A scuola tutto può succedere

Guardiamo con occhi di gratitudine anche alla nostra scuola statale che, nonostante le difficoltà economiche, rimane un’eccellenza per l’integrazione degli alunni con disabilità.
02 Maggio 2016 | di

Negli ultimi mesi ho capito che tutto può succedere, anche nella scuola pubblica. All’inizio dell’anno è scaturita una polemica su come è stato affrontato il tema della disabilità nella fiction Rai Tutto può succedere. Nello specifico, il nodo della discordia riguardava la disabilità in classe. A uno dei protagonisti della serie, infatti, un bambino con sindrome di Asperger, veniva caldamente consigliato di lasciare la statale per una paritaria, dove avrebbe potuto trovare attenzioni più idonee. Questo ha scatenato la protesta delle associazioni di insegnanti.   Non mi interessa ora innescare ulteriori polemiche o sottolineare le distinzioni tra scuola statale e paritaria, anche perché si tratta di un dibattito lungo che meriterebbe uno spazio più ampio e diverso. Vorrei piuttosto affermare che la scuola la fanno le persone, la fanno gli insegnanti, di sostegno o non, la fanno i dirigenti scolastici, la fanno i collaboratori (i vecchi «bidelli») e soprattutto la fanno gli alunni.   Una buona parte del mio lavoro consiste nel dialogare con gli insegnanti, comparando modus operandi e approcci. Ritengo allora importante far emergere quante persone competenti e valide, e quante esperienze qualificate esistano nella scuola statale italiana che, nonostante le difficoltà economiche, rimane un’eccellenza per l’integrazione degli alunni con disabilità. Per esempio, mi scrive dal Piemonte un’insegnante che, dopo anni di confronti, ha finalmente costruito un canale comunicativo con un suo alunno. Oppure arriva una e-mail dalle Marche che mi racconta il bel percorso fatto per definire un ruolo attivo nella didattica di un bambino con autismo. Sono in contatto con un’insegnante campana che riesce a comunicare con un bimbo tetraplegico grazie alla complicità degli sguardi, all’empatia reciproca frutto di anni di dedizione. E ancora. Trovo spesso e-mail di insegnanti commosse, come una professoressa lombarda che, dopo molte difficoltà, ha lasciato migrare «il suo ragazzo» verso la scuola superiore affermando di aver raggiunto il suo obiettivo: lavorare sull’autonomia di pensiero, aiutandolo a diventare una persona capace di vivere i diritti ma anche i doveri dell’essere umano, facendo inclusione con la classe e in classe. Sono tante esperienze virtuose che lasciano trasparire quanta pazienza e competenza i docenti mettano in campo nel proprio lavoro.   Un altro spunto significativo mi arriva da un’emittente di San Marino: Silvia, insegnante di sostegno, racconta la sua esperienza in aula. Si apre così un interessante dibattito, nel corso del quale alla docente viene tolto l’appellativo «solo», legato a sostegno, permettendole di diventare in tal modo insegnante a tutti gli effetti. Non a caso l’emerito professor Andrea Canevaro delinea per queste figure un percorso nuovo, col quale anch’io sono perfettamente d’accordo: «Dal sostegno al Sostegno diffuso, ovvero da un bisogno assunto da una sola figura che deve mediare con altri, al bisogno assunto direttamente dal soggetto disabile, che vive gli aiuti degli altri sapendone valutare l’apporto». Tanto dovevo, soprattutto ai molti insegnanti che dedicano la loro vita a questo splendido ma complicato lavoro.   Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.  

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017
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