La forza di uno sbaglio

Mai fermarsi all'errore. Lo dicono i piccoli artisti della Neuropsichiatria infantile dell'Ausl di Reggio Emilia, che, proprio a partire dai loro disegni imperfetti, hanno dato vita a un’alternativa Arca di Noè molto apprezzata.
29 Maggio 2014 | di

Esistono l’ebero, la cervia, il golilla, il pirotoco? O meglio: l’ebero oculato, la cervia eustachea, il golilla madredipella, il pirotoco che guarda le femmine? Certo che esistono, è che forse non li ricordiamo più, o non abbiamo ancora avuto la ventura di incontrarli. Qualcuno ha tracciato un loro identikit, mutevole, mai definitivo, anche quando è molto particolareggiato.

Gli esperti in materia, che con piglio energico e tratto deciso ci introducono in questo bestiario chimerico, sono i ragazzini artisti dell’Atelier dell’Errore, uno speciale laboratorio di arti visive nato nel 2003 a Reggio Emilia, per la Neuro­psichiatria infantile della locale Ausl. Per raccontare di loro si potrebbe partire dal curriculum, che al momento mette in fila tredici mostre collettive (a Venezia, Bergamo, Carpi, Ivrea…); la pubblicazione di quattro monografie; la partecipazione a svariati convegni e festival. Ma in realtà, per capire meglio di che cosa si tratta, val la pena puntare subito su quella parola, «errore», solitamente relegata ai margini e invece qui principale a tal punto da essere elevata a slogan identitario.

«Sì, noi siamo quelli dell’errore – spiega Luca Santiago Mora, idea­tore e “maestro d’orchestra” dell’Atelier –. Il primo errore sono io. Non avrei dovuto essere qui. Sono un fotografo e artista visivo: per caso (ma il caso non esiste) mi sono imbarcato in quest’impresa, coinvolto da un’amica. E poi non sono più riuscito a farne a meno. Il secondo errore sono loro, i bambini e ragazzi – all’incirca dagli 8 ai 16 anni – della Neuropsichiatria infantile. Lo dice la cartella clinica, lo dice lo sguardo di troppi adulti. Le loro sindromi hanno nomi aggraziati per indicare difficoltà più o meno gravi: ipercinesi, dislessia, disprassia, turette, x-fragile, down, e il più enigmatico di tutti, l’autismo. Loro, se li stai ad ascoltare, ti raccontano che vivono da soccombenti, da perdenti, sette giorni la settimana, trenta giorni al mese, dodici mesi all’anno». A questo punto, l’errore diventa una scelta, un metodo di lavoro «per trivellare i densi strati di sofferenza e far emergere la potenzialità poetica e creativa di questi ragazzini, sconosciuta a molti, a me per primo, ma anche a loro stessi, che arrivano al laboratorio “educati” a non saper disegnare – rivela Santiago Mora –. Resta emblematica la dichiarazione perentoria con cui se ne uscì un ragazzo, Giovanni: “Io non posso disegnare”. Un “no” quasi esistenziale. Col tempo e con tanta pazienza ha superato il blocco, ma è dura venire fuori dalla convinzione di essere degli sconfitti in partenza».

Il metodo dell’Atelier dell’Errore è che… l’errore è vietato. Il che sembra ancora ambiguo: non è vietato sbagliare, ma è vietato chiamarlo errore, fermarsi lì. Con Jovanotti verrebbe da dire che qui «le regole non esistono, esistono solo le eccezioni». Ecco perché la gomma è bandita. Cancellare non si può, né è concesso gettare via il foglio di carta quando vi sia stato tracciato anche il minimo segno. Da lì bisogna ripartire, cambiando strada se serve, inventando una nuova profondità a forza di prendere in esame quei tratti. L’animale è già lì, come il Mosè di Michelangelo era già dentro il blocco di marmo. Ma bisogna saperlo vedere, dove tanti invece guardano solo, senza scorgere nulla. Così la bestia può «nascere» su un foglio formato A4, al quale, nel corso della realizzazione – vuoi per la coda, le gambe, le pinne, i tentacoli, le corna o altro ancora, – possono venire aggiunti altri fogli, a seconda delle esigenze, nei punti opportuni. L’effetto è sorprendente, specie quando le superfici si ampliano fino a coprire un’intera parete, o quando sfondano l’usuale formato rettangolare per disegnare contorni che, pur senza abbandonare l’angolo retto, modellano cornici ogni volta del tutto originali.

