Quarant’anni di «Humanae vitae»

Oggi che le promesse di felicità della rivoluzione sessuale si sono infrante, possiamo finalmente capire la bellezza e il valore profetico dell’enciclica pubblicata da Paolo VI nel 1968.
20 Giugno 2008 | di

Il fatidico Sessantotto non è da ricordare solo per le rivolte studentesche: quell’anno, negli ultimi giorni di luglio, Paolo VI pubblicò l’enciclica Humanae vitae. Mai documento papale fu più in controtendenza rispetto alla cultura del tempo. A partire dalla fine degli anni Cinquanta del Novecento, infatti, l’aumento costante della popolazione mondiale – per la prima volta nella storia, anche nei Paesi poveri – fece nascere una paura irrazionale. Questa si tradusse in una politica di diffusione a tappeto, e spesso anche in forme non volontarie, del controllo delle nascite in tutto il mondo da parte delle grandi organizzazioni internazionali. La paura della «bomba umana» portò infatti le Nazioni Unite, proprio nel 1968, a proclamare un nuovo diritto umano, quello alla «pianificazione familiare».
Nello stesso tempo si stava affermando nelle società occidentali la cosiddetta «rivoluzione sessuale», predicata da psicanalisti allievi di Freud come Reich, Fromm e Marcuse, i quali sostenevano che all’origine dell’aggressività e dell’autoritarismo vi fosse la repressione dell’istinto sessuale causata dalla morale cristiana. I loro libri, tradotti e discussi, cambiarono la mentalità delle società occidentali, insieme con il «rapporto Kinsey» sul comportamento sessuale, uscito nel 1948 negli Stati Uniti e tradotto in italiano nel 1955.

Kinsey era un entomologo, che si era prefisso di studiare il comportamento sessuale degli esseri umani esattamente come faceva con quello degli insetti: interessato, quindi, solo agli atti fisici, finalizzati esclusivamente al raggiungimento del piacere. Per praticare questa conclamata libertà sessuale, e controllare le nascite, era necessario trovare un metodo facile e sicuro: la scoperta della pillola che impediva l’ovulazione da parte del dottor Pincus all’inizio degli anni Sessanta, permise così la «rivoluzione».
La Chiesa – che già nel 1930 si era opposta al controllo delle nascite con l’enciclica Casti connubii, negando ogni liceità alle pratiche che separavano la sessualità dalla procreazione – si trovò dunque davanti a una situazione difficile e per molti versi nuova. Anche all’interno del mondo cattolico, infatti, si stava diffondendo l’idea che l’atto sessuale costituisse un elemento essenziale per rafforzare l’amore fra i coniugi, ormai considerato come il vero fine del matrimonio. Il matrimonio viene percepito pertanto sempre più come una istituzione umana, finalizzata soprattutto al raggiungimento di una realizzazione affettiva e sessuale individuale, e in quanto tale esposto alla fragilità dei desideri umani.
Questo preoccupa la Chiesa, che vede in pericolo l’irreversibilità del vincolo, ma soprattutto scorge in questa umanizzazione una vera e propria cancellazione di Dio dal rapporto fra gli sposi, se pure credenti: solo il fine della procreazione, che vede gli sposi interagire con la volontà divina, può riportare Dio nel vincolo, e restituire alla sessualità quel profondo significato simbolico e spirituale che la tradizione cristiana gli aveva sempre attribuito.
Paolo VI con la sua enciclica accetta per la prima volta il fine unitivo del rapporto fra i coniugi come centrale nel matrimonio al pari della procreazione, e consente pure una «regolazione delle nascite» a patto che questa venga praticata con metodi naturali, con l’invito agli scienziati a intraprendere ricerche in questo campo. La sua richiesta verrà esaudita, qualche anno più tardi, da due medici australiani, i coniugi Billings, che scopriranno un metodo naturale realmente efficace. Oggi, quando le promesse di felicità della rivoluzione sessuale si sono infrante contro una realtà ben diversa, possiamo finalmente capire la bellezza e il valore profetico di questa enciclica, ancora in gran parte misconosciuta.
 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017