La battaglia di Mosul

Lo scorso marzo è scattata da parte delle truppe filo-irachene una controffensiva per strappare l’antica Ninive dalle mani delle milizie del Daesh. Non senza enormi perdite per una terra segnata da profonde cicatrici e da un futuro incerto.
06 Aprile 2017 | di

Al-Hurriya. Libertà. Il nome del ponte sul Tigri che divide Mosul suona perentorio come un diritto e amaro come una supplica. Un grido che si emette o si ascolta, ma che non si ignora. Oggi, 6 marzo, l’esercito iracheno ha appena conquistato Al-Hurriya aprendosi un varco per avanzare verso il centro e la città vecchia. Il ponte è il secondo, in una settimana, a passare nelle mani irachene. Una vittoria cruciale per il controllo dell’area tra la Medina e i quartieri meridionali. Sono cinque i ponti sul fiume che taglia Mosul in due parti. Obiettivi, tutti, di continui bombardamenti iracheni o della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. A gennaio le imboccature orientali sono state riconquistate, dopo tre mesi di battaglia. L’Isis fino a poche settimane fa controllava quelle sulla sponda occidentale, pesantemente minata e sotto il tiro costante e instancabile dei cecchini. L’esercito iracheno è avanzato ancora a Mosul Est e ha preso il quartiere vicino al fiume Tigri della Grande Moschea, dove il 29 giugno 2014 Abu Bakr al-Baghadi proclamò la rinascita del Califfato. Un affronto che la jihad incassa, non senza reazioni, arroccandosi più a ovest. A questo punto circa il 90 per cento della parte orientale della città è stato liberato.

Ma per chi continua a pagare, il prezzo si fa salatissimo. Nella zona delle rovine di Ninive e nello spicchio più a nord di Mosul est le milizie del Daesh scaricano rabbia e ferocia sulla popolazione, martoriando chiunque sia sospettabile di collaborazionismo. Bambini inclusi. E no, per la pietà non c’è spazio. Bimbi falciati a colpi di arma da fuoco sono i tristi protagonisti delle denunce dell’instancabile Ravina Shamdasani, portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani. «Il piccolo stava correndo in direzione delle forze di sicurezza irachene nel sobborgo orientale di Adan e l’hanno crivellato di colpi» è uno dei report. «Nella stessa area dodici abitanti sono stati uccisi per rappresaglia per essersi rifiutati di far lanciare razzi dai tetti delle loro case». «Ventisette residenti sono stati passati per le armi nel quartiere settentrionale di al-Muhandisen: tutti accusati di spionaggio e collaborazionismo». Le notizie si rincorrono, ma l’eco sembra sorda. 

I jihadisti fortificati a ovest del fiume preparano l’ultima resistenza. L’intelligence irachena ritiene che Al-Baghdadi sia ancora in città e abbia scarsissime possibilità di sfuggire all’assedio. Tutte le principali vie di fuga verso la Siria sono state tagliate. Il generale Raed Shaker Jawdat, comandante delle forze della polizia federale, annuncia intanto che le truppe di Baghdad sono penetrate nelle ultime ore in altri tre quartieri di Mosul ovest: Dawasa, Dendan e Nabi Shit. Sono arrivate praticamente a «circondare» la zona dove sorgono i principali edifici governativi, ancora nelle mani dell’Isis. Intanto squadre del ministero dei Migranti e sfollati hanno detto che è salito a 70 mila il numero dei civili finora fuggiti dai combattimenti in corso a Mosul ovest dal 19 febbraio.

Armi chimiche

Yasser Hamid Nadm ha appena 11 anni. Ricoverato a Mosul in un letto sudato, senza il conforto di medicinali sta strappando con le unghie il suo diritto a non morire. È arrivato in ospedale il 1° marzo con gravi sintomi di esposizione ad armi chimiche: vomito, tosse, vesciche, arrossamento degli occhi, intossicazione. Lo stesso giorno dodici persone, tra cui donne e bambini, sono stati ricoverati con gli stessi sintomi. Non è certo un caso. La denuncia arriva dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), che ha attivato con le autorità sanitarie locali «un piano di emergenza per trattare in modo sicuro uomini, donne e bambini che possono essere esposti a sostanze chimiche altamente tossiche», ha detto l’agenzia delle Nazioni Unite in un comunicato. I dodici pazienti sono stati ricoverati dal 1° marzo per essere sottoposti a terapie dopo l’esposizione ad agenti chimici che hanno subìto a Erbil, la capitale della regione curda dell’Iraq, a est di Mosul. Alcuni mostrano «gravi sintomi associati con l’esposizione a sostanze tossiche» nella parte orientale di Mosul.

Il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) ha riportato che cinque bambini e due donne stanno ricevendo il trattamento per esposizione ad agenti chimici, ma non ha precisato quale parte ha utilizzato le armi che hanno provocato l’intossicazione. Il coordinatore delle Nazioni Unite in Iraq, Lise Grande, ha chiesto che venga aperta un’indagine. «Questa situazione è orribile. Se si conferma l’utilizzo di armi chimiche, si tratta di una grave violazione del diritto internazionale umanitario e di un crimine di guerra, a prescindere da quali siano gli obiettivi» ha detto il responsabile ONU in Iraq. È poco probabile, se la storia insegna davvero qualcosa, che chi ha violato le regole internazionali possa venire giudicato, meno che mai punito, in questo angolo di mondo in cui parlare di diritto è un triste nonsense.

I leoncini del Califfato

«Più arretra Daesh in ambito territoriale, più aumenta il fenomeno dei bambini usati come soldato o come kamikaze. È un dato riscontrabile con la storia recente». Così Andrea Iacomini, portavoce di UNICEF Italia, ha commentato la relazione annuale dell’intelligence da cui emerge che un elemento chiave della strategia del Califfato è puntare sui più piccoli per indottrinarli, addestrarli e poi mandarli a combattere: sono i cosiddetti «leoncini del Califfato» o «cuccioli del Califfato». «Questi bambini – ha affermato Iacomini – durante l’addestramento vengono utilizzati per qualsiasi scopo dalle milizie del Daesh. Sicuramente bambini, ma anche bambine, vengono indottrinati e utilizzati come autobombe, addestrati all’uso di armi da fuoco e da guerra. Vengono impiegati anche come cuochi, come messaggeri, come spie e poi sistematicamente subiscono abusi» sottolinea Iacomini, a giudizio del quale c’è un esercito di minori coinvolti nei conflitti armati che «va liberato».

Il fenomeno inoltre va guardato – d’accordo con gli 007 – come minaccia di lungo periodo. «Un bambino indottrinato è un rischio enorme per chiunque, perché sarà un adulto in grado di compiere delle gesta negative. Questi bambini arruolati dall’Isis, spesso sotto effetto di droghe e sotto pressione, sono fatti esplo­dere nei contesti più disparati. Guardiamo – osserva Iacomini – quello che sta accadendo a Mosul, specie nella parte ovest, dove le forze irachene stanno avanzando: rispetto a novembre, quando erano stati calcolati trentadue bambini kamikaze, c’è stato un aumento esponenziale di minori utilizzati per questi scopi. Un fatto assai preoccupante». Secondo l’UNICEF, a livello globale sono oltre 250 mila i bambini soldato, un numero assolutamente relativo, la punta dell’iceberg di un fenomeno molto, molto più ampio.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017

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