La Compagnia Teatro Minimo porta in scena sant'Antonio

Intervista a Umberto Zanoletti, fondatore della Compagnia Teatro Minimo, che il 17 giugno presenterà in prima nazionale a Camposampiero (PD) Troppa Grazia, spettacolo su Antonio di Padova.
15 Giugno 2016 | di

Il grande Eduardo una volta ebbe a dire che «il teatro non è altro che il disperato sforzo dell’uomo di dare un senso alla vita». E assistendo a uno spettacolo di Teatro Minimo ci si rende conto di quanto questa, che sembra una boutade a effetto, sia invece una verità. Per capirlo basta, per esempio, farsi spettatori, per una sera, dinanzi a tre uomini su un palcoscenico spoglio, ricoperto solo di foglie secche. Tre lunghi bastoni di legno in mano e un’intera esistenza che prende forma e si racconta nella sua essenzialità. È Francesco di terra e di vento, pièce su Francesco d’Assisi portata in scena da Teatro Minimo (forse il più noto tra gli spettacoli messi in scena dalla Compagnia), che, c’è da scommetterci, piacerebbe anche all’assisiate tanto è priva di elementi superflui e proprio per questo capace di andare al cuore delle cose.

Ora Teatro Minimo, la Compagnia bergamasca fondata nel 1994 da Umberto Zanoletti, è alle prese con una nuova prova: portare sulle scene la vicenda umana di Antonio di Padova. Una vera e propria sfida, vista la complessità del personaggio. La prima nazionale si tiene a Camposampiero, nella cintura patavina, presso la Casa di spiritualità dei Santuari Antoniani, il prossimo 17 giugno, all’interno delle manifestazioni per il Giugno Antoniano e inserita nella rassegna «La speranza oltre la crisi». Di questo, e di molto altro, abbiamo parlato con Umberto Zanoletti, fondatore e regista di Teatro Minimo.

Msa. Teatro Minimo: qual è il segreto racchiuso in questo nome?Zanoletti. L’essenzialità. Ci piace partire dall’essenziale del teatro per poi giungere a raccontare delle storie utilizzando solo gli elementi necessari ridotti davvero al minimo. Solitamente nei nostri spettacoli non ci sono grandi effetti luce o macchine sceniche che intervengono a sorprendere gli spettatori. Non perché riteniamo che siano inutili, ma perché ci piace valorizzare la capacità narrativa dell’attore, l’utilizzo del suo corpo, pochi elementi scenici. Personalmente credo che questi fattori siano sufficienti per fare del buon teatro. Poi, oltre all’attore, serve ovviamente anche lo spettatore.

Ma nei vostri spettacoli, dove tutto è ridotto così all’essenziale, qual è il ruolo del pubblico? Il pubblico è sempre al centro in teatro. E da noi, se possibile, lo è ancora di più. Perché per fare teatro è necessario che ci sia almeno uno spettatore, altrimenti non è teatro, è qualcos’altro, è ricerca personale, ricerca di compagnia… Nel nostro caso anche la ricerca personale è sempre finalizzata a una condivisione con il pubblico. Abbiamo voglia di raccontare delle storie che possano arrivare davvero a chi viene ad assistere ai nostri spettacoli, così che ci possa essere un vero passaggio di comunicazione e quindi una condivisione. Non ci interessa un teatro «intellettualoide» o eccessivamente di ricerca… Non vogliamo utilizzare immagini che il pubblico può solamente intuire. Noi vogliamo raccontare storie chiare, facili, semplici, per il pubblico, dove la possibilità di fruizione sia reale. Non vogliamo raccontare storie che nascono nelle nostre teste per poi essere lì conservate gelosamente. Vogliamo condividerle e vogliamo che il pubblico le capisca. Poi, ovviamente, come il pubblico elabora le nostre proposte non possiamo determinarlo.

Facciamo un passo indietro. Ci presenta Teatro Minimo? Ho creato Teatro Minimo nel 1994, anche se solo dal 1997 ho iniziato a collaborare con attori professionisti. Mi sono appassionato di linguaggio teatrale, come molti, all’oratorio, in una piccola Compagnia amatoriale condotta da mio fratello e nella quale io ero entrato inizialmente come tecnico. Ma con il tempo il palcoscenico mi ha conquistato al punto tale da indurmi a diplomarmi in regìa teatrale alla Scuola di specializzazione in Comunicazioni sociali dell’università Cattolica di Milano. Il percorso di studi, quindi, mi ha portato ad approfondire anche teoricamente la regìa teatrale e la drammaturgia, la scrittura per il teatro. Così ho deciso di intraprendere un mio percorso e ho iniziato anche a scrivere degli spettacoli. Ancora adesso Teatro Minimo porta in scena i miei testi. Della compagna fanno parte dodici persone tra attori e musicisti. Non tutti entrano sempre in ogni produzione, dipende dalla caratteristica dell’attore e dall’utilizzo o meno della musica dal vivo.

