Portineria 14: il sapore della fiducia

A Milano, a due passi dai Navigli, c’è un locale speciale. Si chiama Portineria 14 ed è un bar che ha fatto della fiducia il suo punto di forza.
16 Luglio 2018 | di

«Milano dai vorticosi pensieri / dove le mille allegrie / muoiono piangenti sul Naviglio». Il verso di Alda Merini (tratto da Tu sei Pietro) dice tutta la malinconia di questi luoghi, una malinconia che la poetessa conosceva bene, visto che qui ha vissuto per anni.

Siamo nella zona dei Navigli, la più suggestiva e struggente della città meneghina. Oggi zona dai forti contrasti – con le vecchie case di ringhiera che si alternano ai palazzi moderni e lussuosi –, dove povertà e ricchezza convivono fianco a fianco interrogando la coscienza di chi non ha smesso di farsi interpellare dalla realtà. Com’è accaduto a Francesca Laudisi, Federica Torri Leone ed Emanuela Frau, che, a un certo punto della loro vita, si sono chieste che cosa potevano fare per tentare di armonizzare questa stridente diversità. E la risposta è ora qui, davanti ai nostri occhi, in via Troilo 14: si chiama Portineria 14 ed è un locale che, oltre a tutto quello che normalmente si trova in un bar, offre ai propri clienti una pietanza davvero speciale, con il buon sapore delle cose di una volta: la fiducia.

Perché quando, poco più di due anni fa, hanno deciso di dare vita al locale, da subito le tre giovani donne hanno voluto proporre ai propri avventori qualcosa di unico: un vero e proprio servizio di portineria che ritira pacchi, raccomandate, riceve o consegna chiavi, dà indirizzi di idraulici, elettricisti, imbianchini che possono risolvere i fastidiosi problemi domestici di ogni giorno.

«Sono tutti artigiani della zona, perché vogliamo creare rete, rimettere in connessione le persone, ridare vita al quartiere» precisa Francesca, fissandoti sorridente con i suoi vivaci e profondi occhi scuri. L’incontro è infatti con lei, in un venerdì mattina di giugno. Arriva con il suo scooter e già dal modo in cui, scendendo, scherza con un cliente, o ti rivolge un sorriso aperto e una poderosa stretta di mano, capisci che l’idea su cui poggia questo luogo non è solo una strategia di marketing, ma un piccolo tentativo di rendere il mondo migliore.

Appena arrivata, mentre, alle note di Don’t go to strangers cantata da Amy Winehouse e Paul Weller (la buona musica, ho scoperto dopo, è un’altra costante del luogo) sorseggiavo il caffè che Alessandro, l’unico dipendente del bar, mi aveva offerto, avevo avuto il tempo di guardarmi attorno con attenzione. Nel locale nulla è lasciato al caso. Gli arredi sono originali («provengono quasi tutti dalle case dei nonni o dei genitori delle socie» mi informa Alessandro): sedie di tutti i tipi fanno pendant con tavolini in ferro o in legno dalle fogge più diverse. Specchi di un tempo sorreggono vecchie fotografie di famiglia. Una bella cattedra accoglie gli avventori appena entrano («È il luogo di consegna dei pacchi» avvisa Francesca), mentre sulla sinistra un lungo tavolo di legno e una libreria ospitano i volumi che chiunque può prendere e leggere.

«Il pomeriggio è pieno di studenti – racconta Francesca –, visto che siamo vicinissimi alla sede dell’Università Bocconi. Vengono qui a leggere o a ripassare e noi gli offriamo wi-fi gratuito e acqua a volontà, piccoli segni di una cordiale ospitalità. Poi, per il resto, l’offerta è quella di un qual­siasi bar che cerca di mantenere alta la qualità». E il menù lo conferma: cocktail di frutta fresca, piatti casalinghi... Poche cose, forse, ma curate e capaci di attrarre palati esigenti. La clientela è diversificata: se alla mattina arrivano le casalinghe, a pranzo o nel pomeriggio ci sono lavoratori e studenti e alla sera soprattutto giovani, per lo spritz o la bibita del dopo cena.

«Un’atmosfera a metà tra vecchia portineria, bistrot parigino, poste anni Trenta e bar di un set cinematografico» ha scritto una rivista di cucina recensendo il locale. E c’ha proprio azzeccato.

Entra qualche cliente. Non sono molti, ma è già tardi per la colazione ed è ancora presto per il pranzo. La prima, è una signora di mezza età: si concede un caffè e una sigaretta seduta ai tavolini esterni, scambiando qualche battuta con Alessandro. Poi arriva una donna anziana: ha un borsone pieno di abiti di recupero. Chiede se può lasciare anche un cappotto, nonostante non sia la stagione. Una giovane mamma, con bimbo e cane al seguito, chiede di 2/3 pacchi che dovrebbero essere arrivati per lei. In un angolo c’è un uomo: è seduto a un tavolino, non ordina nulla ma nessuno lo fa sentire di troppo. Alessandro e Francesca conoscono tutti per nome e per ognuno hanno una parola e un sorriso.

