Lettere al direttore

01 Dicembre 2015 | di

Giubileo in tempo di terrorismo?
«Il Giubileo è alla porte e non le nascondo che dopo i fatti di Parigi cresce in me la sensazione che questo evento di portata mondiale, che attirerà milioni di pellegrini e l’attenzione di tutti i media del Pianeta possa diventare il palcoscenico ideale per mettere a segno spettacolari atti terroristici. Per di più Roma si trova in un momento difficile della sua storia, commissariata e disorganizzata. Sarà in grado di approntare tutte le misure che servono a limitare al minimo i rischi?
Lo so che sarebbe giusto non farsi condizionare, che la libertà è alla base della nostra civiltà, che questo Giubileo è importante nella storia della cristianità, ma mi chiedo se ci siano forme alternative per celebrarlo, più consone a questi tempi grevi, che tutelino di più l’incolumità delle persone o se non sia meglio addirittura rinviarlo a tempi migliori».

Lettera firmata
 
Condivido le sue preoccupazioni. I fatti di Parigi confermano che il rischio ci riguarda tutti e non è facile da eliminare. Per cui è giusto che si prendano tutte le misure possibili per limitarlo. A patto, però, di non snaturare se stessi. Per questo sono critico sulle sue conclusioni riguardo al prossimo Giubileo. E i motivi sono molti e su più piani. Glieli esprimo attraverso alcune cruciali domande. Secondo lei cambiare le modalità del Giubileo, o addirittura rimandarlo, ci salverebbe dalla barbarie in cerca di atti dimostrativi? Le ricordo che gli attentati di Parigi non sono avvenuti in concomitanza di un grande evento, bensì di un ordinario venerdì sera all’interno di una sala concerto, in alcuni locali pubblici, allo stadio.

Altra riflessione: ci metterebbe davvero al sicuro mettere in forse il Giubileo della Misericordia, cioè l’atto culminante del pontificato di un Papa coraggioso e innovatore che sta gridando al mondo il bisogno di misericordia, di giustizia e di riconciliazione di questa umanità dolente? Il giorno in cui ha indetto il Giubileo papa Francesco ne ha spiegato chiaramente il motivo e di certo, forse meglio di un capo di Stato, aveva presente i rischi di questa «guerra mondiale a pezzi». «La Chiesa – ha detto – in questi momenti di grandi cambiamenti epocali, è chiamata a offrire più fortemente i segni della presenza e della vicinanza di Dio». E per sottolineare il suo intento ha fatto coincidere il Giubileo straordinario con il 50° anniversario del Concilio Vaticano II. Fare a meno di tutto ciò, negare uno dei più grandi atti d’amore nella storia dell’umanità non sarebbe già morire a noi stessi?

E ancora: ci salverebbe davvero autolimitare preventivamente la nostra libertà di religione? Non equivarrebbe per caso a ignorare una verità elementare, che cioè la nostra civiltà si fonda proprio su di essa? Lo ha spiegato bene il Papa quando, a Filadelfia, di fronte all’Independence Mall, il luogo di nascita degli Stati Uniti, ha parlato di libertà religiosa come diritto fondamentale e come base di ogni libertà, perché apre alla visione dell’«Altro/altro» ed è l’antidoto a ogni dittatura umana e a ogni presunzione di «utilizzare la religione come pretesto per l’odio e la brutalità». Di fronte a un mondo che si accartoccia nella paura papa Francesco chiede di non blindare le porte, di non blindare «la Porta». La prima porta è lui, senza giubbetto antiproiettile, senza macchina blindata, che accetta il rischio di abbracciare gli esseri umani, tutti gli esseri umani, per non perdere il contatto vitale. Negare quella Porta non significa forse aprire il portone alla dittatura dell’odio? «I tempi migliori» di cui lei parla, non dobbiamo forse seminarli oggi, sapendo che ogni scelta è un rischio?
 
