Genitori digitali

L’avvento delle nuove tecnologie sta cambiando profondamente anche il ruolo dei genitori. Come si fa a essere padri e madri efficaci nell’era digitale? Ne parliamo con tre esperti diversissimi per estrazione, convinzioni e background.
26 Settembre 2014 | di

L’omino del gioco ha una cinquantina d’anni. Calvo, tarchiato, un gilet di pelle nera. Potrebbe essere il padre del quattordicenne che lo sta guidando dalla consolle della playstation. A occhio e croce abita in una zona semidesertica degli Stati Uniti. La sua eccezionale moto, scelta tra mille, mangia la polvere su strade senza fine. Intorno cactus e villaggi di case basse.  L’omino è un balordo, vive di espedienti, ha il linguaggio sguaiato del forte bevitore. Ha una missione più o meno lecita. Nel frattempo entra nel negozio di un tatuatore e il quattordicenne gli misura su braccio e spalle ogni sorta di soggetto: se ne esce con una donnina sul bicipite e un cespuglio di rose sull’avambraccio. L’intermezzo non gli impedisce di arrivare in un piccolo aeroporto nel deserto, dove un velivolo rosso fiammante l’aspetta in pista. Il quattordicenne vi entra con il suo avatar balordo. La gara di volo lascia senza fiato e con un sottile senso di nausea, come fosse un’esercitazione reale. Difficile trattenere la meraviglia, che però viene smorzata da un dubbio inquietante: quanti altri «sublimi» esperimenti può fare questo omino?

L’avrete capito, siamo nel cuore di un videogioco. Il quattordicenne ai comandi non muove un muscolo, lo sguardo fisso, ha un controllo pazzesco. Se studiasse con altrettanta passione sarebbe Einstein. Ma dove sta volando davvero? Sul fondo, un pensiero scomodo: quell’adulto che sta guidando a suo piacere ha il retrogusto tragicomico di una genitorialità allo sbando. Come si fa a essere padri e madri efficaci nell’era digitale? Ne parliamo con tre esperti diversissimi per estrazione, convinzioni e background. Perché anche, e soprattutto, nell’era digitale genitori si diventa.
 

AVVISO AI NAVIGANTI

Le modalità di conoscenza, gioco e relazione degli adolescenti di oggi sono cambiate più negli ultimi quindici anni che nei precedenti 570 in cui ha dominato la stampa. Ecco i motivi per cui oggi fare i genitori è al contempo più difficile ma anche più appassionante.
 
Siamo all’inizio di una nuova era che meraviglia e inquieta il mondo adulto in generale e i genitori in particolare. L’era di internet e delle nuove tecnologie. Non c’è campo della vita umana – studio, lavoro, acquisti, conoscenza, servizi, relazioni, tempo libero – che non sia stato toccato dalle nuove tecnologie. Il più delle volte positivamente, altre volte destando comprensibili preoccupazioni e dubbi. È chiaro che anche l’educazione e il modo di stare accanto ai propri figli ne sono pienamente investiti. Eppure molti si ostinano a credere, forse più per consolazione che per reale convincimento, che le nuove tecnologie siano solo un mezzo: dipende da come si usano. In realtà, come diceva il grande sociologo canadese Marshall McLuhan (1911-1980), «il mezzo è il messaggio». Il mezzo, cioè, non è mai neutro ma produce cambiamenti nella realtà e nelle menti umane, cambiamenti con cui bisogna fare i conti. Se poi il mezzo sono internet e, più in generale, le nuove tecnologie, siamo di fronte a una svolta epocale, dalle dimensioni mai viste nella storia dell’umanità. Secondo Jay Giedd, psichiatra e ricercatore, le modalità di conoscenza, gioco e relazione degli adolescenti di oggi sono cambiate più negli ultimi 15 anni che nei precedenti 570 in cui ha dominato la stampa.

