La Fenice del Far East

In occasione della visita in Corea del Sud di papa Francesco, in concomitanza con la sesta Giornata asiatica della Gioventù e la beatificazione dei 124 martiri coreani, andiamo alla scoperta del Paese orientale dalle mille risorse.
30 Giugno 2014 | di

Non si può non restare ammirati, quando si parla di Corea del Sud, dalla grande capacità che ha avuto questo Paese di risorgere dalle proprie ceneri. La Corea era letteralmente in ginocchio dopo la guerra del 1950-’53, tanto che negli anni ’60 perfino la «rivale» Corea del Nord la superava in Pil. Resta famosa la frase pronunciata dal generale Douglas MacArthur: «Questo Paese non ha un futuro, non risorgerà neppure tra cento anni». Oggi la Corea del Sud è la quindicesima economia al mondo per prodotto interno lordo.

Se la Corea ha saputo reinventarsi dal punto di vista economico, non è stata da meno dal punto di vista culturale. Pur vivendo ai margini del grande impero cinese, e attingendo da questo ogni sorta di suggestione politica e culturale, la Corea è riuscita nella storica impresa di darsi un proprio linguaggio, l’hangul, ossia l’alfabeto coreano. Letteralmente inventato a tavolino da un gruppo di studiosi su ordine di Sejong il Grande tra il 1443 e il 1444, è anche grazie a questo vettore comunicativo se il cristianesimo, più di tre secoli dopo, ha potuto diffondersi con facilità tra le classi meno abbienti e con un basso livello di istruzione.

Il re Sejong lamentava il fatto che la gente comune ignorasse i complessi caratteri cinesi, che venivano utilizzati dalla classe colta. Le persone non avevano modo di presentare le loro lamentele alle autorità se non attraverso la comunicazione orale e non potevano lasciare ai posteri la sapienza acquisita in campo agricolo e le conoscenze accumulate in anni di duro lavoro.

Per queste ragioni, e per la voglia di possedere una scrittura propria e non dover così più dipendere dal complesso sistema di ideogrammi cinese, venne creato questo nuovo alfabeto. La Cina, infatti, dominava culturalmente sui Paesi limitrofi: tutti i libri e i documenti importanti erano scritti in cinese. Tale egemonia, però, non è mai stata imposta con la forza, in quanto la cultura cinese godeva di un prestigio antichissimo: l’unico dovere che avevano gli Stati «satellite» – quali Vietnam, Corea, Isole Ryukyu (Okinawa) e perfino il Giappone – era infatti quello di dimostrare lealtà nei confronti dell’Impero di Mezzo attraverso una serie di visite tributarie, uno scambio di doni, con il quale l’imperatore cinese riconosceva legittimità ai sovrani di ogni singolo Stato (una sorta di investitura) e quelli, una volta compiuto questo atto di sottomissione formale, potevano continuare in totale autonomia a gestire la vita politica e culturale del proprio Paese.

Il popolo coreano ha sempre dimostrato di possedere un grande carattere e una grande inventiva. Lo attestano, oltre all’invenzione dell’hangul, anche la scoperta della stampa con caratteri mobili oltre due secoli prima del torchio calcografico di Gutemberg. Per non parlare delle invenzioni in campo militare: nel 1592, in anticipo di due secoli e mezzo sulla costruzione della prima nave corazzata – l’americana USS Monitor –, la Corea sconfiggeva il Giappone nella guerra dell’Imjin, utilizzando l’invenzione del generale Yi Sun-shin, quelle navi «tartaruga» (una sorta di carrarmato del mare) contro le quali ogni altra imbarcazione militare era destinata alla sconfitta.
 
Diffusione del cristianesimo
Anche dal punto di vista religioso, i coreani hanno saputo «inventarsi» una propria originale via al cristianesimo.

L’unico esempio di un’evangelizzazione che sia partita non da missionari, ma da semplici uomini di cultura, è infatti quello della Chiesa in Corea. È un unicum nella storia e il ruolo svolto dai laici coreani non ha eguali al mondo. Anni prima dell’arrivo dei missionari, il ruolo di questi intellettuali è stato infatti quello di prendere atto dell’esistenza di una religione straniera sconosciuta, fino a diffonderne i precetti nel proprio Paese.

Ma se i missionari giunsero in Corea con centinaia di anni di ritardo, ad esempio rispetto al Giappone, fu l’arrivo in Cina dei gesuiti l’evento che avrebbe avuto importantissime ripercussioni sulla nascita delle prime comunità cristiane nel regno di Joseon (l’antico nome della Corea).

I primi gesuiti arrivarono in Cina già sul finire del Cinquecento, e tra loro il più noto è certamente Matteo Ricci. E fu Ricci uno dei primi a tradurre in cinese non solo diversi testi di catechismo, ma molte opere di scienza e di letteratura. Proprio queste centinaia di opere tradotte attirarono l’interesse intorno alla religione cristiana, tanto che cominciarono i primi battesimi: nel 1608 c’erano trecento cristiani a Pechino e duemila in tutto il regno.

Nel 1603 questi testi vennero introdotti anche in Corea grazie a Yi-Gwang-jeong, diplomatico coreano in missione a Pechino, il primo a importare nell’omogeneo e confuciocentrico tessuto culturale coreano le nuove conoscenze: conoscenze che allora ricadevano nell’unica categoria di «saperi occidentali tradotti in cinese».

In seguito alla diffusione, tra le élites letterarie, di questi testi, accadde in Corea quello che si era già verificato in Cina: il cattolicesimo iniziò a incuriosire gli studiosi e cominciò a essere approfondito. Ben presto l’esistenza di Dio, i concetti di immortalità dell’anima e di divina provvidenza divennero materia di discussione nei circoli letterari, soprattutto quelli che si riunivano nel tempio Jueo a Seoul.

