Orti. Una passione condivisa

Sono sempre di più gli italiani che si dedicano a coltivare un orto: nelle città, nelle scuole, nelle parrocchie, negli ambienti di lavoro... È un ritorno alla terra che significa anche riscoperta dell’importanza di coltivare e custodire il pianeta.
11 Marzo 2015 | di

«E come l’amo il mio cantuccio d’orto» recita un verso di Giovanni Pascoli. «Meriggiare pallido e assorto / presso un rovente muro d’orto» scriveva Eugenio Montale. Ma oggi non sono più solo i poeti a cantare la terra. Sono sempre di più gli italiani che, per diletto e a volte per necessità, si dedicano a coltivarla e parlano di questa loro scoperta sui siti internet, nei libri, nelle trasmissioni televisive. La passione per l’orto dilaga, e contagia.

In questi ultimi anni è spuntata una quantità incredibile di orti: urbani, sociali, condominiali, carcerari, scolastici, aziendali, parrocchiali e anche negli ospedali. L’orto-mania dilaga in tutta Italia (nel periodo 2011-2013 gli orti urbani sarebbero triplicati), soprattutto al Nord ma anche al Sud: dagli orti condivisi di Palermo fino a Napoli, all’Emilia Romagna o al Veneto. Solo nel comune di Padova, per esempio, sono oggi ben 633, ripartiti tra i diversi quartieri. Gli agricoltori non professionisti sono pensionati, casalinghe, insegnanti, impiegati o disoccupati… Gli orti urbani stanno diventando un fattore di aggregazione: contribuiscono a creare nuove forme di gestione partecipata del territorio e a sottrarre al degrado aree verdi.

Coltivare la felicità Pia Pera è una giornalista, autrice di diversi libri su natura e paesaggio come L’orto di un perdigiorno (Tea) e Il giardino che vorrei (Electa) e Giardino&ortoterapia. Coltivando la terra si coltiva anche la felicità (Salani). A sua volta, questa «scrittrice ortolana» ha trovato ispirazione in due libri, Il giardino segreto di Frances H. Burnett e Il bambino dai pollici verdi di Maurice Druon.

Pia Pera alimenta un’originale «polifonia orticola» che si trova in rete all’indirizzo www.ortidipace.it dove confluiscono moltissime esperienze di chi si dedica all’orto. Dopo aver vissuto e lavorato in grandi metropoli, come Londra e Milano, Pia è approdata nelle meravigliose colline che circondano Lucca. «È stato – racconta – cedere a una tentazione antica, perché sono sempre stata attratta dai giardini, dal paesaggio». Qui, nel suo podere, continua a scrivere domandandosi come rendere migliore la vita e il mondo. Oggi di orti parlano un po’ tutti e l’attività si è molto evoluta e diffusa rispetto a quindici anni fa. Secondo Pia Pera questo proliferare di orti non è dovuto che in piccola parte alla crisi economica, deriva piuttosto da un interesse crescente per il cibo (nutrirsi di ciò che si è prodotto in modo sano) e da una preoccupazione ecologica. È dovuto, a suo parere, al diffondersi di semi positivi e di modelli, come quello lanciato, per esempio, da Michelle Obama con il suo orto alla Casa Bianca. Aggiunge Pia: «La crisi che ha spinto a dedicarsi agli orti è piuttosto frutto di un’insoddisfazione per il mondo economico o della finanza. Si è compreso che non è necessariamente consumando che si può essere felici. Per me, per esempio, coltivare la terra ha significato aumentare la soddisfazione e la felicità personale. Chi coltiva con libertà, senza assillo, con il piacere del contatto con la natura, trova una grande serenità e si ritrova anche un po’ più libero dentro. Condividere poi in Rete con molte altre persone le esperienze che si fanno negli orti comporta essere meno soli, conoscere altri amici, e aiuta a vedere il mondo come un giardino di cui ci si prende cura». Per Pia tutti gli orti sono importanti. «Importanti sono – conclude – anche quelli degli ospedali (come per esempio quello del Lido di Venezia), non tanto per quello che si produce, ma perché riconnettono alla vita».