 
L’amicizia è una cosa seria
«Gentile direttore, mio nipote di 16 anni trascorre pomeriggi interi collegato a Facebook. Proprio l’altro giorno si vantava con la sorellina di aver raggiunto quota trecentocinquanta amici. Ma dove sono tutti questi ragazzi e ragazze quando il sabato sera lui resta spesso chiuso in camera a guardare la tv? Ai miei tempi, anche se c’erano meno occasioni di incontrarsi, i rapporti erano molto più veri. Gli amici erano pochi ma buoni, volti concreti. Non voglio certo demonizzare strumenti utili e diffusi come i social network, però mi piacerebbe tanto spiegare a mio nipote che l’amicizia è una cosa seria e che, prima di interagire on line con altre persone, dovrebbe imparare a gestire un sorriso, una stretta di mano, un dialogo “in carne e ossa”».
Lettera firmata
 
Innanzitutto vorrei farla riflettere sulla parola «amicizia». Oggi più che mai il suo senso viaggia spesso in direzioni opposte. Da un lato il sentimento fraterno che lega due o più persone, dall’altro il link virtuale che collega attraverso uno schermo. Amicizia è profonda affinità di cuore, ma anche superficialità. Amici sono due anime in condivisione, come pure due volti sconosciuti che – connessi quasi per caso su Facebook –, quando s’incrociano per strada a stento si salutano. In questo senso, imparare a interpretare le parole e distinguere i registri risulta il primo passo verso una buona gestione delle relazioni umane.

Lungi dal voler screditare il proverbio «Chi trova un amico trova un tesoro», credo che ai giovani d’oggi vadano insegnate innanzitutto la sintesi e l’obiettività. Non c’è dubbio, nessun social network potrà mai sostituire le relazioni vis-à-vis. D’altro canto, demonizzare – come dice lei – la rete sarebbe un autogol. Facebook non è tanto uno strumento di alienazione, quanto una risorsa che va gestita, dosata e affiancata ad altri canali di relazione. Un consiglio spassionato: la prossima volta che trova suo nipote attaccato al computer non gli chieda di spegnerlo. Piuttosto lo faccia parlare, stimoli i suoi interessi e, magari, lo spinga a iscriversi a qualche corso extrascolastico. Uscire con gli amici almeno due volte a settimana giova alla salute psico-fisica.

Parola di Robin Dunbar, psicologo della Oxford University che di recente sull’argomento ha condotto persino una ricerca.
 
 
Lettera del mese
No alla violenza
 
Segni di speranza
 
Per combattere il male della violenza, del terrorismo, del razzismo, seminiamo il bene. Ovunque, in qualsiasi momento, nelle piccole come nelle grandi occasioni. Riempiamo il nostro mondo di bene, se vogliamo davvero arginare il male! L’amore di Dio è la nostra forza!
 
«Questo è un momento tragico per la nostra Europa. Io mi affido al Santo ricordandogli sempre mio figlio, che da due anni vive a Bruxelles, dove ha completato gli studi e ora lavora. Può immaginare come il mio cuore sia gonfio di un dolore indicibile per tutte le madri delle vittime di Parigi, e come mi senta assalire dalla preoccupazione crescente di saperlo in una città che facilmente può diventare obiettivo di attacchi terroristici. Nessuno di noi singolarmente è in grado di agire e di portare riparo al male che sta attraversando il mondo: voi frati del Santo in qualche modo sì. Con le vostre opere rispondete al male con il bene, alla morte procurata con una speranza di vita che offrite quotidianamente ai più bisognosi. Porgo il mio grazie sentito e commosso in questo momento alla Caritas del Santo e alle sue opere. Voglio pensare che il futuro di mio figlio, anche quello immediato, possa poggiare sulle basi della solidarietà premurosa che voi, e tanti come voi, dispensate agli altri uomini, trovando in essa il migliore scudo per affrontare le tempeste della vita».
Caterina L.
 
