La nostra tenda tra i profughi siriani

Un Centro di aggregazione, cura e istruzione per chi fugge da guerre e miseria. È il Progetto 13 giugno di Caritas Antoniana in Libano. Ce lo racconta fra Giancarlo, direttore generale del «Messaggero», nel quarantesimo anniversario della onlus.

Mi trovo in Libano, a Zahle, città a 60 chilometri a est di Beirut, la capitale. Sono a tre ore d’aereo dall’Italia, eppure mi sento ai margini del mondo, al confine, nel limite che separa i destini. Di fronte a me la valle della Bekaa, la più fertile del Libano. Tuttavia mi guardo attorno e non vedo colture, solo una lunga serie di appezzamenti, dove spuntano come funghi le tendopoli dei profughi siriani. Oltre la montagna che incornicia la valle, infatti, c’è la Siria, la cui capitale, Damasco – un tempo crogiolo di culture e religioni e oggi sotto la minaccia dello Stato islamico –, è a 100 chilometri da qui. Da questa parte della montagna una tregua forzata, un’attesa senza tempo. Dall’altra parte la guerra, le atrocità dell’Is, le bombe «intelligenti» degli Stati tecnologici. Difficile capire l’alchimia delle alleanze e degli interessi. L’unica cosa certa è questa lunga fila di tende e di destini sospesi.

Sento che la Bekaa è una di quelle periferie che, come dice papa Francesco, decideranno le sorti del mondo, il fragile equilibrio tra tolleranza e scontro, tra civiltà e barbarie. Non è un caso se vi ho portati in questa valle. Il posto è scomodo, lo so, ma è un crocevia. Qui può nascere o morire la speranza. Questi tempi difficili chiedono anche a noi, frati francescani, e a voi, sostenitori di Caritas Antoniana, di abitare questi mondi di mezzo, di cercare fili di speranza perché la storia ricominci e popoli sofferenti possano ritornare nelle loro terre, senza rischiare la vita su un barcone. Noi cercheremo di abitare questi mondi alla maniera di san Francesco e sant’Antonio, con lo sguardo degli ultimi, vivendo in mezzo a loro. Con questo spirito vi propongo il progetto scelto per il 13 giugno, festa di sant’Antonio, ma anche anniversario importante, perché nel 2016 Caritas Antoniana compie 40 anni.

A prima vista si tratta di un progetto semplice: realizzeremo a Zahle un Centro Caritas dedicato al Santo. Ma vi avviso di già: non sarà un Centro Caritas come gli altri. A partire dalla diversità dei suoi «clienti»: rifugiati siriani, profughi iracheni, cristiani perseguitati, poveri della periferia di Zahle. Un bel mix di religioni, di nazionalità, di dolori. Intorno al progetto che andremo a realizzare (che stavolta non si concretizzerà solo in una costruzione in muratura) ruota una ragnatela di bene che cercherò di descrivervi. Intanto vi dico che al centro di tutto c’è la piccola comunità dei frati francescani di Zahle, quattro uomini appena, appoggiati però da una fitta e composita rete di volontari laici. L’avrete ormai capito: quando il male è complesso, anche il bene lo è. Non ci resta che seguire i suoi passi.

Un convento nella bufera

Il convento dei frati a Zahle, dedicato a san Francesco, è stato fondato nel 2010. La piccola chiesa è ancora in costruzione. Lo scopo era creare una casa di formazione per i frati. Tuttavia i bisogni della gente e dei tanti profughi l’hanno trasformato in un porto di mare. Qui una quarantina di donne, a turno, cucina per chi non può farsi un pasto caldo, gli scout organizzano raccolte alimentari per i campi profughi, un nutrito gruppo di francescani laici dell’Ofs è impegnato a organizzare ogni sorta di attività per i poveri. A dirigere l’orchestra è un frate pacato e generoso, lo stesso che ieri ha prelevato me e fra Fabio (direttore editoriale del «Messaggero di sant’Antonio», ndr) all’aeroporto di Beirut e che ora ci fa da guida in questo viaggio. Si chiama Cesar, ha 45 anni, è libanese. Riesce a sorprendermi fin dall’inizio: naviga in questo caos con una naturalezza disarmante e tutto dirige come un medico del pronto soccorso.

L’immagine della Chiesa come ospedale da campo, tanto cara a papa Francesco, qui ci sta tutta. «Vedi Giancarlo – mi spiega –, possiamo stare accanto a queste persone, perché siamo come loro. Tra noi frati ci sono più nazionalità e tante storie di dolore. Anche noi siamo il sunto di tanti mondi, ma il nostro essere francescani ci aiuta a trasformare il dolore e la diversità in un’occasione per condividere. Noi offriamo il terreno fertile e i cristiani del Libano lo coltivano con grande passione». Penso che in questo Medio Oriente, culla della cristianità che però sta perdendo tutti i cristiani, questo piccolo convento di confine sia un faro nella nebbia. «Qui in Libano – continua Cesar – stiamo vivendo una grande sfida. Siamo 4 milioni di abitanti e abbiamo 2 milioni di profughi. La maggioranza è siriana, ma ci sono anche gli iracheni, per lo più cristiani, e circa 800 mila profughi palestinesi che hanno trovato rifugio qui dopo le guerre arabo-israeliane. E abbiamo anche tanti poveri di casa nostra, frutto delle guerre che hanno a lungo insanguinato il Libano». 