Un giardino per rivivere All’IRCCS Ospedale San Camillo di Venezia, infatti, nel luglio 2013 è nato il primo «giardino terapeutico» pensato per i pazienti impegnati in un percorso di neuroriabilitazione e per gli ospiti della vicina casa di riposo. Al Lido i pazienti si occupano della coltivazione di fragole, zucchine, cavoli e piante aromatiche, anche se si trovano su una carrozzina, grazie a percorsi agevolati, pavimentazione adeguata e fioriere rosse rial­zate previste dall’allestimento dell’architetto paesaggista Paolo Sgaravatti e dalla garden designer Benedetta Piccolomini. In questo ospedale ci sono pazienti che hanno subito gravi traumi o un ictus cerebrale, ammalati di sclerosi multipla, SLA, malattia di Parkinson: persone che rimangono qui ricoverate per mesi e che quindi possono vedere nel tempo anche i frutti del loro lavoro. Da quando è partita l’esperienza del giardino terapeutico, già circa cento pazienti ne hanno potuto beneficiare.

Responsabile del progetto è la dottoressa Francesca Meneghello, neurologa. «Facciamo orto-giardino terapia, una disciplina che in America e in Australia o nel Nord d’Europa è già materia di un corso di laurea. È un’attività molto utile ai pazienti, ha effetti rilassanti, socializzanti, stimolanti, per esempio in chi ha bisogno di esercitare il movimento delle mani, ma soprattutto riavvicina alla natura, fa venir voglia di uscire fuori dalle mura del reparto. C’è chi predilige piantare, chi seminare, chi potare, chi irrigare. Le persone che sono state qui possono continuare a tenere una pianta anche una volta tornate a casa. Prendersi cura delle piante diventa una metafora del prendersi cura di sé. Molto spesso sono proprio gli anziani ospiti della vicina casa di riposo che ci insegnano delle tecniche di coltivazione. Qui non usiamo prodotti chimici, antiparassitari, e facciamo anche educazione alimentare. Sulle aiuole rialzate – spiega la dottoressa Meneghello – ci sono sia fiori che ortaggi, secondo il modello dell’orto altoatesino. Abbiamo scelto per esempio “peri a spalliera” che sono potabili e gestibili anche da persone sedute sulle carrozzine o da chi ha disabilità». 

In questo giardino-orto davvero speciale tutto è stato pensato con molta attenzione, dagli accostamenti delle piante a quelli dei colori, dagli odori alle sensazioni tattili che le piante producono. Continua la dottoressa: «Anche per i pazienti molto gravi, il cui contatto con l’ambiente è davvero limitato e fluttuante, fare una passeggiata o portare l’attenzione su un fiore è molto terapeutico e positivo. Frequentare il giardino porta gioia e vitalità anche nei rapporti tra le persone, tra medici e pazienti. In questo ospedale ci confrontiamo con le patologie più disabilitanti, puntiamo molto sulle tecnologie all’avanguardia, sulla robotica, ma abbiamo voluto recuperare la premessa di base del contatto con la natura. Questo perché siamo convinti che il paziente vada considerato nella pienezza della sua umanità».