Un ragazzino di oggi ha virtualmente in mano, attraverso il suo cellulare, una quantità di apparati tale che un tempo ci avresti riempito un bagagliaio: dal telefono alla videocamera, da un computer connesso a internet a un sistema per entrare in contatto e condividere contenuti con gli amici e con il mondo intero, dalla fotocamera alla televisione, dalla radio all’Mp3 per ascoltare musica, dalla playstation al navigatore satellitare, ma anche alla bussola, alla stazione meteo, al contapassi, al traduttore simultaneo e chi più ne ha più ne metta. Con la stessa facilità può mandare un video appena registrato all’altro capo del mondo, acquistare on line il biglietto dell’autobus, ripescare in tempo reale la formula matematica dimenticata, rimanere costantemente in contatto con gli amici. Ciò significa che il mondo in cui vivono i nostri ragazzi è molto diverso da quello della nostra giovinezza e che il prossimo futuro sarà diverso dall’oggi, perché le tecnologie cambiano a un ritmo sempre più accelerato. Per imporsi a 50 milioni di persone nel mondo, la radio ci ha messo 38 anni, il telefono 20, la televisione 13, il web 4, Facebook 3,6, Twitter 3, l’iPad 2 e Google 88 giorni. «Più che una rivoluzione è uno tsunami digitale – afferma Barbara Volpi, psicologa, psicoterapeuta, ha un dottorato di ricerca in Psicologia clinica dinamica alla Sapienza di Roma – i cui effetti s’iniziano a vedere solo adesso».

Un cambiamento enorme soprattutto per gli adulti di oggi, gli ultimi testimoni di due mondi, quello pre e quello post digitale, perché i giovani in questo brodo di coltura ci sono nati e per loro è la normalità. «Fino a pochi anni fa – spiega Marc Prensky, educatore e innovatore nel campo dell’apprendimento – i cambiamenti nelle nostre vite erano relativamente pochi e graduali: riuscivamo a padroneggiare il contesto. Oggi, invece, i cambiamenti sono tanti e tali da mettere in crisi le nostre sicurezze, ma anche ciò che un tempo era considerato utile o saggio».
 
Lo tsunami educativo
Tutto questo, rapportato al campo della genitorialità, diventa uno tsunami educativo: il genitore di oggi non ha più i punti di riferimento tradizionali, deve reinventare il suo ruolo e per la prima volta nella storia dell’umanità conosce meno dei propri figli il contesto in cui dovrebbe orientare la propria azione educativa. Un bel grattacapo, ma anche una bella sfida.
La doppia faccia delle nuove tecnologie, che da un lato mandano in soffitta idee, abitudini, modalità, con velocità mai vista e dall’altro schiudono potenzialità impensabili fino a pochi anni prima, ha diviso gli adulti in vari gruppi che hanno agli apici due estremi: quelli che le subiscono con il minor coinvolgimento possibile e quelli letteralmente stregati da esse, più coinvolti e all’avanguardia dei loro ragazzi. Da un lato la paura di perdere il proprio mondo dall’altra l’esaltazione, a volte fuori dalle righe, per ogni novità tecnologica. Un’evidenza che ha fatto saltare un’ormai classica divisione, introdotta una decina di anni fa proprio dallo stesso Marc Prensky, quella tra nativi digitali e immigrati digitali. Gli steccati nel tempo si sono indeboliti: ci sono nativi digitali inconsapevoli delle potenzialità del web e vecchie volpi che padroneggiano benissimo l’on line.

A questo punto della storia, in cui le nuove tecnologie sono parte integrante della nostra vita, ciò che importa davvero non sono più le definizioni, ma il senso stesso di questa rivoluzione digitale: che tipo di società, noi tutti, giovani e adulti, stiamo diventando? Come fare in modo che le nuove tecnologie aumentino le potenzialità umane? Queste domande hanno molto a che fare con quello che oggi stiamo insegnando ai nostri figli.
 

ZOOM
Internet che meraviglia!
 
Uno dei modi più efficaci per aiutare i ragazzi a trarre il meglio dalle nuove tecnologie è quello di conoscere gli indirizzi giusti. Ne è certa Caterina Cangià, docente salesiana, che al tema ha dedicato gran parte del suo ultimo libro: Generazione tech, crescere con i nuovi media (ed. Giunti). Il consiglio vale per i genitori, ma ancor più per gli insegnanti, perché la Rete è una vera miniera di materiali e contenuti. Con un avviso però: «La tecnologia da sola non potenzia l’apprendimento: sono indispensabili una pedagogia e una didattica innovative». Nel viaggio tra le meraviglie del web, partiamo dal libro, supporto ritenuto ormai in via di estinzione. Ebbene in internet ci sono le più grandi biblioteche del mondo.