E il repertorio? È un repertorio molto vario, anche se c’è una costante: i temi legati al sacro. Lavoriamo soprattutto su figure di santi piuttosto che su episodi o personaggi biblici. In alcuni casi gli spettacoli sono nati da una nostra ispirazione, in altri ci vengono commissionati, come nel caso di sant’Antonio.

C’è un motivo particolare per questo interesse verso il sacro? Sicuramente una mia personale sensibilità. Poi, indubbiamente, la ricchezza delle Scritture, che contengono già tutte le storie che potrebbero essere raccontate. Storie che hanno una forte dimensione di quotidianità, quindi facili da attualizzare e da comprendere.

E che forse spingono anche gli spettatori all’introspezione… Sì, credo di sì. Stimolano indubbiamente una partecipazione emotiva. E le persone, spinte in tal senso anche dalla musica – che permette a chiunque di «sentire» le parole in modo differente – penetrano più in profondità nel testo sacro rispetto a quanto avviene con una normale lettura. È bello quando, alla fine di uno spettacolo che viene definito di «teatro sacro», la gente ti avvicina e ti dice: «Io faccio fatica ad andare in Chiesa, però quello che avete raccontato questa sera mi ha lasciato qualcosa dentro». È emozionante anche per noi. È una grande soddisfazione che va oltre l’applauso e che ci fa capire che siamo riusciti a trasmettere davvero qualcosa di noi e della storia che abbiamo raccontato.

Il 17 giugno siete a Camposampiero, un luogo molto caro alla devozione antoniana, con lo spettacolo Troppa grazia! dedicato a sant’Antonio. Chi è il «vostro» Antonio? È un Antonio molto vicino a noi, narrato con un taglio laico, come si evince sin dal punto di vista da cui lo affrontiamo: dalla piazza, non dall’interno della Basilica. Mentre a raccontare Francesco d’Assisi erano i suoi contemporanei, a dire di Antonio sono due personaggi di oggi: un musicista e un venditore abusivo di immaginette. Quest’ultimo, in particolare, è caratterizzato da un atteggiamento molto scettico nei confronti del Santo; non capisce perché i pellegrini accorrano in massa da Antonio, anzi, ironizza su quello che vede. In realtà, l’incontro con il musicista e con i tanti devoti che vengono in Basilica farà nascere in lui tante domande… Ma non voglio svelare la trama. L’idea, che sottende a tutto lo spettacolo, è che sant’Antonio – come altri santi, forse come tutti i santi – ha il recondito mandato di aiutarci ad avviare un vero percorso di conversione. Le vite dei santi sono come strumenti che ci vengono proposti perché la nostra fede maturi e cresca. Noi raccontiamo sant’Antonio anche attraverso la narrazione dei suoi miracoli, ma soprattutto attraverso questa sua opera di attirare a conversione tanti uomini e donne anche del nostro tempo.

Quanti attori ci saranno in scena? Solo due: Bruno Nataloni che sarà Aristide, il venditore di immaginette, e Francesco Maffeis, Marek, il fisarmonicista che viene da lontano.

La prima nazionale, come abbiamo visto, si terrà a Camposampiero e in prossimità della festa di sant’Antonio. Sì, è una data importante per noi, ci dà una grande emozione e, al contempo, ci stimola e ci incita a partire bene. Contiamo anche sulla mano di sant’Antonio, che ci ispiri e continui a ispirarci opere come questa.

Progetti futuri? Ce ne sono molti, però li stiamo valutando. A me piacerebbe lavorare sulla figura di Zaccheo, oppure su san Giuseppe, che è emblema del padre, una figura un po’ in crisi nella nostra società. Eppure  credo che san Giuseppe ci potrebbe aiutare a riproporre un’immagine di padre interessante anche per i nostri giorni. Dopo l’estate ci impegneremo sui nuovi progetti e questo potrebbe essere uno di quelli da sviluppare proprio per la prossima stagione.

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017
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