Gli orti scolastici Trent’anni fa Nadia Nicoletti, un’appassionata maestra elementare trentina, ha iniziato a coltivare l’orto con i bambini della sua scuola elementare. Allora era una pioniera, oggi moltissime altre scuole, sia al Nord che al Sud, hanno intrapreso la stessa strada. Nel frattempo, ha scritto due libri editi da Salani (L’insalata era nell’orto e Lo sai che i papaveri…). Racconta Nadia con entusiasmo: «Mia nonna faceva la contadina e mia mamma aveva l’orto (qui da noi l’orto è anche giardino con fiori ed erbe aromatiche). Io non ho fatto altro che portare a scuola la mia passione per il giardino e per l’orto. Su www.ortidipace.it racconto, a mo’ di diario, quello che facciamo con i bambini. In primavera realizziamo un progetto (che si chiama «mettere radici») di accoglienza dei bambini della scuola materna, che vengono a visitare la scuola elementare. Durante queste visite i piccoli fanno la semina del mais con un maestro ortolano che è un bambino di quinta elementare e, a ricordo di questa tappa, mettono una bandierina con il loro nome. Alla successiva visita alla scuola, verso giugno, i bambini trovano il mais cresciuto fino a circa 60 centimetri di altezza. Quando a settembre cominciano a venire a scuola trovano le loro pannocchie. Insieme le puliamo, le facciamo seccare, le maciniamo con un mulino di pietra per fare la farina. La cosa interessante è che abbiamo un mais tipico della Valsugana che era quasi scomparso. Diversi nonni ci hanno aiutato a non perdere antichi saperi e sapori». In questo orto scolastico di circa 150 metri quadri si semina, si raccoglie, si disegna, si impara anche la bellezza. E quindi la scuola si fa veicolo di trasmissione di valori che stanno scomparendo, di saperi che ci sono ancora, di un alfabeto della natura che si sta perdendo. L’orto, insomma, diventa un fattore educativo.

«L’orto – continua la maestra Nadia – è il luogo dove i bambini sono tutti uguali e le tensioni vengono decantate, perché il rapporto con la terra porta tranquillità. I bambini si divertono molto, poi assaggiano tutti gli ortaggi di loro produzione, rape comprese, imparano da dove proviene il cibo che mangiano, assaporano, per esempio, il gusto intenso di una fragola scaldata dal sole. L’orto insegna loro anche l’idea della ciclicità, l’attesa, il prendersi cura di qualcosa, la necessità di serbare dei semi per far crescere nuove piantine l’anno successivo. Portare un orto dentro la scuola vuol dire trasformarla in qualcosa di vivo, aiuta ad apprendere con gioia». Scriveva il poeta Tonino Guerra nel suo Manifesto dell’orto: «Conta di più mostrare ai bambini / delle aiuole di un orto / che le pagine di un libro / riempire di stupore la fantasia dei ragazzi / con lo spuntare di una foglia / e il lento apparire / di un colore sul pomodoro».

Anche l’Università di Padova (città che vanta il secolare celebre Orto Botanico) si interessa di queste tematiche. In particolare il Gruppo giardino storico, attivo da venticinque anni, ha in programma un corso di aggiornamento proprio sul giardino storico e un seminario sul tema «Parchi, orti, giardini: nuove opportunità dalla terra», inserito negli Expo days, in cui verranno presentate anche diverse esperienze di giovani che hanno saputo salvaguardare dei prodotti della terra e creare delle innovative piccole attività commerciali.

Ce ne ha parlato la professoressa Francesca Dalla Vecchia, docente di Botanica all’Università di Padova e condirettrice del Gruppo giardino storico. «In tanti ragazzi vedo interesse per questi temi, percepisco nei giovani il desiderio di ritornare a certe realtà lavorative, magari perché i loro genitori avevano un orto o un frutteto. C’è da parte loro la volontà di scommettere su questi lavori che sono vecchi e nuovi allo stesso tempo. Sta crescendo, ma non è ancora sufficiente, l’interesse per la salvaguardia dell’ambiente (una cultura ecologica è più radicata, per esempio, nei Paesi del Nord d’Europa). Speriamo che l’Expo accenda la voglia di pensare un po’ di più al nostro pianeta, a tutto tondo». In questa direzione va il paesaggista e filosofo francese Gilles Clément che invita a pensare la terra come un unico grande giardino, il giardino planetario, appunto.