Un esempio per tutti è scribd.com: ci si iscrive, si cerca e si scarica il libro desiderato e in cambio il sistema chiede di fare, se si vuole, l’upload di un altro testo per arricchire la biblioteca o, in alternativa, con 8,99 dollari al mese si può leggere qualsiasi libro, inclusi gli ultimi usciti. Completamente gratuito è gutenberg.org, focalizzato sui classici mondiali. Per chi, invece che leggendo, preferisce imparare guardando, ci sono migliaia di video educativi in ustream.tv, la maggior parte gratuiti. Per esempio, attraverso questa piattaforma possiamo andare in modalità live alla Stazione spaziale internazionale. Altro aspetto eccezionale della Rete è che mette a disposizione di tutti il fior fiore della cultura e della scienza. Per esempio il Massachusetts Institute of Technology (ocw.mit.edu), uno dei più grandi istituti di ricerca del mondo, ha messo in Rete oltre 1.800 corsi, curati dai migliori professori del Pianeta a costo zero. Che dire dei musei? Per gli appassionati c’è MoOm (Museum of Of Online Museums), il museo dei musei on line. E ora le relazioni. Volete un amico di penna? Consultate epals.com, sito di corrispondenza tra alunni in tutto il mondo.


«È utile far ricorso alla tecnologia – afferma Cangià – per rendere più affascinante il sapere. La scuola, in particolare, deve svecchiarsi approfittando di queste opportunità, continuando tuttavia a essere il luogo dove si gusta la lentezza, l’approfondimento, l’arte maieutica di cercare risposte da sé. E senza mai dimenticare che ciò che davvero i ragazzi chiedono a genitori, insegnanti, educatori è la certezza di star loro a cuore».
 

NUOVI SHERPA DEL WEB

Ora che le tecnologie sono entrate nelle nostre vite e costituiscono la normalità per i ragazzi di oggi, che tipo di azione educativa dovrebbero intraprendere i genitori per minimizzare i pericoli e cogliere tutti i vantaggi dell’era digitale?
 
Capita a molti genitori di avere a un certo punto l’impressione che il proprio figlio adolescente viva in un’altra dimensione. Fisicamente vicino forse, ma con la testa altrove, collegato al mondo, risucchiato dal suo profilo Facebook e dai suoi giochi elettronici, in perenne controllo dei messaggi WhatsApp, in preda a frenetiche cavalcate sui tasti del cellulare. Magari facendo più cose contemporaneamente. Collegato e scollegato al tempo stesso. Ma come sta crescendo? Che cosa prova? Come vede la vita, l’amore, le relazioni, il mondo attraverso l’occhio di internet? Saprà discernere reale e virtuale, capire che cosa è giusto o sbagliato in quella dimensione impalpabile dove tutto è possibile senza i limiti della realtà? Che fare allora? Limitarlo, controllarlo, lasciarlo andare?

«Il primo passo è capire che cosa significano le tecnologie per le nuove generazioni – consiglia Barbara Volpi –. I ragazzi non hanno memoria di un mondo senza internet e per loro è normale, per esempio, entrare in relazione attraverso gli strumenti tecnologici. Anzi, esserne privi significa essere tagliati fuori. Tuttavia non si possono dare in mano a un adolescente mezzi così potenti, senza prendere in considerazione tutte le possibili conseguenze». Conoscenza e attenzione da parte del genitore sono fondamentali anche per Caterina Cangià, docente di Pedagogia e comunicazione sociale e multimedialità e di Processi formativi all’Università Salesiana di Roma: «La prima cosa che dovrebbe fare un genitore per aiutare il figlio a usare bene la tecnologia è mantenere lui stesso per primo un atteggiamento orientato alla realtà e utilizzare la tecnologia quando arricchisce e completa la realtà, non quando la sostituisce. Vedo invece tanti adulti usare la tecnologia a sproposito, essere risucchiati dal suo fascino, trascurando il dialogo e la comunicazione diretta di cui i ragazzi hanno invece estremo bisogno. Ne vedo altri che, per incuria o ignoranza, lasciano i figli in mano alle tecnologie, quasi si trattasse di un nuovo tipo di baby sitter. In un caso e nell’altro viene a mancare il ruolo del genitore che deve invece essere aggiornato, deve saper spiegare i possibili effetti negativi, deve essere sempre disposto al dialogo e nello stesso tempo fermo con il figlio quando vede un pericolo, così come farebbe per un cibo sbagliato. Molti genitori, invece, non conoscono affatto il mondo dei loro figli». Non giova ai genitori, rincara Volpi, il «digital divide», cioè l’eccessiva disparità di conoscenze in campo digitale rispetto ai loro figli.

