Fouad Twal. Gerusalemme, il giorno dopo

Monsignor Fouad Twal, patriarca latino di Gerusalemme, ricorda per noi le tappe più significative del viaggio del Papa in Terra Santa e i problemi della Chiesa latina in questa parte del mondo.
30 Giugno 2014 | di

Più volte, nel corso del breve pellegrinaggio di papa Francesco in Terra Santa, il patriarca latino di Gerusalemme, monsignor Fouad Twal, ha preso pubblicamente la parola, tracciando con rapide pennellate la situazione e i problemi della Chiesa latina in questo angolo di mondo. Prima in Giordania, il 24 maggio, all’inizio della Messa pomeridiana celebrata nello stadio internazionale di Amman. Poi in serata, all’interno del santuario che il patriarcato di Gerusalemme sta ultimando in riva al fiume Giordano, dove monsignor Twal ha presentato al Papa gruppi di malati e di profughi, tra cui molti bambini. Il tema dell’attenzione ai minori è tornato domenica 25, alla fine della Messa in piazza della Mangiatoia a Betlemme.

Facendo eco alle parole del Papa, che aveva incentrato l’omelia proprio sul «segno» che l’infanzia rappresenta, Twal ha detto: «Tanti sono ormai i bambini, che i grandi di questo mondo hanno costretto a vivere errando, e che sono spesso abbandonati: bambini senza casa, senza genitori, obbligati a correre sulle strade polverose dei campi dei rifugiati, perché non hanno più né case né tetti che li proteggano». Infine, nella Basilica dell’Agonia, al Getsemani, nel pomeriggio del 26 maggio, dove il Patriarca latino ha presentato al Papa i religiosi, le religiose e i seminaristi presenti in rappresentanza di tanti altri: «Come Gesù nel Getsemani, i nostri cari consacrati, parte integrante della Chiesa locale, spesso si sentono soli e abbandonati. Attraverso la tua persona e la tua voce, chiediamo al mondo cristiano e ai nostri fratelli vescovi, più vicinanza, più solidarietà e senso di appartenenza a questa Chiesa madre». A conclusione del viaggio in Terra Santa di papa Francesco, monsignor Twal traccia per noi il bilancio di una visita per molti aspetti profetica.

Msa. Vostra Beatitudine, certamente non capita a tutti i vescovi di accogliere nella propria diocesi la visita di due Papi: prima Benedetto XVI (in Terra Santa e a Cipro), ora papa Francesco…
Monsignor Twal. La visita di un Papa in Terra Santa è sempre qualcosa di straordinario. È un dono di Dio poter accogliere il Pontefice nella propria diocesi e, in particolare, nella Chiesa madre, per il messaggio che consegna sia ai discendenti degli apostoli sia al mondo intero. Devo dire che non è la prima volta che accolgo un Papa. Sono un sacerdote di questa Chiesa. Con Paolo VI ero seminarista e ho avuto modo di ascoltare i discorsi del Sommo Pontefice con molta attenzione; mi sono rimasti in mente, nonostante siano trascorsi ormai cinquant’anni, due particolari: innanzitutto compresi che lo spirito che lo aveva spinto a intraprendere quel viaggio era il rinnovamento della Chiesa. Inoltre ricordo che in tutti i suoi discorsi non pronunciò mai la parola «Israele». Nel pellegrinaggio di san Giovanni Paolo II non ero in Terra Santa, ma ho avuto modo di accoglierlo e accompagnarlo nella visita che fece in Tunisia, dove io ero vescovo. E in quel viaggio non mancò di pormi delle domande sulla Terra Santa, conoscendo da dove provenivo. Papa Benedetto, invece, con il suo esempio, ci ha voluto trasmettere che anche noi tutti siamo chiamati alla testimonianza e all’accoglienza seguendo l’esempio dei profeti, degli apostoli e dei santi.