Ma è solo più tardi che il cattolicesimo smise di essere materia accademica per diventare una realtà religiosa a tutti gli effetti. Era il 1784, la rivoluzione francese sarebbe scoppiata cinque anni dopo, ma intanto, dall’altra parte del mondo, si apriva un’altra rivoluzione: questa però, a differenza della prima, destinata a durare a lungo. Il 1784 è l’anno ufficiale di fondazione della Chiesa coreana.
Un recente sondaggio ha mostrato come il cattolicesimo sia oggi la religione che i coreani ritengono più affidabile, perfino più del buddismo.
La notizia che può sorprendere, invece, è che quella considerata meno affidabile sia la sua «cugina», il protestantesimo. Se ben il 74 per cento dei coreani, infatti, ripone fiducia nella Chiesa cattolica, solo il 20 ha un simile atteggiamento nei confronti della Chiesa protestante e, siccome questa percentuale è più o meno la stessa del numero dei protestanti in Corea, se ne può dedurre quanto sia grave il livello di sfiducia per questa parte della cristianità.

Ci sono, ovviamente, delle ragioni. Tra queste, lo stile aggressivo di evangelizzazione (basta osservare la sera lo skyline di Seoul, o Pusan, dall’alto per avere un’idea dell’infinita distesa di croci illuminate, color rosso, che certamente non esprimono modestia e discrezione di intenti). La più grande congregazione di Seoul, la Yoido Church, ammonisce apertamente i fedeli dal pensare che la ricchezza sia un peccato: tanto «coerente» con tali principi è il pastore capo e fondatore di questa congregazione – il settantottenne David Yonggy Cho – che proprio di recente è stato condannato a tre anni di prigione per appropriazione indebita (12 milioni di dollari) ed evasione fiscale.

I cattolici continuano, invece, ad avere un’ottima reputazione, specialmente per i vari impegni di volontariato che svolgono e, nonostante una leggera flessione negli ultimi anni, il numero dei fedeli è sempre in aumento: alla fine dell’Ottocento erano poche migliaia, ora sono più di cinque milioni.

Il periodo di grande crescita di vocazioni è stato certamente quello del dopoguerra (quando si parla di dopoguerra in qualsiasi altra parte del mondo ci si riferisce al periodo successivo alla seconda guerra mondiale, qui invece si intendono gli anni che seguono la guerra tra le due Coree, quella del 1950-’53). I coreani in quell’occasione fecero un’esperienza di precarietà della vita e della fugacità delle cose, che trasformò, non solo materialmente ma nel profondo, le loro esistenze.

Di fronte a quella tragedia la gente trovò conforto nell’insegnamento della Chiesa, che sa dare un senso a ogni esperienza umana, anche a quella del dolore.

Oggi si cerca di nutrire un nuovo fermento spirituale prendendo spunto dalla storia dei tanti martiri, che sono sempre lo specchio e il modello della vita cristiana in tutto il mondo, e la beatificazione dei 124 fedeli – uccisi in odium fidei – in agosto da parte di papa Francesco è la più preziosa di queste occasioni di rinnovamento della fede. 
 

ZOOM
Il viaggio del Papa

 
Il viaggio del Papa in Corea del Sud si svolge in occasione della sesta Giornata della Gioventù asiatica (Asian Youth Day) e della beatificazione di 124 martiri coreani. Il programma della visita prevede: arrivo del Papa a Seoul il 14 agosto, Messa in privato nella Nunziatura apostolica e cerimonia di benvenuto nel giardino della «Blue House» con la visita di cortesia al presidente della Repubblica e incontro con le autorità nel salone Chungmu della «Blue House». Qui il Papa terrà il primo discorso. Seguirà quindi l’incontro con i vescovi della Corea nella sede della Conferenza episcopale coreana.

Venerdì 15 agosto, solennità dell’Assunzione, il Papa si trasferirà a Daejeon dove, alle 10.30, celebrerà la Messa nel World Cup Stadium. Dopo il pranzo con i giovani al Seminario maggiore di Daejeon, incontrerà i giovani cattolici dell’Asia presso il Santuario di Solmoe, nella provincia Chungcheong meridionale (diocesi di Daejeon). Il Santuario è stato eretto sul luogo in cui è nato sant’Andrea Kim Taegon, primo sacerdote coreano poi martirizzato per la sua fede. Il 16 agosto visita al Santuario dei martiri di Seo So mun e santa Messa di beatificazione di Paul Yun Ji-Chung e dei suoi 123 compagni, martiri del XVIII e XIX secolo, alla porta di Gwanghwamun a Seoul.

Nel pomeriggio del 16, il Papa si recherà a Kkottongnae  per la visita al centro di recupero per disabili «House of Hope». Seguirà l’incontro con le comunità religiose al Training center «School of Love» e l’incontro con i leader dell’apostolato laico.

Il 17 agosto, altro trasferimento ad Haemi. In mattinata  incontro con i vescovi dell’Asia nel Santuario di Haemi. Alle ore 16.30 papa Francesco celebrerà la Messa conclusiva della sesta Giornata della Gioventù asiatica nel Castello di Haemi. Lunedì 18 agosto, ultima giornata, il Papa incontrerà i leader religiosi a Seoul, nel Palazzo della vecchia curia dell’arcidiocesi, e celebrerà una solenne Messa per la pace e la riconciliazione nella cattedrale Myeong-dong a Seoul. Quindi, ripartirà per Roma alle 13.00.

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017