta la settimana, chi la incassa alla fine del mese, in corrispondenza con lo stipendio dei genitori, chi non l’ha ancora ottenuta ma magari la vorrebbe, chi non ci pensa neppure; qualcuno la riceve a partire dai 6/7 anni e qualcun altro deve attendere ben oltre; altri ancora ricevono pochi euro, ma hanno amichetti che devono gestire somme più importanti.

Questa diversità di comportamenti e approcci non è casuale: nasce, infatti, dalla volontà di dare ai figli un’educazione più o meno consapevole all’uso del denaro a partire dall’infanzia. Un’educazione che dovrà poi confrontarsi con quanto avviene nel gruppo dei coetanei e nel contesto sociale nel quale bambini e ragazzi si trovano a vivere.
 
Qualche dato
Secondo un’analisi Istat – i dati più recenti in questo ambito sono riferiti a fine 2011 – in Italia un bambino su quattro di età compresa tra i 6 e i 17 anni riceve regolarmente dai genitori una paghetta settimanale che in media tocca i 16 euro. Inoltre, più di un bambino su tre – il 36,9 per cento dei ragazzi in età scolare – ottiene a volte una mancia (regalo o premio che sia). Vediamo ora, con più precisione, a quanto ammontano le «entrate» di bambini e bambine che ricevono una paghetta: tra i 6 e i 10 anni incassano normalmente 8 euro a settimana, alle medie si passa a 11 euro, mentre tra i 14 e i 17 anni si può dichiarare un reddito di 20 euro ogni sette giorni. Un tesoretto che, in media, oscilla tra i 32 e gli 80 euro al mese, al quale possono aggiungersi le ormai note mance da parte di parenti in occasione di feste in famiglia o per i piccoli traguardi della vita, come la promozione o il buon esito di un esame. Con il crescere dell’età cominciano ad affacciarsi anche le prime differenze di genere: infatti, mentre il 53,2 per cento dei ragazzi tra i 14 e i 17 anni ha una paghetta fissa, le ragazze della stessa età con lo stesso accesso al denaro sono il 42,1 per cento, oltre il 10 per cento in meno.

Anche a livello geografico si riscontra una qualche differenza: al Nord la paghetta è di 16 euro, al Centro sale a 18, al Sud scende a 14 e nelle isole cresce fino al picco massimo di circa 19 euro. Per contro, i ragazzi delle isole hanno la più bassa propensione al risparmio (48,4 per cento), seguono quelli del Sud (51,9 per cento), del Centro (61 per cento), del Nord Ovest (67,4 per cento) e del Nord Est (71,1 per cento). Per chiudere con questa carrellata di dati, bisogna ricordare che a fronte di 25 ragazzi su 100 che hanno una paghetta fissa, ce ne sono 37 che non la ricevono mai.
 
Paghetta: sì o no?
Sulla paghetta e sul regalare del denaro ai più piccoli di casa esistono almeno due scuole di pensiero. Ci sono genitori d’accordo sulla paghetta in quanto ritengono che, offrendo ai ragazzi la possibilità di gestire un piccolo budget, li si allena all’uso consapevole del denaro. E ce ne sono altri che pensano invece sia meglio dare soldi ai figli solo quando servono, quando essi stessi esprimono chiaramente un bisogno: tali genitori non vogliono collegare la paghetta a un preciso compito da svolgere in casa, perché così facendo pensano di non riuscire a trasmettere il valore della gratuità all’interno della famiglia.

«Non si può dire che ci sia in assoluto un modo di pensare e di fare migliore dell’altro, in quanto anche l’educazione al denaro dipende dalle regole e dall’esempio che si danno in famiglia – spiega Giovanna Boggio Robutti, responsabile Programmi di educazione finanziaria del Consorzio PattiChiari, che riunisce sessantadue banche e che promuove e realizza progetti di educazione economica in tutta Italia –. Dal nostro punto di vista, è importante aiutare i bambini a comprendere il ciclo del denaro e del guadagno: questo significa, per esempio, educare i piccoli al fatto che, a fronte di un lavoretto che si fa a casa, si può ricevere un piccolo compenso; che, con la paghetta che si riceve, si può iniziare a risparmiare; che il risparmio può essere speso con modalità ben definite con i genitori».

Educare all’uso dei soldi, anche attraverso la paghetta, significa inoltre dare attenzione al fatto che il denaro è uno strumento importante per il benessere individuale e del Paese, uno strumento che bisogna conoscere. «Con i nostri progetti educativi, che nell’anno scolastico 2012/2013 hanno raggiunto direttamente 40 mila tra ragazze e ragazzi – prosegue Boggio Robutti – cerchiamo di far capire ai giovani che il denaro si guadagna con il duro lavoro e che bisogna avere un po’ di rispetto nello spenderlo. Non ci sono scorciatoie per guadagnarlo in modo veloce, privo di rischi e legale».
 