Poche volte mi è capitato di leggere di temi così gravi in maniera chiara e, soprattutto, piena di speranza: grazie, signora Caterina! Lei ci ricorda, e lo fa partendo dalla sua vita e dai suoi affetti, che se i problemi sono maledettamente seri e complicati, le soluzioni non possono essere banali e semplici.

Lo meritano i morti innocenti di Parigi, ma altrettanto quelli del­l’airbus russo nel Sinai, del centro commerciale di Beirut, dell’hotel Radisson in Mali, le studentesse nigeriane rapite da Boko Haram, i ragazzini assoldati dalle soldataglie in Sierra Leone, i soldati israeliani aggrediti dai palestinesi e i palestinesi dai soldati israeliani, i giornalisti arrestati in Turchia, e tanti altri. Ma io vorrei qui ricordare, assieme a lei, anche e prima di tutto le migliaia e migliaia di civili innocenti, quasi sempre donne, bambini e anziani, senza nome e senza nemmeno il risarcimento morale di una «copertura mediatica», senza manifestazioni di solidarietà né uno straccio di sdegno mondiale, che non provocano telefonate internazionali che surriscaldano le linee rosse dei potenti del mondo: nei Paesi in guerra, lungo le rotte migratorie dei disperati dell’umanità, nelle periferie del nostro benessere, spiaccicati contro l’ennesimo muro. Di volta in volta effetti collaterali, incidenti di percorso di bombe e droni che poi tanto intelligenti a quanto pare non lo sono. Poco più che grattacapi di un attimo per gli strateghi mondiali.

Ma ognuno, uno per uno, prezioso e unico davanti a Dio. Sì, la dignità di tutti costoro, e io vorrei anche aggiungere quella, pur disonorata, di chi si trova dall’altra parte della barricata: di chi pensa di rendere onore al proprio dio facendosi saltare in aria in mezzo ad altra gente, a chi ha «disarmato» l’intelligenza e il cuore di qualcuno per mettergli in mano un mitra che andasse a uccidere gli «infedeli», a chi gli va bene tutta questa storia, che puzzerà pure ma a qualcuno, a quanto pare, qualcosa frutta (forse neanche poco…), a chi, forse, non gli resta altro che lanciare pietre come Davide contro Golia; be’, non dimentichiamoci che dietro a tutti costoro ci sono… uomini in carne e ossa, donne e giovani, figli e padri. Proprio come me, come noi. Allora servono davvero soluzioni più intelligenti.

A livello del commercio delle armi, della corsa alle materie prime, di un rapporto più equo e rispettoso tra gli Stati, di maggiori aiuti allo sviluppo economico e culturale, di maggiore solidarietà e conoscenza tra i popoli. Serve che le religioni, tutte, rifiutino categoricamente la violenza: papa Francesco, all’Angelus di domenica 15 novembre, lo ha persino gridato: nominare Dio mentre si sta ammazzando un fratello è una bestemmia! E molti amici musulmani, in questi giorni, mi hanno confidato lo stesso. Insomma, serve che un po’ tutti ci convertiamo dal nostro egoismo. Nessuno può chiamarsi fuori! Soprattutto serve, come ci ha ben ricordato la nostra amica lettrice, che seminiamo più bene possibile. Ovunque, in qualsiasi momento, nelle piccole come nelle grandi occasioni. Riempiamo il nostro mondo di bene, se vogliamo davvero arginare il male! L’amore di Dio è la nostra forza!
  
 

NATALE IN BASILICA

Per Natale, la Basilica del Santo di Padova si apre al mondo trasmettendo in diretta streaming le Messe più importanti della festività: la tradizionale Messa di mezzanotte e le Messe delle ore 10.00 e delle ore 11.00 del 25 dicembre. Per visualizzare le celebrazioni: sito www.santantonio.org

Lettere al Direttore, scrivere a: redazione@santantonio.org

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017
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