I dinosauri e la nostra preistoria

Anche noi abbiamo una preistoria: il periodo in cui eravamo nel ventrematerno e gli anni immediatamente successivi alla nascita.
24 Febbraio 2010 | di

«Per gli esseri umani è impossibile comprendere appieno se stessi o la propria lunga storia preumana senza saper qualcosa del processo o, meglio, dei processi che hanno portato la nostra straordinaria specie a diventare quello che è». Così inizia il libro di Ian Tattersall, Il mondo prima della storia (Cortina, 2009), in cui l’autore ricostruisce questo percorso partendo da 6,5-4,4 milioni di anni fa per arrivare al 4000 a.C.
Intuiamo la straordinaria importanza di questo lunghissimo periodo in cui siamo diventati quello che siamo, ma ne sappiamo davvero poco. La nostra attenzione è richiamata soprattutto dai millenni di cui abbiamo documentazione, dai secoli a noi più vicini e dagli anni che stiamo vivendo. La cronaca la fa da padrona sulla storia e l’una e l’altra oscurano i milioni di anni della preistoria.
Discendiamo da centomila generazioni di cacciatori-raccoglitori, cinquecento di agricoltori e poco più di dieci generazioni dell’età industriale, un’inezia rispetto ai milioni d’anni di evoluzione.

Psicologicamente e fisicamente noi ci siamo evoluti soprattutto durante l’età della pietra. Scrive l’etologo Eibl-Eibesfeldt: «Negli ultimi ventimila anni, noi non abbiamo sostanzialmente modificato la nostra conformazione fisica e il nostro comportamento; persone con la stessa struttura motivazionale e la stessa capacità intellettiva di un cacciatore-raccoglitore del Paleolitico superiore pilotano oggi i caccia a reazione!?».
Le osservazioni degli studiosi sembrano in contrasto con l’idea diffusa che tra noi e i nostri più lontani progenitori non ci sia che una lontanissima e vaga parentela. Sembra quasi che ciò di cui non abbiamo sufficiente documentazione non esista o almeno abbia molto meno importanza di ciò che è documentato o, meglio ancora, fa parte della nostra esperienza di vita.


Le nostre origini

Qualcosa del genere avviene quando pensiamo al nostro sviluppo individuale. Anche noi abbiamo una preistoria: il periodo in cui eravamo nel ventre materno e gli anni immediatamente successivi alla nascita. Anche per noi è difficile risalire alle origini: quando parliamo della nostra preistoria individuale ci basiamo su reperti, oggetti, qualche fotografia e altri frammenti che ricomponiamo con dubbia attendibilità, influenzati dal racconto che altri fanno dei nostri primi anni e delle storie che noi stessi costruiamo a partire dai nostri desideri, bisogni, fantasie consolatorie o autopunitive.

In realtà sono gli altri, i genitori, gli anziani che parlano per noi raccontandoci quello che essi ricordano della nostra prima infanzia. Anche la loro memoria è però ingannevole per effetto del tempo trascorso e del vaglio, cosciente o inconsapevole, che filtra, seleziona e riorganizza i ricordi. Eppure tutti gli studiosi dello sviluppo infantile concordano nel ritenere i primi anni di vita fondamentali per lo sviluppo neuro-psico-motorio e affettivo dell’individuo. Di quanto è avvenuto nella parte a noi quasi ignota del nostro sviluppo, qualcosa di «tangibile» è rimasto ancora oggi e la sua ricostruzione contribuisce a spiegare in parte perché siamo come siamo e quali sono le modalità con cui facciamo fronte alle vicende della vita.

La maggior parte dei nostri ricordi è di origine non cognitiva e preverbale, ma sono le esperienze della prima infanzia che creano le fondamenta organizzative dei sistemi neurali utilizzati nel corso dell’intera vita.

I miei primissimi anni di vita li ho trascorsi nella mia città natale, Tripoli, dove sono tornato per due brevissimi periodi da adolescente e da adulto, molti anni fa. La «bella Tripoli» della mia nostalgia non ha alcun riscontro plausibile in una realtà che non conosco più e da cui mi separa tanto tempo e tanta vita. Il lungo e sotterraneo lavorìo della memoria ha creato in me la convinzione che da qualche parte, in Libia o soltanto nella mia anima, esista una «bella Tripoli». So bene che sono nato in una terra occupata, in condizioni di privilegio se confrontate con quelle dei libici che a quel tempo vivevano in situazioni di povertà e di asservimento. E mi chiedo: un libico mio coetaneo ricorda la città della sua infanzia come me?
Fino a quattro anni ho visto Tripoli con gli occhi della mia infanzia. E l’immagine di bellezza che è rimasta impressa nella preistoria della mia vita risente del modo attraverso il quale un bambino molto piccolo conosce il mondo: attraverso i sensi e le emozioni.
L’ingannevole memoria, sostiene lo scrittore Patrick McGrath, «non costituisce solo il passato di una persona, ma ne costituisce l’identità stessa», identità che non può quindi non risentire delle modalità con cui registriamo, manipoliamo, sopprimiamo i nostri ricordi.


SCAFFALE

Paola Capriolo è nota come traduttrice, soprattutto

dal tedesco, e come scrittrice di romanzi; meno conosciuta, invece, come autrice per ragazzi, ma non per questo meno brava. Ne abbiamo la prova leggendo l’emblematica storia di Rosa Parks pubblicata da Edizioni EL (in libreria da metà marzo). Nel 1955 negli Stati Uniti questa donna di colore si rifiutò di cedere il suo posto a sedere sull’autobus a un bianco. Venne arrestata e la comunità nera, guidata dal reverendo Martin Luther King, insorse e organizzò il boicottaggio dei mezzi pubblici. Rosa pagò un prezzo alto per aver affermato la sua dignità, ma nel 1964 i diritti civili degli afroamericani furono finalmente riconosciuti. Sembra una storia lontana oggi che uno di loro è addirittura presidente degli Stati Uniti.

Paola Capriolo, NO, Edizioni EL, € 9,50.

L. P.

www.libreriadelsanto.it

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017