Folgorato da Bach

Il giovane pianista iraniano ha trovato nelle note e nella filosofia dell’autore tedesco quasi una ragione di vita, tanto da diventarne uno dei più interessanti interpreti al mondo.
26 Giugno 2013 | di

Quando si mette a parlare di Johann Sebastian Bach, il maestro Ramin Bahrami ti travolge con lo stesso irresistibile entusiasmo di uno scienziato che ha scoperto una nuova formula, oppure di un ragazzino che ha appena messo le mani nella scatola delle caramelle. «Perché Bach è stato un pittore in musica – confida – e per me Bach è la musica di Dio, anzi la voce di Dio. Tanto è vero che siglava molte composizioni con l’acronimo S.D.G., ovvero Soli Deo Gloria».

Pianista di straordinario talento, riconosciuto tra i maggiori interpreti bachiani dei nostri anni, Ramin Bahrami porta nel mondo la musica e la «filosofia» del grande compositore tedesco. Ma per lui Bach è qualcosa di più: è stato il faro a cui riferirsi, l’ancora a cui aggrapparsi nei momenti difficili, un punto di riferimento per affrontare dubbi e tormenti. Come Bach mi ha salvato la vita è il titolo del libro, edito da Mondadori (2012), in cui ha raccontato le vicende drammatiche che lo hanno costretto a lasciare la sua terra natia, l’Iran (anzi la Persia, come preferisce dire lui), per trovare la sua strada in Europa, e in particolare in Italia e Germania.

Il nonno paterno, l’autorevole archeologo Mehdi Bahrami, fu il primo studente iraniano che l’allora scià di Persia, Reza Khan Pahlavi I, inviò a studiare alla Sorbona di Parigi. Un ruolo di spicco ebbe anche il padre di Ramin, l’ingegnere Parviz, che progettò scuole moderne per il Paese e proprio per questo motivo, quando poi gli ayatollah andarono al potere, venne considerato un traditore e un cospiratore: nel 1983 fu arrestato e chiuso nelle carceri di Khomeini, da dove non è più uscito. Di suo papà, morto nel 1991, il maestro Bahrami custodisce una lettera preziosa che è come un’eredità spirituale: «Frequenta Bach – gli scrisse – non ti lascerà mai solo». Ed è stata proprio questa la sua strada. Giovanissimo, Ramin ha dovuto lasciare la sua patria: aveva 11 anni quando insieme alla mamma (che aveva studiato musica con un allievo di Arthur Rubinstein) è arrivato in Italia e, grazie a una borsa di studio, ha frequentato il conservatorio Verdi di Milano, perfezionandosi in seguito all’Accademia di Imola. Da lì è partita la sua carriera.

Msa. Maestro, quando ha «conosciuto» Bach?
Bahrami. La folgorazione è avvenuta grazie a un disco che un’amica mi portò da Parigi: l’incisione della Sesta Partita eseguita da Glenn Gould. Al primo ascolto della Toccata, ho percepito che in quella musica tutte le emozioni del mondo sono espresse in maniera perfetta. Bach è senza dubbio l’autore più atemporale e più universale che ci sia. Come diceva Goethe, è il dialogo dell’Onnipotente con se stesso prima della creazione. E per me Bach assomiglia al mondo che immagino ancora possibile.

In che senso?
Prendiamo come esempio le sue Suite: sono come un parlamento musicale europeo, contengono influenze di tante culture, e ci appaiono come il manifesto di quella globalizzazione che non riesce a molti leader mondiali di oggi. Dobbiamo imparare da lui.

Un cosmopolita?
Sì, con il suo studio delle partiture riusciva a penetrare lo spirito di Paesi che non aveva mai visitato. Scrisse il Concerto italiano senza essere mai stato in Italia eppure, a mio parere, il suo è il Concerto più italiano mai concepito da un compositore. E poi la musica di Bach si basa sul principio del dialogo, dove gli elementi più diversi tra loro riescono ad andare d’accordo. Bach collega, non separa. Nelle sue composizioni non c’è una voce che superi un’altra: mi sembra un grande insegnamento per un mondo dove molti rischiano ancora la vita semplicemente per esprimere la loro opinione. In Bach c’è la vera democrazia dello spirito, della ragione e del cuore.

Eppure molti ritengono che Bach sia monumentale, quasi inavvicinabile...
Purtroppo per decenni è stato maltrattato dai cosiddetti «puristi» che ne hanno dato l’immagine di un autore freddo, matematico, senza colori, ingabbiato dai principi costruiti dall’uomo. Invece è tutto il contrario, ma spesso i sentimenti che Bach esprime sono stati messi in galera da coloro che danno più importanza alle regole.

Lei quindi come affronta la musica di Bach?
Pur rispettandone il rigore, cerco di esaltare in Bach l’aspetto più importante, quello umano. La gioia, il dolore, i sentimenti del grande autore tedesco sono uguali ai nostri: non possono essere tarpati. E allo stesso modo non sopporto le ottusità di coloro che vorrebbero eseguirne la musica solamente con prassi antiche: per esempio, quando suono Bach, utilizzo il pedale del pianoforte. Siamo o non siamo nel XXI secolo?

A lei personalmente Bach cosa ha dato?
Grazie a lui, ho trovato la ragione per non mollare: Bach insegna che bisogna credere in qualcosa, avere degli ideali e una visione a 360 gradi. Proprio per questo ora ho deciso di lanciare un importante progetto.

