Marc Augé. Antropologo di un pianeta in movimento

Di fronte alle accelerazioni tecnologiche planetarie anche i luoghi sono cambiati. Il mondo oggi ci riguarda tutti. Parola di Marc Augé.
21 Settembre 2015 | di

Marc Augé è una figura di riferimento per l’antropologia della modernità. L’abbiamo incontrato a Pistoia, città teatro della sesta edizione del Festival di antropologia Dialoghi sull’uomo

Il noto antropologo ha cominciato i suoi studi in Africa, soggiornando in Costa d’Avorio e in Togo, ed è stato «testimone del passaggio dalla colonizzazione alla globalizzazione». Ha compiuto diversi viaggi in America Latina e in molte altre parti del mondo. A Parigi è stato presidente dell’École des hautes études en Sciences sociales fino al 1995.

Nel 1992 ha teorizzato i fortunatissimi concetti di luoghi (quelli in cui si possono facilmente leggere le relazioni sociali) e nonluoghi, quei posti che, al contrario, non permettono di misurare la coesione sociale, per esempio gli spazi del consumo, della circolazione e della comunicazione come i centri commerciali, gli aeroporti. Ma oggi, di fronte alle accelerazioni della globalizzazione, anche i luoghi sono cambiati. Le tecnologie conoscono un’evoluzione rapidissima e modificano la nostra relazione con lo spazio e con il tempo.

Oggi Augé si ritrova a essere l’antropologo di un mondo planetario, un pianeta in movimento, in continua evoluzione e, per di più, fragile. E di fronte a scenari sempre più globali avverte: «È finita la preistoria dell’umanità planetaria e ora comincia la storia».

Msa. A distanza di oltre vent’anni dalla loro teorizzazione, come sono cambiati i luoghi e i nonluoghi?Augé. Questi ultimi sono cambiati perché non si parla più di nonluoghi in senso assoluto. Ci sono degli spazi che sono più o meno luoghi o nonluoghi. Quello che accade è che con la globalizzazione abbiamo cambiato «scala» e ora noi abbiamo in mente il mondo quando guardiamo qualcosa. Cioè il contesto di tutti i nostri comportamenti è diventato il mondo intero, ma esso è una sorta di nonluogo perché noi lo vediamo attraverso le immagini dei media, lo vediamo quando siamo in volo in aereo sull’Europa, lo percepiamo in quelle situazioni che ci restituiscono in qualche modo un’immagine di questa nuova città che è il mondo («mondo-città»). Il mondo oggi è come una città, una città ideale. Perché noi, attraverso le immagini, abbiano una visione del mondo-città che è idealizzata. In questo senso direi che quello che mi interessa oggi è considerare i nonluoghi come il contesto obbligato di tutte le osservazioni. Tutte le osservazioni locali devono tener conto del contesto e il contesto è planetario, grazie ai media: le immagini danno la consistenza di nonluogo. Invece nelle grandi città reali, nella vita reale si vedono tutte le differenze sociali e queste città sono dei veri luoghi, dove si vedono le diseguaglianze, la povertà…

Lei ha scritto: «Nonostante le illusioni diffuse dalle tecnologie della comunicazione (dalla televisione a internet) noi viviamo là dove viviamo». Internet e i social creano delle relazioni o, paradossalmente, aumentano la solitudine? Ebbene, si tratta giustamente di un paradosso: le relazioni che consente internet sono potenti, lontane e con ogni parte del mondo, ma sono relazioni che sono fuori del tempo e dello spazio, sono delle relazioni istantanee e indipendenti dallo spazio. Di conseguenza, non permettono una negoziazione tra identità e alterità, la quale è ciò che consente all’individuo di affermarsi. Credo che queste reti producano nuove forme di solitudine. Gli adolescenti giapponesi, per esempio, soffrono di nevrosi, sono troppo attaccati al loro video. In definitiva: penso che ogni individualità si costruisca nel suo rapporto con gli altri e che questo rapporto con gli altri abbia bisogno del tempo e dello spazio. Con i media, con gli strumenti della comunicazione, siamo nell’ubiquità e nell’istantaneità e questo non permette di creare delle relazioni nel senso sociale del termine.

Lei scrive che «il movimento è la verità delle società umane». Come cosiderare i movimenti migratori in atto? È uno degli aspetti della planetarizzazione. Certamente i movimenti migratori hanno delle cause circostanziali (la violenza, le guerre, la fame) e si verificano sia dal Sud verso il Nord del Pianeta che all’interno dei Paesi del Sud, che da uno all’altro. È in un contesto difficile che si producono questi movimenti migratori ed è questo che li rende problematici. Da una parte si accentua sempre più lo scarto tra i più ricchi e i più poveri e, d’altra parte, la fascinazione che hanno i migranti per i Paesi del nord è un’illusione: rientra nel campo di quell’immagine del «mondo-città» di cui ho parlato prima.

Ci sono da fare anche delle considerazioni demografiche, perché la popolazione è aumentata considerevolmente dall’inizio del XX secolo. La Cina da sola oggi ha una popolazione pari a quella che c’era all’inizio del XX secolo nel mondo intero. Dunque, ci sono dei problemi innegabili di organizzazione dello spazio che sfociano in quei disordini, in quella violenza che traducono la difficoltà della nascita di una società planetaria. Noi siamo allo stesso tempo un insieme di nazioni con le nostre particolarità e le nostre culture, ma per certi versi c’è già una prefigurazione di ciò che sarà una società terrestre della quale il planetario sarà l’unica referenza. Ma siamo lontani da ciò. Dunque mi chiedo qualche volta se non siamo alla «fine della preistoria dell’umanità» come società planetaria.