Si comincia in famiglia
Spiegare come il denaro entri in famiglia e come venga da questa utilizzato non solo è importante, ma rientra nell’educazione a tutto tondo che i genitori trasmettono direttamente o indirettamente ai figli.

«Molto di quello che impara relativamente ai valori, il bambino lo apprende in famiglia e con gli adulti che se ne prendono cura – spiega Antonella Marchetti, docente di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione all’università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e autrice, con Ilaria Castelli, del testo Come decidono i bambini. Psicoeconomia evolutiva, Raffaello Cortina –. Le modalità e i valori con cui la famiglia e, più in generale, gli adulti si rapportano ai soldi, al lavoro, all’equità dei compensi e all’uso del denaro sono costantemente di fronte agli occhi dei bambini attraverso modi di fare, dialoghi e comportamenti degli adulti. Dalla famiglia i bambini e i ragazzi possono imparare a capire che il denaro fa parte della vita così come tante altre cose; che esso non ha, in sé, una connotazione valoriale o etica; che non è né buono né cattivo. Piuttosto sono il modo in cui ce lo procuriamo o l’uso che ne facciamo che possono essere buoni o cattivi: in questo senso il denaro si collega direttamente alla sfera dei valori. In Italia esiste ancora la concezione che i soldi siano un argomento di cui non occorre parlare ai bambini, perché non considerato alla loro portata cognitiva o perché è addirittura moralmente riprovevole farlo. Ma anche non parlarne sviluppa un atteggiamento nei confronti del denaro: un approccio di non confidenza con un tema invece importante nella vita delle persone, al pari di tanti altri. L’educazione all’uso del denaro deve seguire i progressi cognitivi del bambino, in quanto i concetti e le procedure, ad esempio, di transazioni, resto, pagamento e quant’altro si coniugano direttamente alle pur semplici operazioni matematiche di addizione e sottrazione che il bambino diviene in grado di fare crescendo».

Ma perché in casa non si parla chiaramente con i più piccoli di quali sono le entrate e le uscite, di come imparare a risparmiare anche con piccoli gesti concreti, di come capire quando è il momento per un «bene accessorio» oppure no? Secondo alcune ricerche condotte da Fondazione Rosselli, università Cattolica del Sacro Cuore e Consorzio PattiChiari nel corso del 2012, in famiglia l’educazione al denaro si è modificata e, anzi, è quasi sparita, soprattutto a causa del cambiamento della struttura familiare e genitoriale.

Fino a cinquant’anni fa i figli andavano a lavorare presto e, così facendo, capivano da subito il processo del guadagno e il ciclo del denaro, contribuendo direttamente e concretamente all’economia di casa e al bilancio familiare. Oggi il figlio è spesso il punto di arrivo della vita di coppia e, anche per far fronte alla difficoltà di un’esistenza appesantita dalla crisi, i genitori cercano non solo di non negare niente ai figli, ma di prevenirne bisogni e richieste. In questo modo non si permette loro di sperimentare e di misurarsi. A livello di contenuti, il tema maggiormente condiviso con i figli è quello delle uscite mensili, mentre, rispetto alle entrate del nucleo famigliare, si condividono le informazioni più spesso quando i figli hanno superato la maggiore età.
 
Istruzioni per l’uso
Ci sono alcune strategie che possono aiutare bambini e ragazzi a rapportarsi in modo sano al denaro. «Il primo passo è spiegare in modo semplice come gestire un proprio budget personale – afferma Francesco Saita, direttore del Centre for applied research in finance (Carefin) all’università Bocconi di Milano, coinvolto in vari progetti di educazione finanziaria e previdenziale – e, quindi, come riuscire a prendere decisioni migliori, ad esempio rinunciando a spese piccole per potersi permettere in futuro una spesa più grande. Con i ragazzi maggiori in età è utile cominciare a introdurre alcuni elementi di demografia per capire quale sarà, anche su di loro, l’impatto dell’allungarsi della speranza di vita in vista del proprio futuro lavorativo e previdenziale. Da genitore, oltre che da economista, mi sento di dire che il messaggio da passare ai più piccoli è che il denaro è una parte della realtà. Se non saremo noi genitori a insegnare come rapportarsi al denaro lo impareranno in altri modi dal contesto in cui viviamo».