Il pellegrinaggio di papa Francesco è stato brevissimo ma intenso. Quali i momenti per lei più emozionanti?
Quella di papa Francesco è stata una visita molto ricca dal punto di vista spirituale e pastorale. In ogni sua tappa l’invito che ha rivolto a noi cristiani di questa terra e a tutto il mondo è stato di riscoprire la bellezza della nostra vocazione cristiana. Essere «uomini e donne di risurrezione, non di morte». In modo molto realistico il Santo Padre ci ha fatto notare che, nonostante le divisioni esistenti tra noi cristiani, non dobbiamo rinunciare a individuare e percorrere nuove strade in modo da rimuovere tutti gli ostacoli. Una delle mie più grandi emozioni è stato sentire con quale insistenza e determinatezza papa Francesco ha invocato la pace e ci ha chiesto di essere portatori di pace. Ed è di grande significato il suo gesto di invitare nella «sua casa a Roma» i presidenti Mahmoud Abbas e Shimon Peres per una preghiera comune.

Nell’agenda del Papa c’è sempre un posto per gli ultimi, per i più poveri e per chi patisce ingiustizie. In Giordania l’incontro con i profughi e i disabili; in Palestina con le famiglie che patiscono le conseguenze dell’occupazione.
L’incontro in Giordania con i bambini rifugiati della Siria è una chiara prova della sua attenzione alla sofferenza di questi popoli. Il gesto compiuto è un messaggio ai grandi di questo mondo affinché pongano fine alla violenza e al commercio delle armi a scapito della povera gente. Non ci sono delle giustificazioni per tutte queste sofferenze che sta patendo la popolazione. La stessa visita di Francesco al campo dei rifugiati palestinesi di Dheisheh e la sosta per pregare davanti al muro di divisione tra Gerusalemme e Betlemme, significano che il dramma del conflitto e dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi è un grido d’ingiustizia non ancora risolto dopo sessantasei anni. La globalizzazione dell’indifferenza è all’origine di tutti questi mali.

L’incontro di Francesco e Bartolomeo è ispirato dallo storico incontro di Paolo VI con Atenagora. Quale valore avrà questo gesto per le relazioni tra le Chiese e, in particolare, per le Chiese che sono a Gerusalemme?
In entrambi c’era tanta commozione. Sia allora che oggi l’incontro tra il Vescovo di Roma e il Patriarca di Costantinopoli si è svolto proprio alla presenza di Dio. Entrambi avevano un unico desiderio: fare la volontà del Signore. Camminare assieme a Dio. Essere strumenti di Dio e seguire la causa di Gesù. Credo che questo incontro sarà una nuova epifania per la Chiesa di Gerusalemme e di tutto il mondo.

Le settimane precedenti alla visita del Papa sono state segnate da violenze ai danni dei cristiani. Come guarda al crescente sentimento anti-cristiano che si sta diffondendo tra alcune fasce della popolazione israeliana?
Sono degli atti vandalici ingiustificati, da qualunque parte essi arrivino, e devono essere condannati da tutto il mondo. I cristiani sono sempre più nel mirino degli estremisti. Il mondo intero deve fare sentire la propria voce. Qualcuno ha iniziato a fare minacce di morte ai cristiani, se questi non lasceranno la Terra Santa. Il governo israeliano deve intervenire. Deve arrestare e punire severamente chi compie tali gesti. Non bastano le parole di solidarietà da parte di esponenti del governo. Noi qui non siamo stranieri. I cristiani sono i figli di questa terra. Abbiamo il diritto di vivere e proseguire la missione che ci è stata affidata da Dio.

Gli ebrei ultraortodossi si dicono contrari a qualsiasi soluzione per il Cenacolo. Come vede lei la situazione e quali possibilità concrete ci sono che il luogo venga restituito ai cristiani?
Il Cenacolo appartiene ai cristiani. È stato il re di Napoli a cederlo in dono ai francescani. Il governo israeliano se ne impossessò dopo la guerra del 1948. Ai figli di san Francesco furono donati anche altri Luoghi Santi: il diritto di celebrare al Santo Sepolcro, la Basilica e la Grotta di Betlemme, la chiesa della Tomba della Vergine. Credo sia giusto che i cristiani, i quali non sono visitatori ma parte integrante di questo popolo, possano pregare sul Monte Sion dove Gesù consumò l’ultima cena con i suoi discepoli. Le trattative tra la Santa Sede e Israele proseguono bene. I frutti si potranno vedere quanto prima. Lasciamo che sia il Signore a ispirare e guidare le persone addette a questo dialogo, affinché possano prendere decisioni coraggiose sulla via della pace tra tutti gli abitanti della Terra Santa.

