05 Maggio 2016

La dedizione non ha prezzo

Prendersi cura del prossimo senza la prospettiva di un rendiconto economico fa bene a chi si trova nel bisogno, ma anche a chi compie il gesto di solidarietà. Parola di docente.  

 «Sono un’insegnante in pensione e da otto anni svolgo volontariato nella scuola secondaria di primo grado del mio paese, attraverso lezioni di recupero di matematica, per cui ho l’abilitazione. Vorrei dire a tutti, dal più profondo del cuore, quanto sia appagante mettere la propria esperienza al servizio di chi ne ha bisogno, donando un po’ del proprio tempo e delle proprie energie agli altri. Quanti alunni incontrano difficoltà negli studi e hanno necessità di recupero! Ogni giorno ci inventiamo insieme qualcosa di diverso dal solito, per rompere il muro di sfiducia tra quei ragazzi e lo studio. È un’esperienza da provare, anche solo per poche ore settimanali, un modo di insegnare in situazioni speciali e con una dedizione che nessuno stipendio potrà mai ripagare».Enrica   Per fortuna, ormai non sono solo i teorici del volontariato ad affermarlo, ma anche sociologi di fama mondiale e persino economisti – che è dire quanto di apparentemente più lontano ci sia da relazioni di tipo gratuito – hanno preso consapevolezza che ognuno di noi non può fare a meno di fare qualcosa senza nessun tornaconto economico. O perlomeno che quello in monete sonanti o bigliettoni fruscianti non è l’unico tornaconto di cui può vivere l’uomo. Non è che ci vuole molto a capirlo: basta osservare i rapporti tra due persone che si vogliono bene o tra figli e genitori.   Gesù nel Vangelo, poi, ha espresso molto bene di che cosa si stia parlando. È sufficiente rileggersi la parabola del buon samaritano (Lc 10,25-37), dove paradossalmente il volontariato, da Gesù declinato come «prendersi cura», non fa bene solo a chi ne ha bisogno, ma a colui che lo compie! E già che siamo qui, cogliamo anche un’insinuazione tra le righe: il samaritano non è un professionista del volontariato, né se ne va in cerca di persone da aiutare. Ma quando questo capita, be’, non ci pensa un attimo a cambiare i piani per quella giornata né sta lì ad arrovellarsi se valga o meno la pena, se questa persona lo meriti, se non sia meglio chiamare gli altri, se magari un’altra volta ma oggi ho proprio fretta ecc... ecc.   Mi associo alla signora Enrica nell’esortare tutti a regalarsi un’esperienza di volontariato (quest’anno a pagina 14 del nostro mensile c’è sempre un racconto o una riflessione su questi temi), secondo i tempi, le modalità e le capacità che ognuno si riconosce: i bisogni sono tanti, basta guardarsi un po’ in giro, perciò tutti siamo benvenuti! Ma con Gesù, e tanti studiosi impegnati in questi ambiti, aggiungo che non è però una faccenda per soli perditempo o sfaccendati che non hanno altro da fare per trascorrere le giornate. È, o deve tendere a essere, un vero stile di vita. Non sono volontario «a ore»: lo sono particolarmente quando dono un po’ di me e del mio tempo accanto a qualcuno che ne ha variamente bisogno. Ma poi lo sono sempre, lo si deve vedere dalle mie scelte quotidiane, dal modo con cui mi relaziono agli altri e alla storia, lontana o vicina, in cui sono immerso. Per un cristiano, infine, è questione di vita o di morte (a dire il vero, più quest’ultima possibilità che la prima, visto che non c’è amore più grande di chi dà la vita per gli altri…)!   Sant’Antonio, proprio commentando il brano del buon samaritano, scrive: «Amore è detto in latino dilectio, perché lega tra loro due persone (in lat. duos ligat)». E conclude pregando: «Ti preghiamo dunque, Signore Gesù, che tu ci leghi con l’amore verso di te e verso il prossimo in modo tale, da riuscire ad amarti… e ad amare poi il prossimo come noi stessi» (Domenica XIII dopo Pentecoste).

Immagine in home page: Sofia Wrangsjö/www.contrasto.it  Lettere al Direttore, scrivere a: redazione@santantonio.org

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017
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