I tesori più grandi

«Vieni – mi dice Cesar, iniziando il nostro viaggio nel futuro progetto – ti porto a vedere i miei tesori». Io mi aspetto che si diriga verso i campi profughi, invece lui imbocca una stradina nella periferia di Zahle. Raggiungiamo una piccola casa. Sul soffitto pezzi di cartone a tappare i buchi. Ci accoglie Georgette, una vecchia donna di più di 90 anni. Vive di provvidenza: un piatto portato dalla vicina, i pasti preparati dai volontari della comunità. Georgette ringrazia e prega; per i suoi cari, per i frati, per i volontari, per i poveri. Prega e aspetta che qualcuno vada a trovarla. E allora, offre il suo caffè tostato, macinato con un vecchio arnese e dà una manciata di caramelle, perché l’ospite, che ha le gambe buone, le porti ai bambini dei campi profughi. 

Arriviamo a una seconda casa. Suoniamo il campanello. A un certo punto entriamo. In cucina una donna sofferente, ancora giovane, è seduta sul divano, attaccata a una bombola d’ossigeno. Si chiama Samira e ha un bambino di 12 anni. Mi dice che sant’Antonio è il suo compagno nelle lunghe ore di solitudine. È grata per tutto quello che i frati fanno per lei. Riesce ad accudire suo figlio solo grazie all’aiuto di una volontaria che va a prenderlo a scuola e gli fa fare i compiti. Suo marito lavora giorno e notte pur di acquistare le medicine che le servono. Anche lei ringrazia e prega per la sua famiglia, per i frati, per i volontari. 

Esco commosso e capisco perché fra Cesar mi ha portato prima qui. La preghiera di Georgette e Samira è la forza dei frati. Queste due donne sono le sentinelle che tengono accesa la lampada nella notte. Sono lo spirito di una comunità. È tutto collegato. È come se Cesar mi dicesse che possiamo pure sostenere il più bel progetto del mondo, ma nulla vale se non c’è una trama di vissuti, di spiritualità, di bene.

Il campo profughi dei bambini

Questa volta la macchina si dirige decisamente verso i campi profughi. I frati concentrano il loro aiuto in quello di El Fayda, che ospita circa 500 persone. Un campo pieno di bambini e adolescenti, dove nessuna Ong interviene a dar senso al loro tempo vuoto. «In una situazione di grande sofferenza e precarietà come questa – spiega Cesar – non è sufficiente dar da bere e da mangiare. Devi costruire la speranza». Arriviamo a El Fayda. La prima impressione che ho è di grande dignità. Ci sono tende e casupole fatte con materiale di recupero, ma ovunque c’è ordine. Qualcuno ha persino dei vasi di fiori. La seconda impressione è un senso di felicità: i bambini vanno incontro a fra Cesar come le api sul miele. Giocano con lui, gli fanno festa e lui dispensa le caramelle di Georgette. Caramelle e preghiere di una cristiana nelle mani dei bambini musulmani. Non c’è bisogno d’altro per sentirsi figli dello stesso Padre.

Al campo i frati portano acqua potabile con il loro camioncino tuttofare, in cui trasportano con la stessa disinvoltura pacchi viveri, medicine o le marionette per il teatrino. I volontari passano con pasti caldi almeno due volte a settimana. Ma ciò che davvero fa la differenza sono due tende piantate in pieno campo, centro di tutte le attività dei frati e dei volontari: «Noi non veniamo solo per lasciare un pacco viveri e andare via, come succede in molti altri campi, ma per condividere, ricostruire, guardare avanti». Sotto le tende dei frati il campo si fa più leggero: innanzitutto si fa scuola, perché la guerra non uccida anche il futuro, poi si gioca, si disegna, si partecipa a tutte le attività ricreative. «Tra i volontari ci sono anche alcuni psicologi che aiutano donne e bambini a elaborare i drammi della guerra, mentre altri operatori fanno formazione contro gli abusi e le violenze, che purtroppo nei campi sono molto frequenti».

Un progetto che scava la roccia

Ce ne andiamo. Nel cuore ho un tumulto di sensazioni. Cesar guida calmo e sereno verso il convento. La goccia scava la montagna, dice il proverbio. E io comincio a pensare che la nostra roccia da scalfire sia proprio qui. Al convento è ora di «parlare di affari»… di solidarietà. Come possiamo aiutarvi Cesar? «L’obiettivo di base è quello che ti dicevo prima: trasformare la precarietà in stabilità, il tempo vuoto in tempo di futuro. E per noi frati sarebbe utile avere un Centro Caritas da cui coordinare tutte le attività. Lo chiameremo Centro Caritas Sant’Antonio. All’inizio servirà soprattutto i rifugiati, ma un domani diventerà una risorsa importante contro tutte le forme di povertà del Libano».

I frati hanno individuato due locali di 60 metri quadri, alti abbastanza da prevedere un secondo piano, inseriti in un grande edificio, che racchiude le attività artigianali di Zahle. «Non volevamo costruire da zero, ma inserirci nella realtà cittadina più vicino alla gente che aiutiamo e a quella che ci aiuta. Bisognerà restaurare ed equipaggiare i locali». Nel centro ci sarà una grande cucina popolare e un laboratorio di lavanderia e sartoria per mettere a posto i vestiti di recupero. Lo scopo è duplice: organizzare meglio gli aiuti, ma anche creare, con la collaborazione degli artigiani del posto, una scuola di arti e mestieri per offrire una prospettiva ai giovani

Scalfire la roccia è possibile. Me l’ha dimostrato Cesar tante volte in questi giorni. Per questo vi invito a restare con me, con i frati e con i volontari del Libano in questa terra di mezzo, dove la precarietà diventerà futuro, l’emergenza risorsa, la differenza ricchezza. Sarà il modo più bello per celebrare insieme i 40 anni di Caritas Antoniana.    

Per dare il tuo contributo al Progetto 13 giugno.  

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017

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