Reuters/Stefan Wermuth

Migranti: impegno, non muri

Giubbotti di salvataggio a Parliament Square, nel centro di Londra, in occasione del Summit Onu sulle migrazioni.
| Claudio Zerbetto Redattore

Migliaia di giubbotti di salvataggio stesi su piazza del Parlamento, nel centro di Londra. Usati da chi ha voluto inseguire un sogno: quello di un futuro. Per scappare da guerre e povertà. Molti ce l’hanno fatta. Altri sono rimasti intrappolati nelle acque del Mediterraneo. Un mare diventato, per molti disperati, il terminale dell’esistenza. L’ultima tappa di un lungo viaggio.

Ogni giubbotto porta una storia, con i colori della vita e della speranza. Indossato come una corazza per combattere fame, odio e violenza. Un’arma pacifica, per vincere l’egoismo e l’indifferenza. Questi giubbotti, ora, gridano al mondo la rabbia e la disperazione per un’infinita tragedia che non può lasciarci indifferenti.

Alla crisi migratoria mondiale è stato dedicato il recente Summit mondiale promosso dall’Onu, svoltosi nei giorni scorsi a New York. Un primo incontro, atteso da tempo, per discutere su questo drammatico fenomeno. Molte le aspettative, tanti i discorsi, poche, in verità, le risposte concrete. Se non una Dichiarazione conclusiva dove si esprimono solidarietà e promesse di impegno. Ma nella quale nessun Paese risulta vincolato sul piano operativo. Con atteggiamenti a volte ipocriti – non è il caso dell’Italia – dove a parole si parla di solidarietà e poi, invece, si erigono muri o si rinchiude in campi di detenzione chi chiede asilo e scappa dalle guerre.  

Eppure, come sottolineato al Summit, è tempo dei fatti. Non si può più attendere. Perché c’è gente sempre più disperata, che ha la necessità di vedersi restituire una dignità. Che con quei giubbotti tenta di inseguire pace e giustizia. Convinta che sì, il mondo possa avere anche il lato buono. Quello del bene.

Data di aggiornamento: 24 Settembre 2016