Di fatto l’ultima Indagine nazionale Telefono Azzurro Eurispes sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza (2012) rivela che per gli adolescenti tra i 12 e i 18 anni solo la metà dei genitori sa navigare bene (13,7 per cento) o abbastanza bene (39,3 per cento) in internet, la restante metà conosce poco o per nulla questa tecnologia. «Il divario – spiega Volpi – dovrebbe essere colmato il più possibile e il modo più semplice per farlo è farsi aiutare proprio dai ragazzi. Per certi versi è un ribaltamento dei ruoli, che è allo stesso tempo un esercizio di umiltà e un grande segno di attenzione. Per i genitori è l’occasione per trasmettere la saggezza e l’esperienza accumulata, utile ai ragazzi per discernere valori e contenuti anche nel mondo virtuale. Una condivisione che è un completamento e un riconoscimento del reciproco valore». Poco lungimirante sarebbe, invece, l’atteggiamento opposto che demonizza l’uso delle tecnologie: «Porterebbe solo all’incomunicabilità e, in definitiva, a una solitudine dei ragazzi nell’uso di questi mezzi, che essi sperimenterebbero altrimenti e senza alcuna guida».
 
Rischi poco virtuali
Non tutti gli esperti leggono i rischi della Rete allo stesso modo. C’è chi crede che le nuove tecnologie causino, o possano in prospettiva causare, un maggior numero di problemi e atteggiamenti devianti e chi invece ritiene che si tratti degli stessi pericoli della vita reale enfatizzati dalle nuove tecnologie. I più citati sono la dipendenza da internet, analoga a quella da sostanze; il cyberbullismo, cioè la violenza di gruppo perpetrata contro una vittima tramite mezzi digitali, e la pedofilia, agevolata in internet dalla possibilità di agire nell’anonimato o con altre identità. In realtà non è ancora chiaro quanti e di che effettiva gravità siano i rischi della Rete. Sta di fatto, però, che essa sta mutando il modo di rapportarsi dei giovani con la realtà e con gli altri, aumentando alcuni rischi prima attenuati dai limiti della vita reale.

Il cambiamento più evidente, almeno secondo la psicologa Barbara Volpi, è che la Rete è diventata l’ambito privilegiato di esperienza e di costruzione dell’identità: «Recentissimi studi – spiega Volpi – hanno dimostrato che la formazione del cervello si completa solo a 28-30 anni. Negli adolescenti, in particolare, non è ancora sviluppata la “corteccia frontale”, che è la parte del cervello deputata al riconoscimento dei pericoli. Così, fragili e poco attrezzati, essi entrano nel mondo virtuale, incontrando tutti e subito gli ambiti classici di sperimentazione del sé, un tempo incontrati per gradi: la relazione, il gioco e il sesso. La Rete, d’altro canto, s’incastra perfettamente con le esigenze dell’adolescenza: offre tutto e subito, soddisfa il narcisismo e il senso di onnipotenza tipico dell’età. Tuttavia, senza esperienza e punti di riferimento non è facile per loro discernere, dare un senso, un valore, un giudizio a ciò che trovano in Rete, con tutti i rischi che ciò può comportare quando si è in una fase evolutiva».