«La migrazione – sostiene – non si identifica con la felicità, ma cerca piuttosto di sfuggire all’infelicità». Come si pone l’Europa di fronte ai migranti? È un problema certamente. Allora bisogna che l’Europa si renda presente, bisogna che solidarizzi; che gli italiani, per esempio, non siano lasciati soli a sopportare il peso e la responsabilità dell’accoglienza. C’è un problema di equilibrio. È evidente che oggi ogni situazione è mondiale: l’emigrazione normale è una cosa, la migrazione imposta dalla fame, dalle guerre, dalla violenza è un’altra questione. E dunque questo è un aspetto della mondializzazione: il mondo ci riguarda tutti. Credo che sia ora di riflettere su ciò molto seriamente e di porre a fondo il problema della salvezza dei migranti e dei motivi complessi che rendono drammatiche le difficoltà economiche. L’Europa non ha ancora definito una politica comune e cerca di farlo. È evidentemente difficile, perché non si può avere una posizione passiva e chiedersi cosa fare di tutte le persone che arrivano. Bisogna avere la capacità di porre una riflessione più ampia. Sui Paesi da cui fuggono i migranti c’è da dire che, quando non si tratta di Paesi con guerre e violenze, sono spesso le destinazioni privilegiate dei turisti. Questo traduce una diseguaglianza che è, evidentemente, quello che ho evocato prima parlando della globalizzazione.

In un prossimo futuro sarà possibile, secondo lei, ridurre lo scarto tra Paesi poveri e Paesi ricchi? Per il momento si tratta di uno scarto che aumenta tra i più poveri e i più ricchi e che cresce sia nei Paesi sviluppati che nei Paesi sottosviluppati, che in quelli in via di sviluppo. Non so che cosa si potrà fare, ma è una delle contraddizioni di questo mondo che io chiamo della «preistoria della società planetaria».

Che cos’è che la fa continuare a sperare in una società «intelligente e solidale»? Sì, bisognerebbe che la nostra fosse effettivamente una società intelligente e solidale, ma allo stato attuale delle cose vi sono dei rapporti di forza, di potenza e di denaro che non la rendono tale. Non credo che da essi siamo usciti e sarà difficile farlo; bisogna dire che la storia è sempre lunga. Noi oggi ci poniamo domande che ora non trovano delle risposte chiare. Per trovare delle soluzioni ci vorrà molto tempo. A meno che non ci siano dei disordini… Ma sono fiducioso. Sono ottimista per natura e il mio è un ottimismo molto a lungo termine. Credo che ci sfugga questa situazione. Non sarà la nostra generazione a risolvere questi problemi.

La vita – lei ha detto – è un viaggio. La vita individuale è un viaggio. Forse si può dire questo. Alcuni viaggiano più di altri. Ma qualsiasi viaggio ha una fine e un inizio e bisogna accettare l’idea che per gli avvenimenti ci siano sempre una fine e un inizio. Credo che il giorno in cui noi ammetteremo che la vita è «finita», che ha un termine, andrà meglio. Non è tragico il fatto che la vita finisca. Lo vediamo tutti i giorni. Non c’è, secondo me, viaggio dopo la morte; a un certo momento la vita scompare e appaiono altre vite.

Come definirebbe il rapporto tra l’uomo e il divino? Se si parla di dei in generale, di politeismo, vedo chiaramente questo rapporto. Nei sistemi politeisti spesso si rappresentano gli dei come uomini antichi. È una visione immanente dell’umanità. E c’è una saggezza in questo politeismo. La possiamo cogliere nella cultura greca antica, nella quale gli dei avevano i loro limiti. Dunque penso che quello che noi chiamiamo «Dio» sia l’idea di umanità. Secondo me spesso si parla di Dio per parlare dell’uomo. Io credo che il limite dell’uomo sia l’uomo. (ha collaborato per la traduzione Anna Maria Checchin).  

La scheda  Chi è Marc Augé è un antropologo francese molto noto in tutto il mondo. Dopo le sue ricerche in Africa (Costa d’Avorio e Togo) ha cominciato a occuparsi di antropologia del mondo contemporaneo. È stato direttore della École des hautes études en Sciences sociales di Parigi. Famosa è la sua teoria degli spazi moderni che ha individuato già oltre vent’anni fa luoghi (uno spazio che permette di leggere abbastanza facilmente la struttura sociale) e nonluoghi (autogrill, centri commerciali caratterizzati dall’assenza di identità e relazioni sociali).

I suoi libri più noti sono Un etnologo nel metrò (1992) e Il metrò rivisitato (2009), Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità (1993), Rovine e macerie. Il senso del tempo (2004), L’antropologia del mondo contemporaneo (2006), Elogio della bicicletta (2008), Straniero a me stesso. Tutte le mie vite di etnologo (2011), Diario di un senza fissa dimora (2011), Futuro (2012), Le nuove paure (2013), Il tempo senza età. La vecchiaia non esiste (2014). L’antropologo e il mondo globale (2014) ripercorre tutta la sua vita ed è pubblicato in Italia da Raffaello Cortina Editore.

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017
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