L’orto di San Bartolomeo Esperienza che il parroco don Angiolino Cobelli definisce tutt’altro che straordinaria è quella della parrocchia di San Bartolomeo di Rivoli, in provincia di Torino. È una storia semplice ma significativa: qui l’orto della parrocchia ha catalizzato tutta una serie di risorse ed è diventato un esempio concreto di solidarietà. Lo stesso parroco quando può è ben felice di mettersi a lavorare la terra («fa bene anche a me»). «L’esperienza – spiega don Angiolino – è nata circa due anni e mezzo fa, all’interno del gruppo Caritas parrocchiale che cerca di rispondere ai vari bisogni presenti nel territorio della parrocchia. Avevamo ospitato in casa canonica una persona che ha cominciato a lavorare l’orto e poi noi abbiamo continuato. C’è un gruppo di agricoltori che offre supporto e competenze. Tutte le settimane insieme con una borsa di altri generi alimentari, vengono distribuiti, se possibile, anche i prodotti raccolti nell’orto a una sessantina di famiglie della parrocchia colpite dalla crisi economica». Questo ha innescato una catena di solidarietà tra le famiglie assistite che, a loro volta, si sono rese disponibili ad aiutare altre persone. Sempre in un’ottica di valorizzare le risorse e di non sprecare, è nato anche un laboratorio di cucito dove si riadattano gli abiti usati. «La terra – continua don Angiolino, che nel passato è stato dieci anni in missione in Uruguay – va rispettata. Non ci deve essere esclusivamente la finalità del guadagno, dello sfruttamento dell’orto. Bisogna invece rispettare i ritmi di vita del terreno. In inverno viene concimato e riposa, in primavera si riparte e si semina in base al tipo di terreno che abbiamo a disposizione. Di solito un contadino ci consiglia cosa piantare: insalata, pomodori, carote, melanzane, zucchine, quello che serve per le famiglie; a rotazione proprio per rispettare anche la terra».

Coltivare un orto può essere dunque una piccola ma importante azione di solidarietà e di pace.

Concludiamo con le parole di papa Francesco ai partecipanti all’incontro mondiale dei movimenti popolari nell’ottobre scorso: «È logico: non ci può essere terra, non ci può essere casa, non ci può essere lavoro se non abbiamo pace e se distruggiamo il pianeta. (…) Tutti dobbiamo alzare la voce in difesa di questi due preziosi doni: la pace e la natura. La sorella madre terra, come la chiamava san Francesco d’Assisi».

E all’incontro per il settantesimo anniversario di fondazione della Coldiretti papa Francesco ha affermato: «Coltivare è un’attività tipicamente umana e fondamentale. Nel lavoro degli agricoltori c’è, infatti, l’accoglienza del prezioso dono della terra che ci viene da Dio, ma c’è anche la sua valorizzazione nell’operare altrettanto prezioso di uomini e donne, chiamati a rispondere con audacia e creatività al mandato consegnato da sempre all’uomo, quello di coltivare e custodire la terra (cfr. Genesi 2,15). Il verbo “coltivare” richiama alla mente la cura che l’agricoltore ha per la sua terra, perché dia frutto ed esso sia condiviso: quanta passione, quanta attenzione, quanta dedizione in tutto questo!». E infine nel messaggio inviato per l’Expo: «La terra, che è madre per tutti, chiede rispetto e non violenza o, peggio ancora, arroganza da padroni».  

I LIBRI  Giorgio Boatti,Un Paese ben coltivato. Viaggio nell’Italia che ritorna alla terra e, forse, a se stessa Laterza, pagine 264, € 18,00  Orti di pace a cura di Gianfranco Zavalloni, Emi, pagine 112, € 9,00  Pia PeraGiardino & ortoterapia Salani, pagine 128, € 11,00

Nadia Nicoletti,L’insalata era nell’orto Salani, pagine 145, € 11,00  Renzo Pellati,La storia di ciò che mangiamo Daniela Piazza Editore, pagine 400, € 28,00

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017

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