Per cominciare a ragionare dell’uso consapevole del denaro con i propri figli, meglio una paghetta simbolica o qualcosa di più sostanzioso? «Non credo che si possa definire una cifra standard per la paghetta – prosegue Saita –. L’importante, a mio avviso, è che si cominci abbastanza presto a stimolare il ragazzo a fare delle scelte: in ambito economico si può partire dall’avere un budget a disposizione per imparare a spendere nell’immediato o a risparmiare. Quindi, una prima strategia è spingere i ragazzi a tenere traccia delle entrate e delle uscite di alcune piccole spese gestibili, per esempio la ricarica del cellulare. Può essere un processo utile a imparare a capire come si usano le proprie risorse per alcune voci semplici e per interiorizzare come spendere meno o spendere meglio utilizzando quello che avanza per concedersi altro».

Se la paghetta è uno strumento concreto, ci sono anche atteggiamenti da trasmettere giorno dopo giorno: per esempio, far capire come piccoli importi accantonati da giovani possano essere importanti in futuro, aiutare i ragazzi a comprendere che si parla di «investimento» a lungo termine anche nella formazione e nello studio. Più di tutto, probabilmente, è utile ricordare, con l’esempio e le parole, che il denaro è un mezzo per gestire alcune scelte personali, ma che non è né un fine né l’elemento con il quale misurare la bellezza o la bontà della vita. Oltre a questo, educare all’uso consapevole del denaro significa anche dialogare sul concetto di gratuità, all’interno del nucleo familiare o nel volontariato, così come approfondire le aspirazioni e gli interessi dei nostri figli.

Viene in mente, a questo proposito, la scena del film Mary Poppins in cui il padre porta il figlio in banca per fargli aprire un conto corrente con lo scopo di far fruttare i suoi «miseri, poveri, stupidi due penny». Secondo il padre, il bambino avrebbe dovuto investire tutto il suo «patrimonio» in imprese fantasmagoriche, che il piccolo non riesce neppure a immaginare lontanamente, per ricavarne profitti e guadagni. Più semplicemente, il piccolo intendeva «solo» donarli alla vecchina che sul sagrato della cattedrale dava da mangiare ai piccioni, facendo un po’ di carità e di beneficenza.
 
 

Lo scaffale
Fiabe e denaro

 
Perché non rileggere le favole della tradizione classica o popolare in chiave economica? Questa l’idea che sta alla base del libro Fiabe e denaro (Edizioni D’Este, illustrazioni a cura di Alice Pisoni), rivolto a bambini di età compresa tra i 5 e i 10 anni e nato dalla collaborazione tra l’associazione FarEconomia, il Consorzio Pattichiari e l’università Cattolica del Sacro Cuore. Si tratta di un volume illustrato, scaricabile gratuitamente dal sito www.economiascuola.it. Raccoglie nove fiabe in cui si narrano episodi durante i quali ci si accosta al denaro o ai valori a esso collegati. Concetti come cooperazione, legalità, avidità, solidarietà, risparmio o, addirittura, previdenza vengono presentati ai bambini grazie alla lettura di favole come I tre porcellini, La cicala e la formica o Il re che voleva diventare ricco. In questo modo si veicolano molti messaggi collegati all’educazione all’uso consapevole del denaro attraverso un linguaggio semplice e adatto ai bambini. A corredo delle storie, una serie di schede didattiche realizzate da un team interdisciplinare di ricercatori della Cattolica, con un glossario per le parole più difficili e con attività ludiche ed educative da svolgere a scuola o insieme ai genitori.

Qualche esempio di proposta didattica? Per educare alla condivisione si può approfittare di un pranzo con tutta la famiglia. I genitori diranno ai figli che hanno bisogno di loro per servire a tavola. È importante che ci siano cibi «numerabili», come polpette, crespelle, fette di carne e porzioni di torta. Poco prima di cominciare a mangiare, mamma o papà si accorgono di aver fatto male i conti e aver cucinato meno porzioni rispetto agli invitati e chiederanno ai bambini di trovare una soluzione equa per tutti su come dividere il cibo tra i presenti. O ancora: per educare a distinguere tra spese necessarie e spese superflue si possono scrivere con i figli due liste della spesa parallele: una per quello che serve a tutta la famiglia e l’altra per quello che serve direttamente al bambino. Mamma e figlio andranno insieme al supermercato e ognuno farà la spesa prendendo ciò che è scritto sulla propria lista. Al termine della spesa, prima di avvicinarsi alla cassa, la mamma controllerà che il bambino si sia «accontentato» dei beni necessari, senza aggiungere altro rispetto a ciò che era segnato sulla lista, senza cioè cedere alla tentazione dei beni «superflui», che eventualmente andranno rimessi sugli scaffali.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017