Il Papa si è fatto accompagnare nel suo viaggio in Terra Santa da un rabbino e da un imam suoi amici. Quale lettura dà il vescovo della Chiesa madre di Gerusalemme degli sforzi per il dialogo tra le religioni in questa terra?
Il messaggio che papa Francesco ha voluto trasmettere al mondo intero, sin dal primo giorno del suo ministero papale, è chiaro: le tre grandi religioni, una accanto all’altra, devono cercare una strada comune alzando lo sguardo sul mondo e sulle sofferenze in cui sono costretti a vivere donne e uomini. Il Papa, l’imam e il rabbino pellegrini nella terra delle proprie origini nel rispetto delle differenze. In Giovanni leggiamo: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa». Un cammino che richiama all’unità e che rafforza le chiese; un cammino verso nuove terre e nuovi cieli. Credo che dopo questa visita in Terra Santa il dialogo cattolico-islamico-ebraico rafforzerà il rapporto di fratellanza.

Questa visita ha suscitato qualche protesta da parte dei cristiani locali per l’impossibilità di molti, a causa della sicurezza israeliana, di partecipare alle celebrazioni o di poter vedere il Papa…
Purtroppo moltissimi cristiani non hanno potuto incontrare il Santo Padre. I controlli imposti dalle autorità israeliane sono stati molti e i permessi sono stati rilasciati con il contagocce. È evidente che qualcuno ha protestato. L’uomo ha necessità di spostarsi liberamente da un luogo all’altro senza barriere. I cristiani che volevano incontrare il Santo Padre o visitare i Luoghi Santi ne avevano tutti i diritti.

Quale pensa sia il lascito più importante di questo viaggio e quali azioni concrete la Chiesa locale dovrà intraprendere per mettere in pratica le esortazioni del Papa e la missione che le è affidata?
Innanzitutto rafforzare la nostra fede, essere al servizio, accettarci, amarci. Ma anche condivisione e fraternità. Papa Francesco ha irrobustito in noi il ruolo della Chiesa madre. Al Cenacolo il Pontefice ci ha parlato della nascita della nuova famiglia, la Chiesa, la nostra santa madre Chiesa gerarchica, costituita da Gesù risorto. Le famiglie cristiane appartengono a questa grande famiglia, e in essa trovano luce e forza per camminare e rinnovarsi, attraverso le fatiche e le prove della vita.
 

La scheda
Fouad Twal

 
Fouad Boutros Ibrahim Twal è originario di Madaba, Giordania, dove nasce il 23 ottobre 1940. Appartenente a una famiglia cristiana di stirpe beduina, entra nel seminario di Beit Jala nel 1959, dove è ordinato sacerdote il 29 giugno 1966. Dopo un’esperienza in parrocchia, nel 1972 viene inviato a Roma per gli studi di Diritto canonico presso l’Università del Laterano. Al termine degli studi, entra al servizio della Santa Sede nel 1977. Fino al 1992 presta servizio in Honduras, a Roma, al Cairo, a Berlino e a Lima. Il 30 maggio 1992 è nominato vescovo di Tunisi. Ordinato vescovo il 22 luglio dello stesso anno, diventa arcivescovo di Tunisi nel 1994. Nel settembre 2005 Benedetto XVI lo nomina arcivescovo coadiutore del Patriarca latino di Gerusalemme Michel Sabbah, a cui succede il 21 giugno 2008.

È il secondo Patriarca latino di Gerusalemme di lingua e cultura araba. Tra l’altro, è stato presidente dell’Università di Betlemme ed è membro della Congregazione per le Chiese orientali. Di recente ha pubblicato Gerusalemme, capitale dell’umanità (Editrice La Scuola).

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017