Cresce su questa radice, per esempio, il sexting, lo scambio di foto, video e testi a sfondo sessuale o pornografico, spesso realizzati con il cellulare, che finisce per esporre nella piazza virtuale la sfera più delicata della vita privata di un ragazzo o una ragazza, provocando alla fin fine nell’interessato grande imbarazzo e dolore. Secondo l’indagine di Telefono Azzurro, il 25,9 per cento dei ragazzi ha ricevuto contenuti di questo tipo, ma in realtà il fenomeno è in forte aumento. Conoscere queste dinamiche aiuterebbe i genitori a prendere contromisure: dal dare un’altra visione della sessualità e della privacy a guidare alla comprensione dei danni, fino a fornire i consigli pratici, come quello, per esempio, di non rivelare a nessuno, nemmeno a chi sembra più amico, le proprie password, vere porte di accesso ai dati personali.

Cambiano gli ambiti della sperimentazione ma anche il modo di comunicare. Anzi, per un ragazzo di oggi to be always on, cioè essere perennemente collegato ad amici veri e virtuali, è una cifra fondamentale della propria socialità. «Alla relazione da muretto, da strada, da supermercato – afferma Cangià – si sostituisce quella attraverso un supporto elettronico, che prevede sempre meno il ricorso al faccia a faccia. Ma in questa comunicazione mediata i giovani perdono i “tratti prosodici” cioè tutti quei segni non verbali quali il ritmo, l’intonazione, l’espressione del volto, che permetterebbero loro di comprendere meglio l’interlocutore e di correre ai ripari se si è detto qualcosa che ferisce. In Rete sale il rischio di creare fraintendimenti o di sfiorare il bullismo, proprio perché non si percepiscono più nella loro complessità i sentimenti degli altri e gli effetti di ciò che diciamo e facciamo nel mondo virtuale».

A una quantità di amici crescente nei social media non corrisponde spesso un’abilità relazionale nel mondo reale: «Ci sono ragazzine – spiega Volpi – che postano una loro foto su Facebook e cercano di colmare la fragilità narcisistica tipica dell’età aspettando ansiosamente i “mi piace”, ma poi in un incontro reale non saprebbero che cosa dire». Recenti ricerche, rivela la studiosa, attestano che solo il 2,8 per cento degli «amici» con cui si è collegati sono reali amici e conoscenti. Nell’era dell’iperconnessione s’insinua il tarlo della solitudine, della comunicazione che non comunica, dell’amicizia che condivide solo i link, della sperimentazione di sé che non fa maturare.
 
La prova della realtà
Che cosa manca? Il più vecchio dei componenti, il meno tecnologico forse: la prova della realtà. Secondo Volpi è proprio nella relazione reale che si costruisce tra genitori e figli fin dalla prima infanzia il nocciolo duro dell’identità dei futuri ragazzi e la capacità di andare per il mondo con la convinzione di avere alle spalle un porto sicuro. «Secondo la teoria dell’attaccamento di John Bowlby (psicologo e psicoanalista) una sana relazione tra genitore e figlio è quella in cui il piccolo sa che allontanandosi dal parco, se gli succede qualcosa, il genitore è pronto a soccorrerlo. Oggi non possiamo ignorare i parchi virtuali in cui vanno i nostri figli. La genitorialità digitale, come io la definisco, è proprio riuscire a costruire questa base sicura anche nel mondo di internet».

Ma come farlo concretamente, giorno per giorno? «Innanzitutto – afferma Cangià – educando a una tecnologia a servizio di tutte le meraviglie che possiamo fare nel mondo reale. Ma per ottenere il risultato dobbiamo compiere alcuni passi. Primo: essere consapevoli dell’uso che noi stessi facciamo delle tecnologie; inutile regolarle ai nostri ragazzi se poi noi per primi ne siamo assorbiti: coerenza e dialogo sono fondamentali. Secondo: aggiornarci costantemente sui rischi e le possibilità della Rete, scegliendo testi divulgativi ma scientifici, non una chat qualsiasi. Terzo: fare attività insieme con i propri ragazzi, dal bricolage alla musica, alla vita all’aria aperta. Quarto: spiegare i rischi delle nuove tecnologie e la necessità di avere costantemente 
relazioni faccia a faccia. Quindi ben vengano gli amici rea­li e le esperienze fatte assieme. Quinto: dare il gusto di un dialogo con se stessi silenzioso e interiore, che – per chi crede – potrebbe sfociare nel dialogo con l’Assoluto».