Ce lo anticipa?
Mi sto impegnando nella fondazione di un’accademia di studi bachiani, dove la complessa personalità del musicista possa essere esplorata sotto tutti i punti di vista, la psicologia e la recitazione, la retorica, l’armonia e la danza. Penso che sia un dovere, per evitare che la musica di Bach resti nelle mani di burocrati che non ne esaltano la bellezza. E vorrei che la sede di questa accademia fosse in Italia.

Lei ama il nostro Paese...
Lo adoro, e non solo per le sue bellezze naturali o per il saper vivere, ma proprio perché è il Paese che ha dato più cultura al mondo. La musica è nata in Italia, la pittura pure. È la terra del bello e dell’arte, e potrebbe tranquillamente vivere soltanto della sua cultura e dei suoi monumenti. Invece taglia proprio sulla cultura: lo trovo vergognoso. L’ho detto pubblicamente anche qualche settimana fa, quando mi hanno invitato a suonare all’Accademia di Santa Cecilia a Roma in ricordo di Rita Levi Montalcini, e in sala c’era il presidente Napolitano. Purtroppo vedo, a volte, che l’Italia non ama l’Italia.

Spesso lei incontra i giovani per raccontare il suo percorso musicale: cosa raccomanda loro?
Di amare la vita, di imparare a conoscere la vera gioia, la vera vivacità e anche il vero dolore. Bach ci insegna a conoscere la vita e le differenze.

Com’è il suo rapporto con la fede?
Estremamente alto. Ho avuto la gioia di conoscere la fede cristiana dopo un concerto in Messico: ero entrato in una fortissima crisi esistenziale, ero in preda alle angosce, sono stato letteralmente salvato da Cristo. Una sera, alla vigilia di un concerto in Veneto, quando stavo già per dare forfait, ho raccolto da terra un’immagine sacra con una preghiera di monsignor Lebrun: «Amami come sei... mia Madre ti darà tutto ciò di cui hai bisogno». Mi sono sentito avvolto da un messaggio d’amore, e quella sera ho suonato come poche altre volte in vita mia. Quel santino l’ho sempre con me.

E ora si sente più vicino a Cristo?
Sì, sto facendo un percorso spirituale personale e tra qualche mese arriverò a essere cristiano ricevendo il sacramento del battesimo. In Persia noi nasciamo zoroastriani, e nella religione di Zarathustra la luce è importante come per i cristiani. E anche nella musica di Bach si ha sempre la sensazione di avere a che fare con la luce: non a caso lo strumento per eccellenza della luce è l’organo. Tutto torna.

Le manca il suo Iran?
Certamente. La mia è una terra meravigliosa, dove si incontrano il deserto e la montagna, la neve e i boschi, persone di colore al Nord e persone con gli occhi blu al Sud. La Persia è veramente la culla della civiltà umana, un Paese che 4 mila anni fa ha saputo ospitare più di ottanta etnie e razze diverse, senza conflitti. Mi manca questa Persia, il Paese delle noci fresche di Teheran e del tè della nonna, e della brezza vicino al lago. E se parlo di Persia, è per distinguermi da una filosofia sbagliata di governo, da persone che non amano la libertà. Il popolo iraniano è ospitale e bisognoso di dialogo: non si può immaginare la violenza che viene esercitata contro persone innocenti.

Quale ricordo le resta di suo padre?
Sono fiero della lezione di mio padre che, senza ombra di dubbio, è stato un martire della ragione. Il suo esempio mi ha accompagnato e mi accompagnerà per tutta la vita. Mio papà era il perfetto esempio di contrappunto: era nato a Berlino da madre prussiana e padre persiano. E in Bach ho ritrovato lo stesso contrappunto universale che c’era nelle ascendenze della mia famiglia, dove scorreva sangue tedesco, persiano, russo e turco.

Se incontrasse Bach, che cosa gli chiederebbe?
Se i tempi che uso per interpretare le sue composizioni sono corretti e se sono giusti i miei fraseggi. Ma forse farei quello che diceva Einstein, quando gli chiedevano cosa pensasse di questo genio universale, e lui rispondeva: «Amalo, adoralo, e stai zitto». Bach, come diceva Paul Hindemith, è la A e la Z di tutta la musica.
 

Biografia

 
Ramin Bahrami nasce a Teheran nel 1976 da famiglia benestante. L’avvento del regime degli ayatollah lo costringe a emigrare in Europa: affrontando sacrifici e difficoltà, in Italia riesce a perfezionarsi nello studio del pianoforte, debuttando nel 1998 al teatro Bellini di Catania.

Da quel momento si susseguono concerti presso le maggiori istituzioni musicali italiane e internazionali. La sua discografia è molto ampia: per la Decca ha inciso, tra l’altro, le Variazioni Goldberg (2004), le sette Partite (2005) e L’arte della fuga (2007) che ha scalato le classifiche, contendendo il primato ai dischi pop. Proprio nelle scorse settimane, alla celebre Potton Hall in Inghilterra, Bahrami ha inciso le Invenzioni a due o tre voci di Bach per un cd che uscirà il prossimo autunno.

Con Massimo Mercelli ha invece registrato le Sonate per flauto e cembalo. Dal 2001 abita in Germania, ma considera comunque l’Italia come una patria d’elezione: lo scorso anno a Firenze ha promosso la maratona bachiana World Bach Fest. Dopo il racconto autobiografico Come Bach mi ha cambiato la vita (Mondadori 2012), sta scrivendo un nuovo libro dedicato ai dieci capolavori musicali che hanno rivoluzionato la storia.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017