Ma com’è nata l’idea di un bar-portineria? «Io sono cresciuta in questo quartiere – spiega Francesca – e l’ho visto cambiare sotto i miei occhi. Volevo ricreare il clima di fiducia di un tempo. Oggi anche qui c’è una grande distanza tra le persone, non ci si conosce più, non ci si saluta. Ho pensato che se avessi dato vita a un luogo nel quale offrire gentilezza, in modo disinteressato, a chiunque fosse entrato, tutto il quartiere ne avrebbe beneficiato. Perché se è vero che non possiamo cambiare il mondo, quello grande, possiamo però contribuire a migliorare quel piccolo pezzetto che ci è affidato». Chiedo a Francesca se nel loro progetto si sono fatte ispirare da una realtà simile nata a Parigi qualche anno fa. «Noi siamo diversi – risponde in modo gentile ma fermo –. E la differenza la fa il termine “gratuità”. Se offrissimo i servizi extra a pagamento, come fanno nel locale francese, che differenza ci sarebbe rispetto a un qualsiasi esercizio commerciale? Si tratterebbe solo dell’ennesima trovata pubblicitaria. E invece noi vogliamo coniugare professionalità e valori di una volta, qualità e attenzione disinteressata per le persone».

A dimostrarlo ci pensano le iniziative «collaterali» che in questi due anni le tre ragazze hanno avviato. Come la raccolta di indumenti usati, partita poco dopo l’apertura del bar. «Ricreando il clima di fiducia, le persone si aprono, ti parlano di sé e dei loro problemi. Ti segnalano anche le difficoltà dei loro vicini. Noi raccogliamo il vestiario e poi in parte lo portiamo a chi nel quartiere ne ha bisogno, in parte lo diamo a una onlus che si occupa di senza fissa dimora». Il tutto con la massima discrezione. La stessa che guida anche un’altra iniziativa nata da pochi mesi: la distribuzione, tutti i giovedì mattina, delle cento (attualmente) borse della spesa, riempite con il cibo donato dai clienti del locale. «Chiunque chiede riceve. Non neghiamo niente a nessuno. Se qualcuno ne approfitta, il problema è suo, non nostro» taglia corto Francesca.

Molte le storie incrociate in questi due anni di attività. Tra tutte, una in particolare è rimasta nel cuore della giovane donna: «Un giovedì mattina è entrato un signore sulla settantina per chiedere una borsa-spesa. Chiacchierando, è emerso che aveva fatto il camionista per quarant’anni ed era stato molto benestante. Poi un giorno aveva avuto un malore mentre era alla guida. Portato all’ospedale, è rimasto quaranta giorni in coma e ci ha messo cinque anni per completare la riabilitazione. Ovviamente ha perso il lavoro e tutto il resto. Ora vive con una pensione di 280 euro al mese, non ha un alloggio né un sostegno dallo Stato. Ha richiesto la social card, ma ci vogliono sei mesi per averla. E nel frattempo? Perché chi è già tanto provato dalla vita deve subire anche queste umiliazioni? Quando se n’è andato, ho pianto per due ore».

Il modello Portineria 14 fa già tendenza. «Ci hanno chiamate dal Belgio, dalla Scozia, oltre che da varie regioni italiane, per capire come funzioniamo. Ogni volta le persone restano colpite dal fatto che i servizi che offriamo sono gratuiti. Eppure è proprio questo ad aver dato un’anima alla nostra attività, al nostro “motore” che è il bar. Siamo disponibili a regalare il decalogo del nostro locale a chiunque ce lo chieda, purché si impegni a replicarlo gratuitamente. Si può fare: noi siamo la dimostrazione che si può essere imprenditori e generosi al contempo, senza rimetterci».


Sogni nel cassetto le ragazze di Portineria 14 ne hanno ancora molti. Come l’iniziativa «Ti faccio la spesa», vale a dire la disponibilità di due ore alla settimana per portare la spesa a casa a chi non può muoversi. Oppure per accompagnare i bambini del quartiere al parco, magari approfittandone per insegnare loro a giocare a calcio, «visto che io ho un passato di 20 anni da calciatrice» chiosa Francesca.

È arrivata l’ora di andare. Al momento dei saluti, senza che io le chieda nulla, Francesca mi confida: «Sai, io non sono credente, ma dico spesso una specie di preghiera. Chiedo di avere sempre orecchie e occhi aperti per accorgermi degli altri. E un cuore pulito». Una preghiera che, a quanto abbiamo visto, è già stata esaudita…

Data di aggiornamento: 16 Luglio 2018
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