Spesso i problemi nella Rete hanno la solita causa, aggiunge Volpi: «Molti genitori non osservano più i loro figli: è sufficiente che vadano bene a scuola ma non sanno se sono felici, se qualcosa li turba o se hanno un bisogno represso». Nelle tante possibilità della Rete, nel groviglio dei suoi link, manca una narrazione coerente: «Non stancatevi mai di dire ai vostri figli che cosa è importante per voi, quali sono i vostri valori, che cosa è giusto o sbagliato e perché. A costo di fare i grilli parlanti. Ma quella narrazione, costante e coerente, magari mal digerita o ascoltata con sufficienza, sarà la loro impercettibile guida nelle strade del web».
 

Marc Prensky, l’innovatore
È tempo di saggezza digitale

Tra i profeti delle nuove tecnologie, Marc Prensky è di certo tra i più ottimisti. Scrittore, innovatore nel campo educativo, ha girato scuole e università del mondo e ora sprona genitori e insegnanti a non avere paura: «I nostri ragazzi sono molto fortunati, sono nati all’inizio di una nuova era di sviluppo per l’umanità. Come genitori abbiamo il privilegio di accompagnarli nel nuovo mondo. Dobbiamo quindi prendere il meglio di queste tecnologie, per il bene nostro e dei nostri figli». Per Prensky le tecnologie sono potenzialmente un’espansione della nostra mente, una specie di protesi esterna che aumenta le nostre facoltà. Per centrare questo obiettivo, però, è importante raggiungere la saggezza digitale, cioè la capacità di «combinare ciò che gli esseri umani fanno meglio con ciò che le macchine fanno ancora meglio».

Msa. Molti genitori, però, sono preoccupati perché conoscono poco le nuove tecnologie.
Prensky. Pensare che un genitore debba saperne più dei propri figli è un enorme errore. Accompagnarli nel nuovo mondo non significa dar loro gli attrezzi – questi li recuperano da soli – ma piuttosto assumere un’attitudine positiva verso le loro nuove abilità. Effettivamente i giovani rispetto ai loro padri hanno maggiori conoscenze e questa disparità è una situazione del tutto nuova. Tuttavia invece di preoccuparci, meglio sarebbe trarne vantaggio.

Che cos’è la saggezza digitale in campo educativo?
È la capacità di mettere alla prova le proprie idee e le proprie convinzioni alla luce di quanto stanno vivendo i nostri figli, di discernere quante di esse siano ancora valide al giorno d’oggi e quante, invece, appartengano ormai al passato. Faccio un esempio: un adulto oggi potrebbe credere che usare Google a scuola sia ingannevole e che Wikipedia menta (entrambe le affermazioni mi sono state riportate da mio figlio). Ma queste convinzioni non sono più vere o rilevanti in questa età.

Lei è molto ottimista. Ma le tecnologie non sono facili da controllare, specie per un adolescente che per sua natura sceglie solo ciò che è più semplice e divertente, tralasciando magari cose meno esaltanti ma altrettanto importanti per la sua crescita.
Se «la via che è più semplice» porta agli stessi risultati, solo un masochista preferirebbe quella più difficile. I nostri ragazzi non sono pigri. Ciò che noi dobbiamo fare è comunicare loro i migliori obiettivi e lasciare che loro li raggiungano usando i mezzi del loro tempo.

Se le tecnologie diventeranno un’estensione della nostra mente, non c’è il rischio di diventare più passivi, specie per i giovani?
Io credo esattamente l’opposto. I giovani oggi sono attivi, non sono i passivi telespettatori della generazione televisiva. Pensiamo a quanto velocemente stanno apprendendo le nuove tecnologie, dribblando da Facebook a YouTube, a Twitter, a Instagram eccetera. Consideriamo il movimento dei Maker che sta creando cose nuove con le stampanti 3D. I ragazzi di oggi sono creativi e hanno a disposizione i mezzi più potenti che l’umanità abbia mai avuto. Noi adulti dobbiamo aiutarli a far sì che li utilizzino per lo sviluppo loro e del mondo intero. E invece spesso succede il contrario: molti adulti per paura o poca conoscenza, spingono i ragazzi nel passato.