Già, l’originalità. Ogni belva che esce dal laboratorio di Reggio Emilia è un esemplare raro, unico. Luca Santiago Mora lo spiega così: «Ce ne sono già tante in giro di zebre e balene perfettamente riprodotte! Noi ci ispiriamo alla zebra e alla balena, ma siamo chiamati a fare dell’altro. Improvvisiamo, dando una fisionomia all’indefinito. Anche quando i primi segni sul foglio sono fallimentari e sembrano il preludio di una resa, non ci scoraggiamo. A forza di osservarli, si trova il modo di renderli il trampolino per una creazione inedita». Inedita, ma con brillanti intuizioni che riescono a unire la fantasia alla realtà. «La nostra è una “zoologia profetica”. Ai ragazzi lo dico – prosegue Santiago Mora –, noi siamo la “libera università dell’Atelier dell’Errore, dipartimento di Oltre-zoologia”. Me lo ha fatto notare un etologo dell’università di Lecce, che, osservando i disegni di un pesce con i piedi, mi ha rivelato che solo di recente è stata individuata e fotografata una nuova specie ittica con queste caratteristiche».

Il «dove», poi, non è secondario. Il primo ambiente a ospitare l’Atelier, nel 2003, è stato un ambulatorio: ottimo come punto di soccorso medico, ma altrettanto inadatto per esprimersi nell’arte contemporanea. «Erano gli stessi genitori dei ragazzi – ricorda il fondatore del laboratorio – a trasmettermi la loro inquietudine per quegli ambienti ospedalizzati, affaticanti perché sempre associati alla psichiatria, alle diagnosi, alla medicalizzazione. Ora invece, guàrdati intorno, vedi dove ci troviamo?». Ci troviamo appena fuori dal centro di Reggio Emilia, il che significa praticamente in campagna, in un casolare ristrutturato immerso nel verde, ospiti di un altro atelier espressivo, «L’Indaco». Fuori, alberi, prati e campi coltivati, un pigro cane alla catena; dentro, travi a vista, ampie finestre, pareti ricoperte dai disegni in fase di realizzazione.

Sono animali composti solo d’ossa, simili a quelli ricostruiti nei musei paleontologici, ma vivi, completi, come se pelle e muscoli mancanti non potessero aggiungere nulla di più. Sono aggressivi, vigorosi, sono mostri secondo il significato più preciso del termine, ovvero straordinari, fuori dal comune. Spaventosi, ma non angoscianti. Osservandoli, penso a Howard P. Lovercraft e ai suoi racconti horror, colmi di cupe apparizioni cariche di folli presagi. Ma è solo un’evocazione, e subito me ne distanzio. Perché questi animali così spigolosi sono proiezioni delle paure dei ragazzi – che si chiamano di volta in volta malattia, timidezza, solitudine – che, sulla carta, vengono esorcizzate. Lo si capisce anche dai titoli che completano le opere.

Come nuovi Adamo nell’Eden, i piccoli artisti lasciano briglia sciolta all’immaginazione e si producono in nomi spesso immaginosi, dove è valorizzato in particolare l’inciampo dei dislessici: non c’è grammatica che tenga, le licenze poetiche sono le benvenute. Ecco allora la iena sagulosa, la mosca timida che non trova le parole, il topo mangia carne radittiva, l’eloquente pesce cannone maschio, che – precisa l’autore – è grezzo perche non parla con nessuno.

Il collegamento con fossili e dinosauri è diventato costitutivo quando nel 2013 l’Atelier dell’Errore ha aperto una sua succursale a Bergamo, con una sede ben precisa, all’interno del museo di Scienze Naturali, nell’aula didattica dell’istituto di Paleontologia.

Nel frattempo, l’Atelier dell’Errore è diventato una onlus, sostenuta da molte delle famiglie coinvolte nel laboratorio, che ne hanno saputo apprezzare la discontinuità rispetto ad altre iniziative rivolte ai loro figli, come spiega Adriana, mamma di Laura: «Qui trovano un ambiente di ascolto e di accoglienza nelle loro sfumature, che li libera. Così, gli animali diventano il tramite tra quanto hanno dentro e l’esterno; diventano motivo di incontro, di scontro e di relazione con gli altri». A confermarlo è Susanna, mamma di Veronica, altra presenza fissa dell’Atelier: dall’incontro tra le due ragazze è nato uno speciale sodalizio artistico, tant’è che i loro disegni sono affrontati a quattro mani, con Laura a curare il tratto e Veronica le campiture di colore. Per due «non verbali» (entrambe non si esprimono a parole) si tratta di un’opportunità non da poco. È una soddisfazione il risultato, ma anche una fatica ottenerlo, perché bisogna vincere barriere e pigrizie. Alla fine, però, puntualizza Susanna, «il loro sforzo viene materializzato e riconosciuto, diventa un’opera non fine a se stessa, ma che viene portata all’esterno, diventa un biglietto da visita, in esposizioni, mostre, cataloghi… Con una soddisfazione grande».

L’ultima soddisfazione del laboratorio di Reggio è aver «piazzato» due ragazzi tra i venti finalisti (su trecentosettanta partecipanti) del Premio Euward 2014, il più prestigioso concorso di pittura e arte grafica europeo rivolto ad artisti con disabilità mentale, che si tiene ogni quattro anni a Monaco di Baviera. Sono gli unici italiani ancora in lizza.

Gli indizi cominciano a essere tanti: l’impressione è che dell’Atelier dell’Errore continueremo a sentire parlare a lungo.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017