26 Febbraio 2017

Il mistero del gregoriano

Terra inesplorata abitata da gente sorprendente è il canto gregoriano. Un linguaggio di corpi immobili, eppure in movimento. Passione che all’unisono, come le voci, dà parola al divino.

Il mistero del gregoriano

Non riconosco i segni scritti sulla lavagna alle spalle di Riccardo.
Sorrido nel vedere la sua camicia di sudore, segno della passione, della fatica, dell’impegno, dell’afa di quei giorni. Questo è un universo per me sconosciuto. Una terra inesplorata: il mistero del gregoriano. I neumi sono davvero dei «segni». Ma sono anche dei «soffi». Una «celeste grammatica», leggo e di colpo la mia proverbiale distrazione se ne va.

Mi guardo attorno: nell’aula di fronte alla cattedra ci sono professoresse, scienziati, medici, cattolici praticanti, agnostici con il cuore colmo di passione, musicofili e ragazzi post-punk, frati e cultori dell’enigmistica. Il canto gregoriano non è una storia da oscure sagrestie. Sì, terra inesplorata, abitata da gente sorprendente. Alla fine della lezione, azzardano un canto. Voci all’unisono. Si avverte il respiro. È un linguaggio di corpi immobili, eppure in movimento. Non ci sono strumenti, quasi non me ne accorgo. Canto monodico. Mi smarrisco nei gesti di chi dirige, ne guardo l’ondeggiare delle braccia, il reclinare della schiena, le dita che seguono linee che io non vedo.

Sono ipnotizzato dai suoni che escono dalle bocche. Continuo a non capire. È sillabazione del latino. Sono canti immutabili: l’Antifonario, l’Ordinarium Missae, il Graduale, cantato sui gradini della tribuna attorno all’altare. Le parole danno il ritmo. È qualcosa che arriva da un medioevo troppo lontano. Lode a qualcuno avvolto dal mistero della fede.
Leggo ancora: una colomba suggerì le parole di questi canti all’orecchio di Gregorio Magno. Canto divino, dunque. C’era un teologo, a occhio un tipo intransigente, san Isidoro di Siviglia, che sosteneva che «la musica non si poteva scrivere». Andava imparata a memoria. Ma poi sorsero scuole scrittorie, scuole monastiche di scrivani infaticabili. Ognuna adottò un proprio sistema. Eppure, fra loro, si riconobbero: erano affini, si ritrovavano di continuo. Si capivano. Quello che non riesce me. Io ho solo una macchina fotografica stonata.

Leggo di baruffe dottrinali e teologiche, scontri fra tradizionalisti e modernisti attorno al suono del gregoriano. Ma poi seguo gli allievi di questi corsi di gregoriano fino a San Giorgio a Venezia. Un frate di Assisi prende la guida del coro. E avverto nei cantori (e in me) solo felicità.

A proposito: Riccardo Zoja insegna medicina legale all’Università Cattolica di Milano. La foto è stata scattata durante i corsi dell’Associazione Internazionale Studi di Canto Gregoriano l’anno in cui si svolsero a Venezia.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017
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