Ma cosa trattenere nella nostra mente e cosa affidare alle macchine? Non rischiamo di rimanere in panne, visto che nessuno può assicurarci una «connessione continua»?
La connessione continua non è ancora disponibile ma sta arrivando. Nessuno di noi tiene un cavallo in garage nell’ipotesi che la tecnologia dell’auto possa lasciarci in panne, semmai abbiamo inventato mezzi per ripristinare al più presto quella tecnologia. La connessione sta diventando vitale per lo sviluppo intellettuale e sociale ma anche spirituale del pianeta. Essere sconnessi non è più cosa saggia.

Molti genitori temono che internet stia rendendo le relazioni umane più superficiali e virtuali.
Chiunque abbia scritto o ricevuto una lettera emozionante dovrebbe sapere che non occorre essere faccia a faccia per comunicare in profondità. Io credo che le relazioni umane non stiano collassando, ma piuttosto cambiando.

Un’altra grande preoccupazione è la dipendenza da internet.
Non confondiamo la passione con la dipendenza clinica. Solo quando un’attività sopraffà una persona al punto di impedirgli di fare le cose basilari della vita come mangiare, dormire o andare a scuola possiamo parlare di patologia.
Ma questo non avviene per la maggior parte dei nostri ragazzi che magari usano la tecnologia più di quanto noi vorremmo. Come genitori dovremmo piuttosto aiutarli a trovare un sano equilibrio, cosa che tuttavia passa attraverso l’interazione con la tecnologia.

Insegnanti e genitori spesso lamentano nei giovani disattenzione, superficialità o mancanza di pensiero logico e accusano le tecnologie di ciò.
Non mancano di concentrazione, piuttosto rifiutano sempre di più di concentrarsi su cose che non reputano così importanti e così continueranno a fare fino a quando non creeremo un curriculum di studi degno della loro attenzione. Se davvero vogliamo che i nostri ragazzi capiscano il valore del pensiero logico, troviamo un nuovo modo per insegnarlo, per esempio attraverso la programmazione.

Com’è l’educazione nel mondo e su che cosa bisognerebbe puntare?
L’educazione è arretrata ovunque, non per un disinteresse degli adulti, quanto piuttosto perché si tende a riproporre le stesse cose. Meglio sarebbe concentrarsi su come aiutare i giovani a sviluppare facoltà indispensabili nell’era digitale, come per esempio diventare efficaci pensatori e realizzatori, capaci di azioni concrete e nello stesso tempo abili nelle relazioni in qualsiasi area essi si sentano portati a operare.
   
GAMES  
Utili se…
 
I videogiochi sono spesso la mela della discordia tra adolescenti e genitori. E anche gli esperti sono divisi in materia. C’è chi li accusa di aumentare l’aggressività, chi li ritiene una delle principali cause di dipendenza tra i giovani maschi, chi pensa che siano un pesante deterrente alla socialità e al gioco nella vita reale. C’è però un buon numero di esperti che invece li ritiene utili, capaci di sviluppare alcune facoltà e di facilitare l’apprendimento, grazie al grande appeal che hanno sui ragazzi. Ma quali sono i «buoni» videogiochi? «Quelli di simulazione e di avventura – afferma Caterina Cangià –. Buoni anche quelli di strategia, per cui bisogna pensare per arrivare al risultato. Da limitare invece i classici compulsivi come gli sparatutto e i picchia duro». Altro tema scottante è il tempo da concedere: «Bisogna regolarlo, patteggiando – consiglia Barbara Volpi – magari dopo i compiti e comunque inframmezzando altri giochi». Più netta Cangià: «Io sarei per la mezz’oretta ogni ora e mezza di altra attività, senza cedere al classico : “Fammi giocare fin che arrivo al prossimo livello”. Salva e basta».


Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017